Filosofia

Tutto il resto è noia… e dolore: Schopenhauer e il pendolo

Con la reputazione di filosofo più pessimista che il pensiero umano abbia mai conosciuto, Schopenhauer, nato 235 anni fa a Danzica, in Polonia, ha ancora oggi molto da dire e insegnare all’umanità. Non che il suo pensiero sia universalmente accettato come vero, ma forse perché la sua visione della vita estremamente disillusa, cupa, priva di consolazioni, nasconde una sfida: provare a cercare un qualche appiglio di speranza per non arrendersi al fatto che la realtà sia solo quella che lui vuole far credere.

La vita umana è un pendolo che oscilla tra noia e dolore

Tutto il resto è noia” cantava Franco Califano nel celebre ritornello dell’omonima canzone che ha dato agli anni ’80 una colonna sonora senza precedenti, risuonante tutt’ora nella testa di molti. Il cantante romano intendeva esprimere la sconsolazione che avvolge l’amore e la passione appena finisce la novità, l’emozione delle prime cose da condividere, l’inizio della conoscenza dove tutto è un mondo da scoprire. Il risvolto della medaglia? Finita questa fase, tutto è noia. Non c’è rischio di equivoco, non ha detto gioia, ma noia, la maledetta noia. C’è molto di Schopenhauer in questa canzone. Il filosofo allarga questa sensazione all’intera umana esperienza, arrivando a concludere appunto che la vita è un pendolo: la maggior parte del tempo, infatti, si vive avvicinandosi all’estremo della noia, lo si raggiunge, e poi ci si sposta verso l’altro estremo del dolore. Gli unici istanti di felicità stanno nel mezzo, e durano un istante: Schopenhauer identifica questi attimi di sollievo con il piacere e la gioia. Ma non bisogna saltare a conclusioni affrettate: sono solo illusori e fugaci, effimeri. Un nulla rispetto al resto, durano meno dell’ultima boccata d’aria prima di annegare per sempre.

Cosi Schopenhauer recita ne “il mondo come volontà e rappresentazione”, sua opera più emblematica: <<La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per lo più illusorio, del piacere e della gioia>>.

L’illusorietà velo di maya

L’essenza della concezione di Schopenhauer della realtà è rappresentata da una divisione, una dualità tra volontà e rappresentazione. La volontà sarebbe l’essenza reale del mondo, la verità, ma essa è eternamente coperta da un velo di maya, che come un filtro impedisce di vedere la verità e mostra solo delle rappresentazioni di essa, che però sono, appunto, illusorie. L’uomo ha quindi a che fare solo con delle rappresentazioni, percezioni, che non aderiscono all’oggetto reale per cui vengono percepite come tali: la realtà è inconoscibile. Tranne che per un piccolo accesso: la volontà di vivere. L’uomo infatti non riceve solo stimoli e immagini dall’esterno, ma è ben dotato anche di concretezza, un corpo con cui soffrire, piangere, godere, riprodursi. Ciò che ci permette di provare impulsi come il volere, il desiderare, e soprattutto il vivere (si pensi al famoso istinto di sopravvivenza) è la volontà di vivere: energia irrazionale senza forma, spazio o tempo. Questa è l’unica cosa capace di squarciare il velo di Maya e permettere all’uomo di sentirsi parte della volontà stessa del mondo, a contatto con la verità.

La disillusione dell’amore

Giunti a definire l’illusione, solo superficialmente rispetto agli approfonditi studi che il pensiero di Schopenhauer richiederebbe, possiamo affrontare un altro (ma sicuramente non ultimo) tema originale e pessimistico: l’amore. Egli crede che ciò che viene comunemente considerato un sentimento, un’entità irrazionale ma stupefacente, una passione inspiegabilmente totalizzante, una sensazione di bene verso un’altra o più persone, non sia altro che un inganno della natura. Per Schopenhauer l’amore è un’illusione in cui l’uomo è inconsciamente immerso, ed essa nasconde una realtà molto più aspra e dura di così. L’amore è visto come un servo della volontà in sé, il cui scopo è portare avanti la specie e, per farlo, è necessario che le persone si riproducano. Ecco l’amore che cos’è: una scusa per illudere gli uomini di star facendo qualcosa per loro, che li rende felici e migliori, quando in verità stanno solo eseguendo gli ordini della natura, della volontà.

La sfida del pessimismo

Insomma, cosa deve essere successo a un filosofo per portarlo a credere che quel sentimento che ha mosso le vite dell’umanità intera dall’inizio dell’universo sia solamente un escamotage per consentire alla specie di sopravvivere? Questo non ci è dato saperlo. In nostro potere è la scelta di cedere alla proposta pessimistica di Schopenhauer, in quanto riduce tutto a un istinto, senza senso ma solo necessario; o fare in modo che la sua oscura visione accenda in noi tutte le forze per credere che non sia questa la risposta a tutti i perché.

Schopenhauer lascia una grande eredità ai posteri. Non la desolazione fine a sé stessa, ma un pensiero così disperato che pare quasi una richiesta di aiuto, una sfida a convincerlo che le cose non siano così. A non arrendersi al dominio della volontà che ci lascia reduci in un mondo insignificante. Come in una stanza buia lui ci invita, senza saperlo, a tastare ogni centimetro di parete interiore alla ricerca di una guida illuminante.

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia