Shakespeare e The Last of Us: due universi paralleli
Raccontare storie per intrattenere un pubblico e riflettere sul mondo è una prerogativa dei libri quanto dei videogiochi, tanto che due medium come questi, pur sembrando opposti, sono invece complementari e pescano a piene mani l’uno nell’altro. In “The Last Of Us”, considerato uno dei migliori videogiochi di sempre, con più di 200 premi dedicati, sono per esempio numerosi i richiami a Shakespeare, a riprova di come anche la letteratura più classica si possa riversare in opere contemporanee.
Allora perché non considerare anche il videogioco un’opportunità di conoscenza e riflessione e non solo un puro atto di divertimento?
Amleto e The Last Of Us sono l’esempio lampante di questo concetto: entrambi danno la possibilità al fruitore di riflettere su temi esistenziali quali la vita, la morte, il rancore e l’odio che sfociano in una vendetta sanguinaria.
Attenzione: nella lettura sono presenti spoiler sulla trama di “The Last Of Us”
Una storia drammatica
“The Last Us” racconta le vicende di Joel, un padre che perde sua figlia durante una sorta di pandemia “zombie” e dopo diversi anni si ritrova ad intraprendere un viaggio con una ragazza di nome Ellie che immune al morbo, è unica ancora di salvezza per un’umanità alla ricerca di un vaccino. Il videogioco nella sua semplicità di trama ha conquistato i cuori dei giocatori, grazie ad una narrativa coinvolgente e psicologicamente complessa.
Lo stesso accade per il sequel: “The Last of Us Part II”. La trama stavolta si è evoluta e i protagonisti anche se per poco, non sono più coinvolti in una lotta alla sopravvivenza contro la pandemia-zombie, bensì affrontano un vero turbinio di drammi personali. Joel dopo aver salvato Ellie uccidendo il dottore che avrebbe dovuto sacrificarla per creare un vaccino, viene a sua volta ucciso senza pietà da Abby, la figlia del dottore stesso. Così nasce una storia di vendetta: la giovane Ellie insieme ai suoi compagni – la sua ragazza Dina, e Tommy, il fratello di Joel –, parte alla ricerca di Abby, un mostro da eliminare, o per lo meno così appare anche agli occhi dei gamer che hanno assistito al massacro del loro “eroe” preferito. Eppure, “The Last Of Us Part II” riesce a proiettarci violentemente nell’ottica di una verità più complessa, mostrandoci anche le ragioni di Abby, che da bambina aveva visto Joel uccidere a bruciapelo suo padre e aveva a propria volta covato un desiderio di vendetta. In questo modo al giocatore vengono dati gli strumenti per comprendere le azioni di Ellie ed Abby, che si rivelano come due facce di una stessa medaglia, entrambe ossessionate dalla vendetta come unico modo di elaborare un lutto, entrambe ugualmente condannabili e giustificabili.
The Last Of Us e Amleto: un paragone di vendetta
Emblema dell’uomo moderno, il principe di Danimarca Amleto è forse l’eroe tragico che più si avvicina a noi1. Nell’intreccio shakespeariano la sua mente si divide tra la responsabilità di dover vendicare l’assassinio del padre ucciso dallo zio con ancora con «tutte le sue colpe sul capo», e i dubbi che gli impediscono di eseguire ciecamente un ordine di vendetta, portandolo a ragionare sulle sue azioni e sul mondo corrotto dove vive, un mondo talmente depravato da permettere ad un uomo di uccidere suo fratello per ottenere corona e regina.
In due universi apparentemente opposti – uno con gli “zombie” e l’altro con “i fantasmi” – “The Last of Us” e “Amleto” ricalcano, invece, le stesse tematiche, tanto da far pensare che gli sceneggiatori del videogioco ne abbiano scritto la trama mentre leggevano Shakespeare. Entrambi ruotano attorno alla vendetta: parola chiave di ambedue le opere. Ellie, Abby e Amleto rincorrono tutti una giustizia “fai da te”, vista come unica soluzione per essere in pace.
