Waves – Le Onde Della Vita
Tyler
Gotta be above it
Gotta be above it
And I know that I gotta be above it now
And I know that I can’t let them bring me down
Sono le parole cantate da Kevin Parker dei Tame Impala ad aprire il film, portandoci subito lo sguardo all’interno della mentalità del protagonista: Tyler, un giovane studente afroamericano delle superiori con grande talento e innata dedizione per il wrestling; una ragazza che ama, e una famiglia benestante alle spalle. Tyler è estremamente dedito a percorrere la strada del successo con una mentalità stoica impostagli dal padre. Mentalità che lo porta ad evitare di processare in modo onesto le emozioni negative che potrebbero distrarlo e sabotarlo. Non gli è concesso di essere vulnerabile. Deve performare sempre, essere al top, sempre superiore a se stesso: above it.
Finché la vita lo ricompensa, gli dimostra che questo stato mentale gli permette davvero di essere un vincitore, Tyler non ha motivo per fermarsi e riflettere riguardo quanto la cultura del vincente – molto comune in America per via dei credi calvinisti – possa essere profondamente sbagliata. Si tratta di una visione del mondo secondo cui le persone si dividono in due categorie: i vincitori e i perdenti. L’appartenenza a l’una o l’altra categoria dipende dal duro lavoro e la forza di carattere. E’ questa, in un certo senso, la filosofia del capitalismo americano: giustificare le evidenti disparità economiche e sociali del sistema attraverso l’illusione di una distribuzione giusta basata sul merito e il valore delle persone che stanno in cima, convincendo i più sfortunati che la responsabilità per la situazione in cui si trovano cade unicamente su di loro e il network di persone in cui sono inserite (famiglia e amici). In questa visione semplicistica non si tengono conto di tutta una serie di fattori esterni, sociologici e psicologici che contribuiscono al successo di una persona. E’ una società non meritocratica che si finge tale, che vede persone partecipare ad una stessa gara con diverse posizioni di partenza, diversi handicap o vantaggi, e che poi le valuta, premiandole o demonizzandole, in base all’unico criterio del chi è arrivato primo. In una cultura del genere, per vincere, bisogna farsi una corazza, rinunciando a molte parti di sé stessi: quelle che ci mostrano fragili, deboli, umani. Vivere rinunciando a queste zone della nostra psiche significa vivere una vita mutilata, limitata, ma significa anche rischiare di vedere certe emozioni crescere nell’ombra del nostro subconscio, finché non diventeranno troppo grandi per essere represse. Quando succede si ha un crollo psicologico, una manifestazione acuta di un processo che avviene lentamente giorno dopo giorno in una situazione di tale repressione.
Ed è proprio ciò che accade al protagonista, quando la sua vita comincia a crollare pezzo per pezzo: l’impegno nel wrestling lo porta a sforzare troppo i suoi muscoli contro le indicazioni del dottore, indicazioni che Tyler aveva tenuto segrete alla famiglia e all’allenatore. Il risultato è un danno irreparabile alla spalla che mette definitivamente a rischio la sua carriera. Piuttosto che finire nella categoria dei perdenti Tyler preferisce rischiare la sua salute, fisica e mentale. Ma quello che non si dice nella cultura del vincente è che si può perdere anche se ci si impegna più di tutti gli altri, anche se a inizio partita si avevano delle ottime carte e l’abilità per sfruttarle al massimo. Si pensa che i vincenti siano tutti quelli che attraverso l’ingegno, la dedizione, l’impegno e il sacrificio siano riusciti a realizzarsi e fiorire. Non si fa attenzione al resto delle persone che, forse anche sforzandosi di più, non sono comunque riusciti a realizzarsi, spesso per motivi esterni, tra cui, per esempio, mancanza di opportunità, appartenenza ad una minoranza, impossibilità di fare stage non pagati o, come nel caso del protagonista, infortuni debilitanti.
Nella narrativa dominante, l’1% si convince che il merito del proprio successo risieda principalmente in loro, nelle loro scelte, nelle loro idee, nei loro sforzi , quando nella realtà dei fatti chi ha vinto lo ha fatto perché è riuscito a sfruttare opportunità che non si presentano alla maggioranza delle persone. Con questo non intendo dire che è tutto dato dal caso. Vi è del virtuoso nel riuscire ad essere pronti e all’altezza di quelle opportunità, ma bisogna riconoscere come sia un privilegio ad averle avute in primo luogo. Anche quando una persona riesce a scalare la montagna del sistema economico fino ad arrivare alla vetta partendo dal punto più basso, bisogna evitare di leggere l’evento attraverso quello che viene chiamato survivor bias, ”l’errore logico che si commette concentrandosi su persone o cose che hanno superato un certo processo di selezione, trascurando gli elementi che non hanno superato la selezione stessa”, e dimenticare come il 99% delle persone non è in grado di fare lo stesso in questo sistema.
