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Un Amore di Sara Mesa – Recensione Premio Strega Europeo 2022

di Nicola Vavassori

Un amore, secondo romanzo di Sara Mesa, vincitore in Spagna del Premios de los libreros 2021 e finalista al Premio Strega 2022, stranamente, non è una storia d’amore. È infatti molto difficile trovare dell’amore nella relazione che Nat, la protagonista, intreccia con il tedesco Andreas, un rapporto del tutto privo di romanticismo e progettualità, caratterizzato da una dichiarata indifferenza da parte di Lui e da una tossica ossessione da parte di Lei.

un amore sara mesa

Eppure – per una volta – non ci troviamo di fronte alla classica storia immatura di un amore adolescenziale che è tipica dei bestseller rosa come Atti di sottomissione, altro candidato allo Strega Europero 2022, che ho recensito con poca gentilezza qui. Al contrario Sara Mesa sfida il concetto stesso relazione, rema controcorrente e provoca il lettore fin dal titolo, come a chiedere: anche questo può essere considerato amore? Ma facciamo un passo indietro.

Dopo essersi licenziata dal suo vecchio lavoro, Nat, una giovane traduttrice, si trasferisce a La Escapa, un piccolo centro rurale dominato dal monte Glauco. Entrambi i toponimi sono simbolici: “La Escapa” richiama il verbo “scappare”, e dunque il concetto di fuga e di inospitalità, mentre il “Glauco”, come riflette la stessa protagonista, fa pensare ad uno sguardo vuoto e severo. Questi non sono gli unici nomi parlanti che compaiono nel romanzo, che di questi espedienti simbolistici ne utilizza a dismisura, arrivando addirittura a deformare gli stessi personaggi in riduzioni di se stessi ai minimi termini: essi perdono il nome proprio e diventano “l’hippie”, “la strega”, “il tedesco”.

A La Escapa, Nat non conosce nessuno e l’iniziale aria tranquilla del paesino si muta presto in una generale diffidenza xenofoba della maggior parte degli abitanti nei suoi confronti. Il paese sembra diventare una mente alveare: di qualsiasi cosa accada a Nat, anche gli episodi più intimi e scandalosi, chiunque è immediatamente informato, ma finge di non esserlo. Il silenzio nello sguardo degli abitanti, si riempie così di giudizi segreti e opprimenti. Michela Murgia, nella prefazione dell’edizione Einaudi di Da dove sto chiamando descrive acutamente i testi di Raymond Carver come racconti dell’orrore privi di elementi horror, definizione questa che si applica alla perfezione pure alla storia di Nat. Sola in un luogo che non le appartiene, la ragazza si ritrova al centro di un contesto sociale che la critica ha paragonato a quello delle tragedie greche: un’intera comunità si chiude al passaggio dello straniero, isolandolo non con aggressività, ma con circospezione.

L’unica persona che si comporta con normalità con Nat, il suo vicino di casa, diventa paradossalmente sospetto per il fatto di non avere secondi fini. Il fatto di non ricevere avances da lui, rende la ragazza ancora più insicura e desiderosa di considerazione, tanto da autoconvincersi dell’omosessualità – inesistente – del ragazzo. Così la traduttrice, abituata a decriptare i segni della lingua, vorrebbe farsi antropologa per comprendere e farsi comprendere dagli abitanti di La Escapa. Ma gli esseri umani non sono le parole di un libro. Il linguaggio con cui comunicano è un codice intimo che esclude chi non ne fa parte.

Ad aggravare la condizione di Nat è il suo essere donna. Vittima di molestie da parte del padrone della casa che affitta, non trova alcun aiuto nel resto del paese che, consapevole ma omertoso, si chiude davanti alle sue richieste di aiuto. Nemmeno la compagnia di Fiele, un cane randagio che Nat decide di accudire, riesce a dare soddisfazioni alla ragazza: il rapporto tra animale e padrone è svuotato di ogni romanticismo, proprio come il resto della storia.

Così quando Andreas si offre di riparare il tetto di casa di Nat in cambio di un rapporto sessuale, la ragazza, pur disgustata da una simile richiesta, non può fare a meno di aggrapparsi all’unica distorta dimostrazione di affetto che le venga rivolta. La storia d’amore che ne deriva, appunto, non ha nulla di amoroso, ma soltanto una lenta discesa nel baratro dell’incomunicabilità.

L’elemento più originale del racconto, però, è lo stile di scrittura: freddo, asettico, cristallino, conciso. Non c’è patetismo, non c’è commiserazione o vittimismo. Il narratore, come se fosse un abitante indifferente di La Escapa, segue sì da vicino i moti d’animo di Nat, ma non vi partecipa: si limita a mostrare la tragedia. Il lettore può sorprendersi a provare per la vicenda un disgusto misto a sadico piacere, come se si osservasse un animale in gabbia da una rassicurante distanza.

Eppure, come ricorda anche l’autrice, la storia di Nat non è solo una storia di fallimento. Prendere coscienza del fallimento diventa anzi il primo passo per avanzare. La tragedia non ha esiti né tragici né lieti, ma confluisce – come è normale che sia – nel resto della vita.


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