«Amleto: Parla, sono obbligato ad ascoltare.
Fantasma: e lo sarai a compiere la vendetta, quando avrai udito.
Amleto: Che cosa?
Fantasma: Io sono lo spirito di tuo padre, dannato per un certo tempo a vagare di notte, e a digiunare tra le fiamme durante il giorno (…) O Amleto (…) mentre dormivo nel mio giardino, come sempre era mia abitudine nel pomeriggio, in quell’ora tranquilla tuo zio entrò di soppiatto, con in una fiala il succo di una pianta maledetta, e nel cavo delle orecchie mi versò quel liquido canceroso. (…) così mentre dormivo, dalla mano di un fratello fui in un sol colpo privato della vita (…) mandato a rendere conto a Dio con tutte le mie colpe sul capo».
– Shakespeare, Hamlet, atto V –
Il vendicatore che si ritrova a dover uccidere l’assassino di un suo caro per volontà propria o di un altro è una figura tipica di molte narrazioni, anche in testi precedenti all’Amleto e se ne possono distinguere due modelli. Uno di questi è il “vecchio” vendicatore, tipico per esempio di opere come La tragedia Spagnola (1587) di Thomas Kyd, concretizzato in un personaggio che accetta subito il suo onere e parte immediatamente alla ricerca di giustizia. Invece il modello di nuovo vendicatore, delineato per la prima volta nell’ Amleto, si sostanzia nel non accettare a priori il proprio ruolo a causa di dubbi esistenziali, morali o addirittura di un’indagine volta ad assicurarsi della veridicità dei fatti.
Nella prima parte di “The Last of Us Part 2”, Ellie si avvicina al modello del vecchio vendicatore: quando Joel viene ucciso non ci pensa due volte e si mette subito nei panni di una piccola e ossuta giustiziera; non si pone dubbi sul fatto che ciò possa essere giusto o meno. È pronta a passare dalla parte dei cattivi, a tingersi le mani e gli occhi di rosso, pur di cancellare un trauma e un lutto non elaborato.
Nella seconda parte del gioco, invece, Ellie inizia a riflettere sulla sua scelta, veste i panni di un nuovo vendicatore, più amletico, e arriva quasi ad abbandonare l’idea della vendetta.
La stessa dinamicità nel passare da un modello di vendicatore all’altro caratterizza anche Abby che, esattamente come Ellie, non si è data pace dall’assassinio del padre e sembrerebbe non aver avuto dubbi sul fatto di vendicarsi. La vediamo sbriciolare la vita di Joel senza alcuna esitazione con un pugno duro e privo di qualsiasi pietà. Sadicamente gode nel vederlo soffrire come se questo fosse per lei un processo di catarsi.
Ma in un secondo momento anche Abby lascia perdere la vendetta, decidendo di risparmiare la vita di Ellie anche quando ha la possibilità di ucciderla.
Questa complessità psicologica è un lascito delle innovazioni shakespeariane: il ruolo del vendicatore non è statico, ma è soggetto alle variazioni dello spirito umano. Così il vendicatore shakespeariano non è un uomo che esegue un’azione, ma un uomo che ragiona sull’azione da eseguire, decidendo di volta in volta se compierla o meno. Ellie ed Abby ricalcano per molti versi i tratti di un’umanità che prima non ragiona, ma poi rinsavisce mettendosi in dubbio2 .
Due vendette, due percorsi opposti
La ricerca della verità viene perseguita attraverso una costante messa in discussione di sé stessi e delle proprie azioni. Se per Amleto ciò accadeva con dubbi di natura esistenziale (“essere o non essere”), per Ellie e Abby i dubbi riguardano argomenti di una natura più pragmatica, legati a eventi del gioco. Al contrario di Amleto, le due ragazze non approdano alla certezza di doversi vendicare, ma alla consapevolezza dell’inutilità della vendetta.
