Teatro alla Scala: “… a riveder le stelle”, 7 dicembre 2020
7 , il giorno di dicembre che ogni amante dell’opera o della musica classica in generale aspetta con più apprensione del Natale. Quel giorno la casella del calendario dell’avvento diventa un sipario che aprendosi inaugura la Stagione del Teatro alla Scala. I musicisti della Filarmonica imbracciano i loro strumenti, il Maestro dà l’attacco, la musica si diffonde in sala fino a riempire del suo respiro ogni palco, fin su alla galleria.
C’è chi ascolta a occhi chiusi e chi guarda fisso il palcoscenico, c’è chi parla e chi viene zittito, c’è chi critica e chi applaude. C’è chi indossa una pelliccia e chi manifesta fuori dal teatro, chi ha pagato il biglietto, chi guarda lo spettacolo dal maxischermo in piazza e chi segue la diretta streaming da casa. Ci sono molte persone a Milano il 7 dicembre, il giorno di Sant’Ambrogio, patrono della città. Anche a chi l’opera non interessa, piace uscire quel giorno, magari per comprare qualche pensierino natalizio alla Fiera degli Obej Obej.
Tuttavia quello del 2020 è un 7 dicembre diverso: il pubblico in sala non c’è. All’interno del Teatro alla Scala, i musicisti, gli artisti, i ballerini sono soli. E senza brusio di sottofondo, senza essere abbagliati dai vistosi gioielli delle signore in prima fila, sono pronti a esibirsi. Perché il 7 dicembre a Milano ci sono tante cose, ma una su tutte non può mancare: la musica.
Dal progetto alla rappresentazione
“La produzione di Lucia di Lammermoor con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Yannis Kokkos con cui il Teatro alla Scala progettava di inaugurare la Stagione 2020/2021 è stata rimandata a causa del peggioramento dell’emergenza sanitaria.”. Con queste parole il Teatro annuncia l’impossibilità di mettere in scena l’opera prevista in cartellone.
Un’opera, la Lucia di Lammermoor, in onore e sostegno alla città di Bergamo, che diede i natali nel 1797 al suo compositore: Gaetano Donizetti. Celebrare la città con l’opera di uno dei suoi più celebri figli, un nobile progetto che non del tutto è svanito, nonostante le complicazioni. Perché in questo 7 dicembre c’era anche Donizetti tra gli autori dei brani eseguiti nel galà lirico intitolato “… a riveder le stelle” proposto in alternativa alla Lucia di Lammermoor. Verdi, Puccini, Čajkovskij, Bizet, Nureyev, perfino Dante nel titolo e molti altri compositori, coreografi e poeti hanno accompagnato questa serata d’eccezione in un contesto eccezionale, nel susseguirsi di arie d’opera, balletti, poesie e prosa che è il risultato finale di questa anomala prima.
Lo spettacolo ha visto riunita la famiglia del Teatro alla Scala al completo: l’orchestra, i ballerini, il coro e tutti i tecnici di palcoscenico hanno dato il loro contributo alla serata, creando una perfetta cornice alle esibizioni dei numerosi solisti invitati per l’occasione. Protagonisti dello spettacolo: 23 tra le più importati voci dello scenario mondiale della musica lirica, i primi ballerini del Teatro, affermati attori che hanno prestato la loro voce ai testi accuratamente scelti per l’occasione, il tutto coordinato dalla regia di Davide Livermore e sotto la bacchetta del Maestro Riccardo Chailly, direttore musicale del Teatro.
Nessuno in sala, nessun maxischermo allestito nelle piazze milanesi, nessuna proiezione in diretta nei cinema della città, ma tutti i televisori accesi nelle case. Infatti, il concerto è stato trasmesso da Rai1 alle ore 17:00, totalizzando 2.608.000 spettatori e il 14,7% di Share. Un risultato poco al di sotto della diretta di Tosca, l’opera d’apertura della scorsa Stagione. Con una sola sostanziale differenza: il concerto di quest’anno non era in diretta. Nei giorni precedenti a Sant’Ambrogio tutti i brani in programma sono stati registrati più volte e in più versioni, scegliendo poi la migliore da mandare in onda, annichilendo così il brivido dell’imperfezione sempre in agguato che caratterizza ogni prima scaligera.
Il motto della serata, “Quest’anno saremo tutti in prima fila”, accattivante ma che allo stesso tempo nasconde un retrogusto di amara tristezza, è la perfetta sintesi del privilegio cinematografico, che ha il vantaggio di condurre lo spettatore per mano in ogni angolo del palcoscenico attraverso il movimento della telecamera. Lo sguardo televisivo offre la miglior visione possibile ad ogni spettatore, e ha la capacità di focalizzare l’attenzione di chi guarda su particolari ben precisi in ogni istante, penalizzando però la visione complessiva d’insieme e limitando la libertà dello spettatore fisicamente presente di far vagare lo sguardo a suo piacimento per tutto il teatro.
