Critica di Prosa,  Letteratura

“Una vita come tante” di Hanya Yanagihara – Rilettura di un “classico” contemporaneo… come tanti

Di Anna Maddaloni

Una vita come tante, l’opera monumentale della scrittrice hawaiana Hanya Yanaghiara, è da molti già considerata un classico moderno. Pubblicata nel 2015 e importata in Italia da Sellerio l’anno successivo, ha fatto parlare di sé soprattutto sui social, dove è spopolata come una vera e propria moda sulle pagine più seguite del booktok. Eppure la critica ha espresso pareri molto discordanti a proposito di essa. Cosa possiamo dire oggi, a distanza di quasi 10 anni, rileggendo un testo dalla ricezione così controversa?

Sin da subito l’opera avvolge il lettore in un abbraccio e lo guida nella condivisione intima della quotidianità di quattro ragazzi newyorkesi – JB, Willem, Jude e Malcolm – alle prese con le sfide della vita adulta. Le vicende del romanzo coprono un lasso di tempo che parte dal periodo universitario e si ferma intorno alla mezza età. Con simili premesse la trama potrebbe preannunciarsi banale, il che, associato al numero di pagine – stiamo parlando, per la versione italiana, di oltre 1000 -, potrebbe stonare. Ma è proprio questo il nodo da sbrogliare per comprendere il valore del romanzo. Hanya Yanagihara, fin dal titolo (in inglese A little life) parla di “vita” in termini quasi provocatori. In realtà, più che di vita, l’opera parla di persone, e di come esse siano l’unica ragione per la quale una vita possa essere qualificata come tale.

Sicuramente il pregio del libro sta nell’esplorazione del legame tra i quattro amici, che, per quanto solido, sfocia in una complessità analizzata in un modo talmente profondo da poter risultare addirittura irrealistico. La genuinità assoluta dei quattro compagni, invece, è molto realistica e umana, fatta di passione, amore, stima, rispetto, ma anche, e specialmente, di debolezza, sofferenza e vergogna.

Lo scopo principe del romanzo è quello di creare un violento impatto emotivo in chi lo approccia, soprattutto grazie all’immersione nella psicologia dei personaggi mediante un andamento deliberatamente lento. La scelta del titolo sembra già presupporre un distacco del lettore, il quale entra in una “vita come tante” che però scoprirà non avere niente di ordinario.

Sulla copertina, l’immagine di un uomo sospeso tra un orgasmo e un dolore insopportabile suggerisce già la sensazione che permeerà tutta la lettura e sarà il centro della narrazione.  Potrebbe riferirsi anche all’uso del linguaggio che è lirico, a volte poetico, ma anche duro e crudo quando si tratterà di rappresentare le sofferenze dei personaggi. Questa dualità stilistica riflette bene l’equilibrio tra bellezza e tormento presente nel romanzo, anche se nel binomio di sofferenza e bontà umana esse tendono a viaggiare parallelamente, trovando sporadici incontri ma senza mai sovrapporsi.

L’impatto emotivo: un cambio repentino nella narrazione

La struttura dell’opera non è lineare. Nella prima parte alterna le prospettive di tre dei quattro personaggi – Malcolm, Willem e JB – e suscita i primi punti di domanda in merito al trascorso di Jude, di cui si parla solo dal punto di vista degli amici. La descrizione di quest’ultimo sarà imbevuta di una certa pietà, per via della sua disabilità, le cui cause saranno volutamente mantenute oscure fino alla fine dell’opera. Questa scelta permette non solo di capire nel dettaglio l’affetto che li lega, essendo descritti con precisione i pensieri di ciascuno, ma anche di mantenere alto il livello di curiosità, aspetto che concorrerà a rendere incalzante il ritmo narrativo. Nonostante l’iniziale impressione, il vero protagonista del romanzo si rivelerà essere proprio Jude, le cui emozioni inizieranno a essere snocciolate solo nella seconda parte, dove il lettore – forse con un certo sollievo – comincerà a rendersi conto che la storia non riguarderà quattro persone, bensì una sola.

A mano a mano che si entra nel cuore della storia, le vibrazioni provate inizialmente nell’approcciarla cambiano radicalmente, passando dall’essere intense e avvolgenti all’essere conturbanti e scomode. I temi dell’affetto e dell’amicizia cedono il posto ai temi dell’abuso sessuale, dell’autolesionismo, della violenza e della perdita, ed è questo cambio repentino ad aver creato una netta divisione della critica letteraria. Il contrasto così marcato nello svolgimento della trama è spiazzante, inquietante, e, volendo avvicinarsi ai giudizi più aspri, anche eccessivo: genera nel lettore sensazioni di impotenza e di incredulità, mentre vive indirettamente situazioni che, in una società a bolla di sapone, sono surreali se associate a un singolo individuo.

