“Tornare dal Bosco” di Maddalena Vaglio Tanet – Premio Strega 2023
“Tornare dal bosco” è il romanzo con cui Maddalena Vaglio Tanet esordisce nell’editoria per adulti, dopo essersi dedicata alla poesia e ai libri per ragazzi. Selezionato all’interno della dozzina del Premio Strega, “Tornare dal bosco” ci immerge nel mondo della provincia biellese degli anni ’70, dove un terribile avvenimento sconvolge le vite apparentemente tranquille e banali dei suoi abitanti, che si trovano ora in preda a dubbi e domande la cui risposta appare introvabile.
Silvia e Giovanna: lo specchio di un’umanità sgangherata
La protagonista è Silvia, maestra della scuola elementare del piccolo paesino di Bioglio. Silvia è la maestra: non è sposata, non ha figli, non è una donna di casa, tanto che il tavolo su cui fa colazione ogni mattina è tappezzato di macchie di caffè mai pulite. L’unico ruolo in cui si riconosce è quello della maestra, lavoro che per lei, orfana cresciuta in un collegio in Svizzera, è una vocazione e un tentativo di rivalsa: le suore l’hanno educata senza un briciolo di amore e di comprensione, a forza di quegli stessi soprusi (“[Una suora] picchiava forte, mi ricordo le nocche gialle e viola che aveva quando stringeva la bacchetta”, “Tornare dal bosco”, p.165) che l’hanno portata a decidere che lei come loro, come le “grandi mortificatrici” (“Tornare dal Bosco”, p.153), non sarebbe mai diventata. Alunna di Silvia è Giovanna, una ragazzina di 11 anni che, come lei, ha alle spalle una situazione difficile: un padre violento, una madre che non riesce a stare dietro ai cambiamenti fisici e psicologici che la figlia, precoce rispetto a tutte le altre ragazzine, sta vivendo. Silvia prende molto a cuore la situazione di Giovanna, già bocciata in precedenza, forse perché si rivede un po’ in lei: cresciuta in un ambiente povero di affetto e senza qualcuno che credesse nelle sue capacità, la maestra decide di aiutare Giovanna nei compiti e nel recupero delle insufficienze, diventando quella guida che lei non ha mai avuto. Giovanna, però, da qualche tempo è cambiata: è più strafottente de solito, salta molti giorni di scuola, prende brutti voti e sembra diventata insensibile pure alle botte del padre (“Due sberle in più, maestra…”, “Tornare dal bosco”, p.32). Silvia ritiene che l’unica soluzione sia chiamare a casa: parla alla madre di Giovanna, premurandosi che alla bambina non venga fatto nulla di male e che siano i genitori stessi ad aiutarla a tornare in carreggiata. La madre non è in grado di affrontarla, di capire che la figlia non salta la scuola e prende brutti voti perché vuole sfidare l’autorità dei genitori, ma perché, forse, qualcosa non va. Decide che l’unica soluzione è riferire tutto al marito e non cambia idea nemmeno quando Giovanna le dice che, se dovesse farlo davvero, lei allora si ucciderebbe. D’altronde, quale ragazzina di undici anni farebbe mai una cosa simile? Beh, Giovanna lo fa: sale sul davanzale della finestra e si butta nel torrente sottostante.
“Si sentiva offesa e remotissima, voleva tornare giù [dal davanzale] in qualche modo, ma anche non tornare più. Di chiaro aveva in testa solo una cosa: non voleva essere punita. Semmai voleva punire. L’avevano trovata a tre chilometri dalla valle”
Maddalena Vaglio Tanet, “Tornare dal bosco”, Marsilio, 2023, p.46
Il bosco: quando il lutto è troppo doloroso per essere affrontato
Silvia legge la notizia sul giornale della mattina seguente, mentre si dirige velocemente a scuola: sul volto un’espressione impassibile quasi innaturale, nel cuore un dolore che è troppo grande per poter essere elaborato, figuriamoci affrontato. La maestra, quasi spinta da una forza misteriosa, si dirige verso il bosco.
“Invece di andare a scuola, la maestra entrò nel bosco. Stringeva in una mano il giornale che aveva appena comprato e nell’altra la borsa di cuoio con dentro i quaderni, i compiti corretti e le penne e le matite ben temperate. Lasciò la strada senza esitare, come se il bosco fosse stato fin da subito la sua meta”
Maddalena Vaglio Tanet, “Tornare dal bosco”, Marsilio, 2023, p.9.