L’importanza storica dell’inaugurazione della nuova Stagione del Teatro alla Scala
Ripercorrendo la storia del Teatro dai suoi albori, è possibile comprendere il forte legame tra la Scala, la città di Milano e la serata d’apertura della nuova Stagione.
Il “nuovo” Teatro alla Scala venne inaugurato lunedì 3 agosto 1778 con l’opera “L’Europa riconosciuta” di Antonio Salieri (il “rivale” di Mozart nel celebre film “Amadeus”, liberamente ispirato alla vita del compositore austriaco). La costruzione del “Nuovo Regio Ducal Teatro” venne affidata alle cure di Giuseppe Piermarini, architetto di corte, sul luogo di una vecchia chiesa ormai diroccata, Santa Maria alla Scala, dalla quale il Teatro prenderà successivamente il nome.
Il bisogno di un nuovo teatro per la città di Milano nacque dalla necessità urgente di sostituire il Teatro Regio Ducale, andato distrutto in un incendio. All’epoca non era affatto raro che i teatri andassero a fuoco, in quanto costruiti in legno (per la difficoltà di innalzare soffitti a grande arcata in muratura senza colonne di sostegno) e illuminati dalla fiamma libera delle candele. Per il nuovo teatro milanese, il primo di questi problemi venne risolto al momento della sua costruzione, decidendo per la realizzazione di un edificio in muratura grazie alle abilità del Piermarini, mentre per la risoluzione della seconda questione bisognerà aspettare un’altra prima dall’eccezionale importanza storica, quella dell’anno 1883.
La notte di Santo Stefano (giorno scelto in passato per le inaugurazioni) del 1883, in occasione dell’apertura della nuova Stagione con l’opera “La Gioconda” di Amilcare Ponchielli, il Teatro alla Scala venne illuminato per la prima volta da una sorprendente e inattesa luce: centinaia di lampadine elettriche accese dalla centrale Edison di Santa Radegonda sostituirono le ormai obsolete lampade a olio. Il Corriere della Sera quell’anno fu testimone non solo dello straordinario trionfo dell’opera di Ponchielli, ma anche dello stupore dei presenti nel vedere la Scala illuminata “a giorno” da un’ignifuga luce elettrica.
La decisione di far coincidere l’inaugurazione della Stagione del Teatro alla Scala con il giorno di Sant’Ambrogio, patrono di Milano, risale al 1951. Il legame tra il Teatro e la città era diventato ancor più forte a seguito della ricostruzione dell’edificio, parzialmente distrutto dai bombardamenti inglesi su Milano nella notte tra il 15 e 16 agosto 1943. Il teatro ricostruito venne inaugurato l’11 maggio 1946 con uno straordinario concerto diretto da Arturo Toscanini, tornato in Italia dal suo esilio americano che aveva intrapreso per opposizione al regime fascista.
Dal 1951 ad oggi, il Teatro alla Scala ha sempre rispettato la tradizione di inaugurare la propria Stagione il giorno di Sant’Ambrogio, ricorrenza che anche in questo 2020 non è potuta mancare.
Il programma della serata: … a riveder le stelle
Nel titolo un tangibile bisogno di non perdere la speranza: come Dante è tornato a riveder le stelle, anche noi riusciremo a uscire dall’inferno. Il programma della serata ha presentato brani della tradizione operistica a cavallo tra ottocento e novecento, scelti tra molti per la loro valenza simbolica nel percorso verso “le stelle” e appositamente selezionati per calzare a pennello alle voci dei solisti. Ogni aria ha segnato una tappa della strada che dal buio profondo ha portato alla splendente meta celeste al termine del concerto.
Infatti, la serata si è aperta con il Preludio da Rigoletto di Giuseppe Verdi, un brano sinfonico che nel suo incipit affidato alla tromba solista, scandisce le parole “quel vecchio maledivami”, pronunciate successivamente nel corso dell’opera dal protagonista, parole che preannunciano la morte. E si è conclusa con l’aria “Nessun dorma” da Turandot di Giacomo Puccini (che al suo interno custodisce la famosissima frase “all’alba vincerò”), seguita dal finale del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini “Tutto cangia, il ciel s’abbella”, per l’occasione ambientati in un suggestivo scenario di corpi celesti digitali e accompagnati da una visione della città di Milano dall’alto contornata dal cielo stellato.
A parte Rossini, che ha visto coinvolti sette cantanti contemporaneamente (ben distanziati sul grande palcoscenico scaligero), i brani ascoltati nel corso del concerto erano tutti arie, una forma musicale per voce solista nella quale i cantanti-personaggi si trovano da soli in scena. All’interno dell’opera, l’aria è per eccellenza il momento di più tenera introspezione, dove il personaggio può urlare al mondo la sua rabbia, dichiarare il suo amore, esprimere la sua gioia in un personalissimo discorso interiore.
La mancanza di duetti, terzetti, quartetti e delle altre forme per più voci ha condotto la serata attraverso una narrazione molto introspettiva, come se il racconto fosse sempre in prima persona, presentando però una carenza nella dinamicità della scena dovuta dall’assenza dei dialoghi, momenti nei quali i personaggi interagiscono tra di loro portando avanti l’azione.
La scelta di selezionare le “arie di baule” dei vari solisti (ovvero i loro cavalli di battaglia), sommata alla solennità del discorso interiore del “solo” ha raggiunto come risultato un piacevole virtuosismo incorniciato nella solennità del pensiero interiore: arie difficili e per le quali il pubblico solitamente tende l’orecchio per apprezzare o denigrare ogni sfumatura o sbavatura, sono state perfettamente incastonate in un contesto generale di riflessione personale che inconsciamente ha portato il pubblico a immedesimarsi nel personaggio-cantante e nella storia sempre più ad ogni parola, ogni frase, ogni discorso. Un perfetto connubio per esaltare la bravura dei cantanti ma senza perdere di vista il significato profondo e solenne che questa prima ha per il 2020.
Le esibizioni dei ballerini (musicalmente dirette dal Maestro Michele Gamba), sono stati dei perfetti intermezzi nel flusso narrativo della serata, ad eccezione della performance “Waves” dell’étoile Roberto Bolle: sicuramente impeccabile ma poco coerente con il resto dello spettacolo.
La regia di Davide Livermore
Per la terza volta consecutiva, il regista della serata inaugurale della Stagione è Davide Livermore, al quale è stato chiesto con pochissimo preavviso di creare delle scene che potessero incorniciare le molteplici arie, di diverse opere, interpretate da diversi cantanti. La sua regia per Attila del 2018 è stata molto apprezzata e ha confermato a tutti le grandi potenzialità del regista, quella di Tosca del 2019 è stata un successo e ha rivelato le sue abilità. Quella del 2020 per “… a riveder le stelle” non è riuscita a eguagliare le precedenti ma ha comunque raggiunto un ottimo risultato. Non è difficile intuire la complessità del compito assegnatoli: trovare un filo conduttore che riuscisse a legare in un unico contesto arie e opere distanti svariati decenni e svariati chilometri l’una dall’altra.
Molto d’impatto le sue cornici più minimaliste, nelle quali utilizza gli strumenti digitali a sua disposizione per creare sfondi in movimento per contornare la scena, la quale grazie a questa trovata registica risulta molto più dinamica. Un eccellente esempio sono le ombre proiettate durante l’aria “Tu? Tu? Piccolo Iddio” da Madama Butterfly di Giacomo Puccini, in perfetta simbiosi con il tragico suicidio della protagonista Cio-Cio-San.
Meno affascinanti, invece, le ambientazioni in cui Livermore utilizza grandi oggetti scenici (di recupero da altre rappresentazioni scaligere, visto il poco tempo per prepararne di nuovi), che hanno messo in mostra in maniera quasi ridondante il marchio distintivo del regista: negli anni Livermore ci ha insegnato a conoscere la sua visione di un “novecento distopico” che a quanto pare adora applicare a ogni situazione che lo permetta. Uomini in divisa, scenario da rivoluzione industriale, metalli e macchine, grigio, grigio e ancora grigio.
In ogni caso, con il poco preavviso concessogli – ricordiamo che la regia della Lucia di Lammermoor inizialmente era stata affidata a Yannis Kokkos – il risultato finale raggiunto dal regista non può che essere considerato un magnifico lavoro al quale pochi altri avrebbero potuto aspirare. Lo scorso anno, Livermore ha trovato per Tosca una chiave di lettura che gli ha permesso di ricevere ottimi commenti, tant’è che tra tanti è stato scelto proprio lui per questa anomala prima del 2020 organizzata all’ultimo momento.
Ma quindi, viste le prerogative con le quali ha entusiasmato la critica nelle passate rappresentazioni, perché non pretendere da lui qualcosa in più? Sarebbe stato interessante conoscerlo sotto altri punti di vista, per caratteristiche che sicuramente possiede ma che non è ancora stato in grado di mostrare al suo pubblico.
Il mistero del Wagner scomparso: il bello della NON diretta
In diretta tutto può succedere. Ma quando si tratta di una rappresentazione pre-registrata, invece, c’è il rischio che qualcosa possa non-succedere, come ad esempio il duetto “Winterstürme wichen dem Wonnemond… Du bist der Lenz”, tratto dall’opera “Die Walküere” di Richard Wagner. Il duetto (il solo previsto per la serata), è stato registrato ma non è stato mandato in onda sulle reti televisive italiane.