Sicuramente degna di nota è l’abilità dell’autrice nel rendere le emozioni in maniera così cruda, tangibile e autentica, favorendo un reale coinvolgimento anche verso una prospettiva meno consapevole e inesperta. Chiaramente Una vita come tante è un romanzo in grado di mettere a dura prova persone con particolari sensibilità e per questo non è rivolto a chiunque, soprattutto a causa del susseguirsi di episodi che susciteranno sempre lo stesso pensiero: “tutto questo non può accadere in una sola vita”.

Altri aspetti problematici

Nella prima parte, specialmente nelle sequenze dedicate a JB – che di lavoro fa l’artista -, l’opera racchiude diversi riferimenti culturali virtuosistici. Tuttavia, proseguendo nella lettura, è possibile imbattersi in elementi che sotto certi aspetti possono ritenersi inutilmente ambiziosi. Senza dubbio il fatto che ciascuno dei personaggi svolga mansioni piuttosto distanti l’una dall’altra – dopo JB, Willem farà l’attore, Malcolm l’architetto e Jude l’avvocato – consente di fornire al romanzo un ampio respiro culturale, ma il graduale cambio di scenario ostacola la coerenza dei contenuti di margine. 

Un altro aspetto stridente riguarda il discorso relativo alle dipendenze da stupefacenti. La grande attenzione dedicata alle tematiche intorno a Jude, come già detto, domina la parte centrale del romanzo, dunque, verrebbe naturale pensare che l’autrice si dilunghi anche nel toccare argomenti altrettanto delicati come quello delle droghe. Tuttavia, ciò non accade: quest’ultimo tema viene trattato solo in sordina, in una manciata di pagine, nonostante se ne faccia intendere il ruolo decisivo nella vita del protagonista.

Perplime anche la gestione del tema amoroso, a proposito del quale la Yanagihara propone una visione in parte distorta. La relazione tra Jude e Willem sembra voler giustificare il fatto che, dato che in un rapporto è naturale che manchi qualcosa ed è impossibile trovare qualcuno che nella vita soddisfi completamente le aspettative e le necessità, allora sia naturale cercare la propria soddisfazione altrove, in altre relazioni. Per quanto l’argomento possa essere condivisibile o meno, esso solleva per come viene affrontato dei dubbi riguardo alla genuinità di un legame. Certo, le scelte di un personaggio non rispecchiano necessariamente le idee della sua autrice, eppure il quadro generale che traspare è quello di una visione negativa e priva di speranza.

Altro aspetto su cui soffermarsi è la modalità in cui nel romanzo sono affrontati i traumi. Sulle loro conseguenze comportamentali, l’autrice è molto chiara, ma non lo è altrettanto a proposito dei processi psicologici che si innescano in seguito. Il lettore prova quindi un senso di impotenza nell’osservare le vite dei personaggi. Ne si comprende in astratto la difficoltà a gestire determinati abusi, ma non si afferra mai una spiegazione concreta al perché una persona, successivamente, non riesca ad uscirne.

Per concludere

L’opera è senza ombra di dubbio meritevole di attenzione, e il fatto che sia diventata un caso editoriale di certo non è merito unicamente dei social. È cruda, genuina e, per certi versi, calda. Malgrado la sua vastità non diventa mai noiosa e la successione degli episodi le conferisce una dinamicità assolutamente straordinaria. Sicuramente, tuttavia, ci sono anche altri aspetti particolarmente laboriosi da digerire, e che possono innescare giudizi severi. 

La storia di Jude, però, rimane toccante e reale, consente di aprire grandi riflessioni in merito al ruolo dell’amicizia e delle ferite, le quali, con una certa dose di fortuna, possono essere curate, anche se si è persa la fede. Non si parla quindi solo di speranza, ma anche di sorte e di coraggio.

L’unico segreto dell’amicizia, credo, è trovare persone migliori di te – non più furbe o più vincenti, ma più gentili, più generose, e più comprensive -, apprezzarle per ciò che possono insegnarti, cercare di ascoltarle quando ti dicono qualcosa su di te, bella o brutta che sia, e fidarti di loro, che è la parte più difficile di tutte. Ma anche la più importante. Credimi. Lo sforzo maggiore non consisterà nel trovarli, ma nel tenerli stretti, però te lo prometto, ne varrà la pena.


https://www.arateacultura.com
https://it.wikipedia.org/wiki/Hanya_Yanagihara

Anna Maddaloni

Redattrice in Letteratura

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