Il Tuffatore – Elena Stancanelli – Premio Campiello, Premio Viareggio 2022
“Il tuffatore”, ultima opera di Elena Stancanelli, edita per La Nave di Teseo e candidata nel 2022 sia al Premio Campiello, sia al Premio Viareggio-Repaci, è un romanzo saggio che potrebbe essere paragonato a uno specchio d’acqua. Al di sopra di esso, affacciati con la curiosità di chi è nato negli anni 90’, stanno gli individui che rappresentano il presente e il futuro dell’Italia contemporanea, i vecchi “giovani”, attualmente impegnati a raccogliere i semi di una crisi economica che non hanno provocato, sperando di inserirsi per il rotto della cuffia in un mondo del lavoro che li accoglie a fatica. Sott’acqua, invece, sta l’Italia degli anni 80’, dove i “boomer” hanno trovato il terreno fertile per far germogliare i propri alberi di zecchini d’oro. In quest’Atlantide di tesori perduti non è più possibile abitare, ma le leggende che si raccontano a tal proposito ancora risuonano in superficie.
La Stancanelli, che ha vissuto sulla propria pelle il tempo del mito, si fa cantora e traccia un ponte tra i due mondi, declamando l’aristia di un individuo che in sé racchiude tutta quanta quell’epoca di gloria: Raul Gardini. Imprenditore senza pari e innovatore sociale dall’intuito geniale, Gardini viene descritto come un vero e proprio “tuffatore sociale”. Razionale e romantico insieme, egli insegue il proprio istinto e convince anche gli altri ad affidarsi al suo carisma, assumendo le sembianze dell’exemplum di intraprendenza che manca nell’Italia di oggi, dove ormai si sono perse le condizioni per la nascita di individui del genere.
Eppure la sua favola ha il sapore amaro della decadenza e si spegne nel 1993 con la morte per suicidio di Gardini, immischiato nella “madre di tutte le tangenti” dell’inchiesta di Mani Pulite. In questo modo il carattere agiografico della trattazione si sgretola contro tematiche ben più concrete, quali la corruzione e la precarietà politica. Così l’Italia torna ad essere familiare per i lettori più giovani e vengono a galla le criticità più insidiose di un periodo così apparentemente idilliaco.
Due i meriti principali dell’opera. In primis Elena Stancanelli padroneggia una scrittura pulita e diretta, la cui efficacia è dimostrata dal fatto stesso di far apparire scorrevole una trattazione sulla storia socio-economica dell’Italia degli anni 70-80. L’argomento, che in teoria non si presterebbe ad una lettura leggera, diventa invece base per una panoramica avvincente, rendendo il romanzo fruibile e accattivante. Il che è particolarmente apprezzato quando si tratta di ripercorrere un’epoca che nei programmi scolastici viene del tutto ignorata, nonostante contenga in nuce molte delle risposte che spiegherebbero a “noi giovani” il perché viviamo in un’Italia tanto precaria.
Il secondo “grazie” alla Stancanelli va invece per la sua capacità di raccontare l’epoca dei “boomer” senza “fare la boomer”. L’autrice, infatti, pur immergendosi tra le gloriose rovine che fecero da sfondo alla sua giovinezza, non si abbandona a patetismi e traccia degli acutissimi collegamenti con l’attualità. Soprattutto nella parte iniziale e in quella finale vengono messi in luce parallelismi e differenze tra le due epoche con grande sagacia. Ad esempio viene fatto notare come molte delle preoccupazioni odierne, come l’inquinamento provocato dagli allevamenti intensivi di carne piuttosto che lo smaltimento delle microplastiche, fino a cinquant’anni fa non erano minimamente contemplati e anzi, in alcuni casi erano addirittura glorificati (basti pensare al Nobel ricevuto nel 1963 da Natta per l’invenzione del polimero della plastica). Ma la più importante riflessione dell’autrice riguarda la presa di coscienza dei problemi che oggi i giovani devono affrontare per risollevarsi nella precarietà in cui versa il nostro Paese.
Principale nota a sfavore è la sensazione che quest’opera non abbia esaurito tutto il suo potenziale. Con “Il tuffatore”, infatti, la Stancanelli sembra non riuscire a prendere una posizione. Schierandosi dalla parte delle riflessioni saggistiche e documentative, evita del tutto di romanzare la vicenda che racconta; ma al contempo la ricerca di uno stile leggero, costruito spesso per aneddoti, impedisce il crearsi di un quadro generale esaustivo e davvero completo. Forse un’opera più estesa avrebbe soddisfatto entrambe le esigenze, senza apparire come un libro di rapida fruizione su un argomento che invece necessiterebbe un po’ di peso in più.