Attraverso l’infortunio Tyler cade nel bel mezzo della sua scalata e sbatte contro una realtà che non è pronto ad affrontare. Insieme al trauma di aver perso la possibilità di eccellere in un campo in cui aveva dedicato molto del suo tempo, interi anni della sua vita, e per cui aveva fatto tantissimi sacrifici, si aggiungono delle tensioni con la fidanzata, per via di una gravidanza non programmata che la ragazza ha intenzione di portare avanti e che Tyler sente come una minaccia per la sua possibilità di vivere la vita che vorrebbe.
Per via della suo atteggiamento di negazione delle proprie emozioni, Tyler non ha gli strumenti per affrontare questo carico emotivo improvviso e reagire in una maniera funzionale. Tutto ciò che ha represso negli anni fuoriesce in una maniera vulcanica e lo porta a perdere il controllo: in una lite concitata alla festa di fine anno, Tyler sferra un pugno a tutta forza alla sua ormai ex ragazza finendo per ucciderla per sbaglio. Per via di questo incidente Tyler viene arrestato e successivamente condannato all’ergastolo per omicidio.
Ci troviamo a metà del film e Tyler esce fuori di scena, comparendo poi solo in una sequenza nel finale.
Avere una mentalità puntata al successo non è certamente qualcosa che si può condannare. Ciò che invece si critica è una mancata educazione al saper perdere, al non sapere affrontare l’idea che alcuni aspetti della vita possano non andare nella direzione che ci eravamo augurati nonostante tutto l’investimento di tempo, energia ed emotivo. Non importa quanto ci si possa impegnare nel cercare di raggiungere un obiettivo, le cose possono andare storto per vari motivi. Legare la propria idea di valore al conseguimento di un successo economico, accademico, sportivo o sociale non può che portare ad una visione di sé estremamente disfunzionale. Tyler nel pensarsi non riesce a slegare l’idea di essere un atleta di successo e nel momento in cui questa sua rappresentazione non ha più modo di combaciare con la realtà il crollo psicologico diviene inevitabile. Unito ad un proprio desiderio di realizzazione e ambizione, il successo nello sport è per Tyler un modo per dimostrare la forza di carattere e di volontà che il padre gli ha insegnato, necessarie per un afroamericano che deve muoversi in una società che non dà le stesse opportunità a persone come lui. Tyler è vittima degli errori del padre, della mentalità della generazione precedente alla nostra, una generazione con una forte etica del lavoro e una pessima intelligenza emotiva, sopratutto nel caso degli uomini.
Gli errori del padre sono principalmente due: il primo è nella sua visione della forza che consiste nel nascondere le proprie vulnerabilità a se stessi e a gli altri, non darsi tempo di navigare i pensieri che possono destabilizzare, pensare solo a vincere. Questa filosofia, a mio parere, non ti rende più forte, ti rende più solo e meno pronto ad affrontare il momento inevitabile in cui non potrai far altro che guardare dentro te stesso. Condividere con un network di persone intorno a te i problemi con cui ognuno di noi deve scontrarsi permette di alleggerire il carico, elaborare le esperienze, sentire supporto. Far fronte ad una delusione è difficile, da soli molto di più. Il secondo errore è non realizzare che è sbagliato concentrarsi su come un afroamericano debba lavorare di più di un bianco nella società americana senza spendere parola su come cercare di ridurre o eliminare questa ingiustizia. Trasmettendo questa visione a Tyler, il padre non fa altro che sostenere e rinforzare questo sistema, dandogli l’alibi di avere alla cima delle persone di colore che ce l’hanno fatta nonostante gli ostacoli. ”Se loro ci sono riusciti, allora quegli ostacoli non impediscono a nessuno di farlo” è la scusa che si viene a creare, giustificando l’esistenza di tutti i freni sociali ed economici che esistono.
Emily
La seconda parte si distingue dalla prima in tanti aspetti: cambia il tono, cambia l’aspect ratio che diventa più stretto e soprattutto cambia il focus, passando da Tyler a sua sorella, Emily. Riguardo al tono, il regista Edward Shults ha ideato il film basandosi sulle musiche di Kanye West e soprattutto Frank Ocean. La prima parte del film riflette la musica energetica ed esplosiva di Ye, soprattutto degli album Yeezus e Life Of Pablo, il cui poster troviamo appeso nella camera di Tyler. Frank Ocean invece è l’ispirazione per la parte dedicata ad Emily. La musica lo-fi, vulnerabile e sincera di Frank si rifletta nella storia di Emily, una storia di guarigione, di accettazione e maturazione, non solo per lei ma anche per il padre e la madre. La famiglia imparerà a comunicare, a confrontarsi e condividere il proprio dolore e soprattutto perdonarsi per non esserci stati l’uno per l’altro e riuscire ad avere la forza di perdonare Tyler per quello che ha fatto.
Il percorso di maturazione di Emily si sviluppa anche grazia alla relazione con Luke, un ragazzo timido e impacciato, ex compagno di wrestling di Tyler. Attraverso questo rapporto entrambi trovano conforto e crescono insieme. Grazie ad Emily, Luke troverà la forza di confrontarsi con il padre morente di cancro e perdonarlo per gli abusi nei suoi confronti. Questo episodio, come altri momenti e film, è ispirato una da un evento reale della vita del regista: Il padre di Shults viveva con una dipendenza dall’alcool e altre sostanze stupefacenti. Rappresentava una presenza irregolare nella vita del figlio fino a perdere del tutto i contatti con lui nel 2003. Nel 2013, dopo dieci anni, Shults lo ha incontrato un’ultima volta, prima che un cancro al pancreas lo portasse via. In una intervista, parlando dell’importanza di questo episodio, il regista ha affermato: ”Ha cambiato tutto. […] Mi ha fatto desiderare di vivere una vita di cui andare fiero, tenere alle persone che amo e sistemare le relazioni che non funzionano. Penso che avvinarsi cosi tanto alla morte ti cambia spiritualmente e cambia la tua prospettiva”. Penso che in una certa maniera lo stesso valga per Emily e non solo per Luke. La condanna di Tyler impatta la sua vita e quella della famiglia quasi come un lutto, forzandoli a cambiare completamente prospettiva sul loro modo di vivere.
Waves ruota intorno all’idea di affrontare situazioni emotivamente cariche piuttosto che fingere che non ci tocchino, per riuscire a metabolizzare e permettere una guarigione. La creazione del film è per Shults, e il resto degli attori che hanno attivamente partecipato alla creazione della sceneggiatura, un momento di confronto con sé stesso, un modo per trovare una catarsi e continuare a camminare sapendo di essersi immersi nel proprio Io ed avere affrontate ed elaborato le emozioni. Si tratta di un film che ci insegna la forza dell’amore, dell’agire con gentilezza e tenerezza non solo nei confronti delle persone intorno a noi ma anche verso noi stessi, del riuscire ad accettare e permettere che tutta la nostra umanità abbia modo e spazio di esprimersi, del cercare di capire il prossimo, empatizzare e volere bene nonostante gli errori, anche i più gravi. Se tutti noi facessimo propria questa mentalità non ci sarebbe una società dove gli ultimi vengono discriminati ma una dove chi è in cima cerca di sollevare chi è in basso, e si cerca di non lasciare nessuno da solo, di non permettere che nessuno vega dimenticato. Una società dove l’importante non è il saper vincere, ma il saper volere bene a gli altri, anche quando questo significa dover perdonare persone che hanno fatto gesti orribili e rovinato la vita di molti, come Tyler. Piuttosto che vedere le prigioni come un luogo dove si puniscono i criminali li vedremmo come un posto dove un’individuo impara a diventare un membro funzionale della comunità.
”La giustizia è una carità più completa” diceva il filosofo lituano Emmanuel Levinas. Egli sosteneva che essendo che il Sè non può che formarsi solamente attraverso il rapporto con l’Altro, una persona esterna a noi, allora ognuno ha la responsabilità morale di occuparsi degli altri, essere-per-l’altro. Responsabilità è la base se cui, per il filosofo, ogni rapporto si stringe, che essa sia accettata o rifiutata. Le persone possono cambiare, possono migliorare, e per farlo hanno bisogno di persone che gli stiano accanto e le supportino. Waves ci ricorda l’importanza di tutto ciò. E’ un monito, un richiamo al dovere di occuparci di noi e degli altri, l’importanza della famiglia, degli amici, delle relazioni sentimentali.
Come delle onde, i momenti belli e brutti della vita vanno e vengono. L’importante è non farsi travolgere, ed è più facile se non si è soli.
https://en.wikipedia.org/wiki/Waves_(film)