La vendetta di Amleto possiede poi un valore diverso rispetto a quello rappresentato in The Last of Us: riguarda concetti come l’onore e l’onere, più che il bisogno personale di superare un lutto. Inoltre, per Amleto fare giustizia sarà un compito affidato da un personaggio esterno (il fantasma del padre), mentre in The Last of Us saranno i personaggi stessi a decidere di vendicarsi.
In ogni caso la battuta di Amleto, «Maledetta crudeltà del destino, esser nato per rimetterlo a posto», calza a pennello per entrambe le vendette, poiché Ellie, Abby e Amleto si ritrovano tutti a rimettere in ordine un sistema di equilibri precedentemente spezzato.
Al contrario di Amleto, Ellie fin da subito carica su di sé le responsabilità che la spingono a partire in cerca di una sua finta ed ideale giustizia, effettuando così un percorso praticamente inverso a quello del principe. Amleto non cerca di vendicarsi fin da subito, ma anzi si ritrova sommerso in un turbinio di dubbi che ancora di più soffocano quel suo animo ancora fanciullesco e desideroso di divertimenti. È pronto a prendersi le sue responsabilità di uomo solo quando appura la verità, ma prima di caricarsi di questo onere si duole della difficoltà della vita, lamentandosi anche della sua inettitudine. È solamente negli gli ultimi atti che Amleto raggiunge la piena maturità. Ellie invece agisce subito, tempestivamente si fa carico del suo compito. Può sembrare che questo assumersi prontamente le proprie responsabilità la renda di già un’adulta, ma non è così: la sua è un’azione impulsiva, non meditata, e in qualche modo ancora irresponsabile. Ellie tanto quanto Amleto è immatura e adolescente: il suo farsi carico dell’onere vendicativo è solo un modo per soddisfare un bisogno personale e non una presa di responsabilità. Amleto, Ellie e Abby nel proseguire i loro viaggi, affronteranno poi un percorso interiore che li rende responsabili e coscienti delle loro azioni.
Il morso di Ellie e il teschio di Yorick: testimonianze di un essere passato
«Essere o non essere: questo è il problema. Se sia più nobile soffrire nell’animo i colpi e le frecce della fortuna oltraggiosa o impugnare le armi contro un mare di guai affrontandoli porre fine ad essi»
– Shakespeare, soliloquio “essere o non essere” in Hamlet –
Così esordiva l’Amleto in una delle scene più conosciute al mondo, accentuando un tema in particolare: la responsabilità e la crescita. Amleto nel dramma si trova a chiedersi perché non riesca ad agire anche se ha tutte le motivazioni per farlo e cresce in un percorso che lo porta ad essere un uomo, a prendersi le proprie responsabilità e quindi ad abbandonare il mondo adolescenziale per entrare pienamente nel mondo degli adulti. Il principe passa dal “non essere” maturo, all’ “essere” adulto. Allo stesso modo un personaggio come Ellie cambia psicologicamente durante l’esperienza videoludica, arrivando ad assumere una consapevolezza maggiore delle sue azioni, senza essere trasportata da un’emotività adolescenziale come accadeva nelle prime battute di gioco.
La conquista delle proprie responsabilità avviene sia per Ellie che per Amleto, precisamente il principe entra nel mondo adulto quando ritrova il teschio del buffone di corte: Yorik, emerso dalla fossa scavata per seppellire Ophelia. Un cranio consumato dal tempo, simbolo di un qualcuno che è esistito, ma che ormai non esiste più, proprio come Amleto, che ha perso la sua innocenza di giovane per trasformarsi in un vendicatore. Allo stesso modo il morso di uno zombie sul braccio di Ellie, nascosto prima da una bruciatura, poi da un tatuaggio, è anch’esso un simbolo che rappresenta lei e il suo passato celato.