Il bosco nel libro della Vaglio Tanet assume molteplici significati. Innanzitutto, il bosco è per Silvia una seconda casa, un luogo di cui fidarsi e che conosce molto bene, perché abituata fin da piccola ad andarci in compagnia del cugino Anselmo. Qui piante e animali nascono e muoiono, ma seguendo il corso della natura, senza colpa e senza peccato: il bosco diventa allora il luogo in cui Silvia vuole liberarsi da una coscienza che non smette di farla sentire in colpa, di farle pensare che se solo se ne fosse stata zitta, Giovanna sarebbe ancora viva. La maestra trova un vecchio capanno abbandonato, ci entra e poco dopo la soglia si lascia cadere a terra. Da questo momento in poi, Silvia si fa bosco: accucciata a terra e lontana da qualsiasi forma di umanità, si abbandona ai rumori della natura, al fruscio del vento che scuote la betulla poco fuori dall’uscio, al fischio degli uccelli e al rumore degli animali che si aggirano vicino al capanno, diventando quasi un tutt’uno con un bosco che la Vaglio Tanet descrive in modo magistrale.
“Attraverso la porta della baracca Silvia intravede una betulla con i suoi frutti. […] I frutti della betulla somigliano a dei salamini bruni pendenti che sfarinano al primo contatto, liberando i semi. Tutto quello che pende, pencola o sta impiccato al suo sostegno le sta bene. Lei stessa si sente così, un fagotto appeso alla vita per un picciolo striminzito che potrebbe anche essere un cappio…”.
Maddalena Vaglio Tanet, “Tornare dal bosco”, Marsilio, 2023, p.28.
L’autrice catapulta il lettore in una sorta di viaggio introspettivo-allucinatorio: la maestra, complice la mancanza di cibo e acqua, inizia ad avere tutta una serie di allucinazioni visive e uditorie che riportano a galla traumi antichi e presenti: vede sua nonna che trascina i piedi, nascosti da pesanti pantofole, Giovanna, con i capelli e la fronte zuppi dell’acqua del torrente in cui è morta (“Ho fatto la doccia” spiega lei) e le suore del collegio, fantasmi di una mente ormai spezzata, contro le quali nutre rabbia e rancore, perché loro si meriterebbero un’alunna morta suicida, non lei.
Tornare dal bosco: chi torna?
Nel mentre, al paese la cercano tutti: il cugino Anselmo, Luisa, la moglie di lui, le altre maestre della scuola, persino la stampa. Silvia, che per tutta la vita non ha fatto altro che nascondersi dall’attenzione altrui, finisce per attirarsela tutta addosso: la gente del paese inizia a passare in rassegna episodi della sua vita, il suo aspetto, la sua dedizione al lavoro che ora assume le tinte fosche di un’ossessione, come dicono le malelingue.
“Una persona sola, senza affetti […] Si attacca ai suoi alunni più del dovuto, non so come dire. In maniera morbosa. Cioè, sono tutto quello che ha. […] Mia suocera che la conosce bene dice che anche da ragazzina non era proprio in quadro”.
Maddalena Vaglio Tanet, “Tornare dal bosco”, Marsilio, 2023, p.74.
La dimensione in cui la Vaglio Tanet ci immerge è quella di una provincia chiusa di mente che non concede spazio o credito a chi è diverso o più sensibile degli altri: i sentimenti non si esprimono, si tacciono, le opinioni non si palesano, si nascondono, perché l’unica cosa importante è tirare avanti. Sei stanco? Non demordi. Soffri? Sopporti. Sei triste? Fai qualcosa, l’importante è non lasciare che l’emotività abbia il sopravvento, ed è per questo che Silvia non può stare a Bioglio: per lei e per il suo dolore non c’è spazio. A impedirle di andare totalmente alla deriva, arriva però un altro diverso come lei. Martino frequenta le elementari di Bioglio, è originario di Torino e si è trasferito nella provincia biellese perché è asmatico e ha bisogno di aria pulita. A lui il paese non piace, perché per tutti è il forestiero, quello che a Bioglio non ci è nato e a cui quindi non appartiene. Martino decide un giorno di addentrarsi nel bosco e trova il capanno in cui si trova la maestra Silvia. Da questo momento in poi, l’autrice ci racconta del rapporto che si crea tra i due, fatto di gesti semplici (Silvia gli racconta della sua infanzia, Martino le porta da bere e da mangiare) e di una strana inversione di ruoli: è il bambino ad accudire l’adulto, è l’alunno a prendersi cura della maestra, e lo fa nel modo ingenuo ed estremamente dolce in cui solo un bambino potrebbe farlo.
“Silvia Canepa sapeva di pipì, sudore e vestiti ammuffiti[…] Si chiese se dovesse dire qualcosa, provare a parlare. Come si parla a una maestra nascosta che puzza di piscio? “
Maddalena Vaglio Tanet, “Tornare dal bosco”, Marsilio, 2023, p.74.
Come prevedibile già dal titolo, Silvia tornerà dal bosco, ma come tornerà? O meglio, cosa tornerà di lei? La Vaglio Tanet lascia che sia il lettore a trarre le proprie conclusioni, non fornisce mai una risposta, nemmeno alla morte di Giovanna. Lo stesso triste destino accomuna alunna e maestra, quello, cioè, di non riuscire a spiegare in prima persona il movente che sta dietro le loro azioni, lasciando che siano gli altri del paese e noi lettori a trarre le fila delle loro storie di inquietudine interiore.
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