Per quale motivo? Questioni burocratiche di palinsesto. Il concerto del 7 dicembre è durato all’incirca tre ore, un lasso di tempo più che ragionevole per stufarsi di sentire opera lirica, e forse oltre 10 minuti di gorgheggi in tedesco sarebbero stati per molti ascoltatori un valido motivo per cambiare canale a metà serata.
La prima di quest’anno è chiaramente stata pensata per piacere ad un pubblico più vasto della solita ristretta nicchia di melomani appassionati all’opera. Per questo motivo sono stati scelti brani sicuramente bellissimi ma prima di tutto molto famosi, a discapito di altri ugualmente apprezzabili ma più nascosti all’interno delle partiture.
Tra i cantanti…
Di certo la performance del soprano statunitense Lisette Oropesa nell’aria “Regnava nel silenzio” tratta dalla Lucia di Lammermoor di cui lei sarebbe dovuta essere la protagonista, è stata il più che ottimo risultato della consapevole preparazione vocale della cantante (dovuta al certosino lavoro sull’opera di Donizetti nei mesi passati) e di un’innata bravura comunicativa, probabilmente acquisita dal rapporto che è riuscita a maturare con il suo personaggio; un’esibizione che, però, ha lasciato un po’ di amaro in bocca: quanto sarebbe stato bello vedere Lisette nei panni di Lucia nell’opera completa!
Tra i tanti tenori si fa notare il peruviano Juan Diego Flórez (come potrebbe non farlo), elegantissimo, ironico e romantico nella giusta misura nel cantare la celebre aria “Una furtiva lagrima” da “L’elisir d’amore” di Donizetti.
Calda e profonda la voce del basso russo Ildar Abdrazakov nei panni di re Filippo II di Spagna, personaggio del Don Carlo di Giuseppe Verdi. Con la sua performance nell’aria “Ella giammai m’amò” ha riportato sul palcoscenico scaligero le emozioni che lo avevano premiato per la sua interpretazione di Attila del 2018, e non solo: Abdrazakov è ritornato dopo due anni indossando come costume di scena la stessa pelliccia! Simpatico siparietto a cura (o al contrario dovuto alla noncuranza) di Davide Livermore.
Il soprano italiano Rosa Feola ha interpretato con notevole destrezza le melodie scritte da Donizetti nell’aria “Quel guardo il cavaliere… So anch’io la virtù magica” del Don Pasquale, perfettamente a suo agio nell’affascinante contesto di Cinecittà immaginato per lei dal regista.
51 anni dopo il suo debutto in Scala e per la decima volta sul palco di una prima, l’ormai baritono (un tempo grande tenore) spagnolo Plácido Domingo ha eseguito, seppur non magistralmente, l’aria “Nemico della patria” da Andrea Chénier di Umberto Giordano all’età di 79 anni!
Degne di nota anche le performance del baritono francese Ludovic Tézier nell’aria “Per me è giunto il dì supremo… Io morrò” dal Don Carlo di Giuseppe Verdi, del soprano lettone Marina Rebeka che ha interpretato la splendida aria “Un bel dì, vedremo” da Madama Butterfly di Giacomo Puccini, e del tenore polacco Piotr Beczala (l’unico della serata a cantare due arie) che in “Nessun dorma” da Turandot ha confermato al pubblico la sua eccezionale bravura.
Questo 7 dicembre ha assicurato al pubblico esibizioni che hanno sfiorato la perfezione da parte di molti solisti, complice il fatto che le performance erano registrate, ma anche merito della formidabile orchestra scaligera e della direzione del Maestro Chailly in brani di repertorio che i musicisti conoscono a memoria e nei quali non possono sbagliare.
La prima
Guidati dalla musica nel nostro percorso “… a riveder le stelle”, possiamo rispondere a una domanda che ci ha silenziosamente accompagnato lungo tutto il nostro cammino: che cos’è la prima?
Dal punto di vista storico non ci sono dubbi: è un simbolo di innovazione e rinascita, possibile solo grazie alla celebrazione della tradizione fornita dal passato. Dal punto di vista sociale e culturale: è il perfetto equilibrio tra mondanità e arte allo stato puro nella sua forma più viscerale.
La prima di quest’anno è stata sicuramente particolare, ma anche con tutte le complicazioni del caso è riuscita a non oscurare la sua più vera e profonda identità: un evento capace di lasciare il suo segno nella storia e che da 242 anni scalda il cuore di chiunque ami la musica.
https://www.teatroallascala.org https://it.wikipedia.org/wiki/Teatro_alla_Scala