Testimone di un “essere” passato: il morso rappresenta una vecchia Ellie, quella del primo “The last of Us”, ma anche ciò che sarà sempre costretta ad essere: immune, speciale e diversa. Metaforicamente parlando il morso rappresenta una Ellie più infantile, che nel secondo videogioco viene sopraffatta da una nuova coscienza di sé, meno spensierata e più cupa e se Amleto abbandona totalmente il suo “essere” precedente, gettando subito il cranio di Yorik nella fossa, Ellie non può cancellare il suo morso, la sua immunità, ma può solo nasconderla. Il nesso che collega i due oggetti, il teschio e il morso, è comunque evidente, perché entrambi possiedono la stessa valenza simbolica: testimoniano il passaggio dall’età infantile a quella adulta.
Shakespeare in un prodotto ultramoderno
Shakespeare è riuscito a cambiare l’immaginario collettivo, dando vita a esemplari di umanità che si imprimono nella cultura di ogni epoca attraverso una prospettiva unica e impareggiabile che riverbera anche in storie non originali. The Last of Us part II ci guida in un percorso di elaborazione di un lutto che si risolve nella rinuncia alla vendetta, mostrando quell’unica e impareggiabile prospettiva di un meccanismo psicologico innescatosi in personaggi complessi e imprevedibili. Proprio come il principe, i protagonisti di TLOU sono umani che ragionano e non ragionano, si disprezzano e si giustificano3, ma alla fine devono fare i conti con le loro scelte. In questo modo Amleto nell’incarnare i valori di un uomo moderno che sa mettersi in discussione, diventa termine di paragone, riflessione e interpretazione di un gioco che a suo modo ci mostra la “crescita” o “decrescita” psicologica dei personaggi. Ed è così che nello sguardo di Ellie si scorge un’anima amletica, incupita dalla ricerca di vendetta verso l’assassinio di un “padre” ancora afflitto dal peccato4, o per meglio dire, di un uomo che non è stato perdonato.
Note
- Vedi, Harold bloom, Shakespeare: The invention of the Human, 1998 ↩︎
- Per approfondire ↩︎
- Ibidem ↩︎
- Joel prima del suo assassinio aveva litigato con Ellie e non viene perdonato (vedi anche par. “esame della realtà” in la mancata elaborazione del lutto in TLOU2). Questo accade, in un certo senso, anche in Amleto: il re prima di essere assassinato non si è confessato e quindi è morto senza aver ricevuto il perdono. ↩︎
4 commenti
Francesca
Da amante della letteratura apprezzo molto come l’autrice dell’articolo abbia utilizzato uno strumento moderno come il videogioco per presentare ad un pubblico giovane ma anche meno giovane il mondo della letteratura.
Le persone credono che i classici trattino temi lontani da loro ma in queste righe è chiaro come anche nel moderno questi argomenti vivono e possono essere ritrovati pure nell’allettante forma d’intrattenimento che è il videogioco.
Le parole suggestive invitano il lettore ad immergersi in questo mondo virtuale non solo con un ludico desiderio di passare il tempo ma con uno sguardo critico in quella che è la complessità dell’animo umano, arrivando ad apprezzare le sue sfumature allontanandosi dalla banale interpretazione del mondo o bianco o nero, o male o bene.
Che dire…non vedo l’ora di giocare!
Valeria
Il paragone tra un classico della letteratura come Shakespeare e uno dei migliori videogiochi di sempre, può sembrare assurdo all’inizio, ma più si prosegue nella lettura (da sottolineare anche come questa scorra meravigliosamente), più si è convinti e coinvolti; si colgono tutti i paralleli che non sarebbero potuti essere facilmente accostati prima di leggere quest’articolo.
Solo tre parole: Veramente Ben Fatto!
Roberta Cacchiarelli
Davvero molto interessante!
Spesso videogiochi e letteratura vengono considerati come due mondi distanti che non hanno nulla in comune. Qui emergono invece tutti i punti di contatto tra un colosso come Shakespeare e un videogame famoso. Parallelismi che magari non saltano subito all’occhio dei meno esperti ma che, grazie alla lettura di questo articolo, diventano evidenti e curiosamente sfiziosi.
Manuel
Molto interessante.