Strega di Johanne Lykke Holm – Premio Strega Europeo 2023
Recensione di “Strega” di Johanne Lykke Holm, candidato tra i cinque finalisti del Premio Strega Europeo 2023.
L’opera di Holm è una moderna fiaba gotica che si allontana quasi del tutto dalle tendenze narrative contemporanee: si tratta infatti di un romanzo fatto di descrizioni, di gesti e di percezioni. La sporadicità dei dialoghi concorre a distogliere il lettore da una trama lineare, essendo “Strega” soprattutto incentrato sull’atmosfera. Si troverà, infatti, una realtà isolata, sospesa nel tempo e nello spazio, trasognata e immersa nel silenzio. Non sarà la storia a scandire gli eventi, bensì i sensi dei personaggi, i quali dominano in una narrazione a tratti inquietante.
“Il paese si chiamava Strega e si trovava in montagna. Con il tempo imparai che Strega era una camera degli orrori, dove tutto si era pietrificato in una forma tremenda. Imparai che Strega erano boschi profondi di luce rossa. Strega erano le ragazze che si facevano le trecce a vicenda in un modo particolare. Ragazze che trasportavano grosse pietre attraverso le montagne. Ragazze che chinavano la testa e rimanevano in quella posizione. Strega era un lago e la vegetazione che lo circondava. Strega era una lampada notturna che illuminava le cose più brutte del mondo. Strega era una donna assassinata e i suoi averi. La sua valigia, i suoi capelli, le sue scatole piene di liquirizia e cioccolato.”
Pag. 12
Rafaela è la protagonista, una diciannovenne che decide di andare a Strega, un piccolo paese sulle Alpi, per lavorare all’Olympic, albergo “sorto un’estate praticamente dal nulla, come un oggetto demoniaco” (p. 34). Qui Rafaela incontra altre otto ragazze, con le quali impara a svolgere il lavoro di cameriera grazie alla guida di tre responsabili: Rex, la donna tutta d’un pezzo che non ammette repliche o eccezioni; Toni, imprevedibile figura capace di impartire punizioni e concedere privilegi senza alcuna motivazione; Costas, la maestra buona che educa e coccola.
Le ragazze insieme iniziano a vivere in simbiosi, perché “ci trattavano come un corpo unico, quindi diventammo un corpo unico. Ognuna dimenticò le proprie caratteristiche e responsabilità individuali” (p. 57). Si intuisce che nessuna di loro voglia stare a Strega, come se avessero preso la decisione comune di lavorare in quel luogo perché disilluse davanti a un mondo creato per soffocare le loro passioni, ma determinate a cominciare una vita nuova. Ciò che, infatti, traspare dall’opera, è il limitato ventaglio di scelte che la donna ha a disposizione, dunque la difficoltà di assecondare le proprie ambizioni all’interno di una società in cui il sesso femminile trova una strada ben delineata, senza la possibilità di deragliare e vivere secondo il proprio sentire. Forse è esattamente questo il motivo per il quale le sensazioni nel libro trovano grande spazio, cioè il bisogno di sottolineare come la donna sia un tempio di emozioni, e le costrizioni cui è condannata non servono ad altro che a incattivirla.
“Nessuna di noi voleva fare la domestica e nessuna voleva diventare una moglie. Eravamo state spedite lì per guadagnarci il pane, per diventare parte della società.”
Pag. 33
Qui la storia si snoda tra mansioni che rovinano prematuramente le mani e sigarette che sono una pausa dai pensieri, offrendo al lettore la possibilità di percepire la saggezza disincantata che Rafaela assume con il passare del tempo. Questa oculatezza nasce dal barlume di speranza che nella primissima parte del libro rappresenta Strega per Rafaela, speranza che poi si tramuta nella graduale consapevolezza di non poter più perseguire la strada che lei stessa ha scelto, essendo la sua una vita, in quanto donna, dominata da violenze nascoste create da una società guidata da uomini. Rafaela comprende anche che per abbattere il sistema di subordinazione in cui è inserita serve una risolutezza che deve coltivare.
La trama di Strega segue un percorso di climax ascendente, in quanto il romanzo inizia con una narrazione descrittiva, e si svolge in un’atmosfera sempre più conturbante, governata dal sogno. La ragione di questa scelta evocativa è riconducibile alla presa di coscienza che le nove ragazze raggiungono nel corso del tempo, tempo nel quale l’albergo rimane vuoto, e loro iniziano a occupare le giornate nella cura l’una dell’altra, trovando nondimeno nel proprio lavoro regole ferree che ne condizionano gesti, comportamenti e desideri. In tutto questo Rafaela non consente a se stessa di abbandonarsi, e inizia a vivere in una nebbia onirica.
Si edifica tra le ragazze una comunità segreta, un luogo sicuro lontano da ciò che si deve ma che non si è scelto.
“Tentai di capire come sopportare quella lunga vita in cui ogni mattina bisognava fare in modo di essere donne. In cui bisognava lavarsi con una spugna ruvida immersa nell’acqua bollente. Sciacquarmi i capelli con il sidro di mele e farli scintillare al sole. Lavarsi la faccia nell’acqua salmastra. Tenere la crema nutriente sul comodino. Avere mani da bambina con le unghie colorate. Mi guardai le mani, come quelle di una donna assassinata. Le sollevai al viso per sentire l’odore di liquore e catrame.”
Pag. 72
L’arrivo degli ospiti, tuttavia, porta a una disgrazia: Cassie, una delle ragazze, scompare. Tale sparizione provoca la disgregazione della comunione creatasi tra le cameriere, nonché la realizzazione dell’impossibilità di trovare la salvezza.
La ricerca di Cassie per Rafaela a questo punto diventa ossessione, poiché disingannata davanti al fatto che l’assassino può essere chiunque e celarsi dappertutto. L’assassino diventa l’albergo stesso, e Cassie si trasforma nel semplice esito di un mondo il cui scopo è distruggere la libertà delle donne.
“Sapevo che la vita di una donna può trasformarsi da un momento all’altro nella scena di un crimine. Non avevo ancora capito che vivevo già in quella scena del crimine, che la scena del crimine non era il letto, ma il corpo, e che il crimine era già avvenuto.”
Pag. 1
“Possiamo svignarcela da questa scena del crimine soltanto se ne creiamo una nostra.”
Pag. 162
“Chiudevo gli occhi e l’assassino mi compariva davanti. Scoprivo che il suo volto era quello di tutti gli uomini. Nei suoi lineamenti c’erano tutti. Era tutta la specie concentrata in una sola persona, un pericoloso rappresentante prescelto, il doppiogiochista degli uomini. Era uno che si appoggiava all’indietro e ti guardava, senza tregua. Uno che diffondeva tutta la violenza della specie con mani tranquille e metodiche. Si organizzava contro tutte le donne.”
Pag. 123
“Pensavo: perché ci siamo portate dietro gli uomini, che ne sanno della morte?”
Pag. 99
Sarà l’abbandono dell’albergo che consentirà a Rafaela di uscire dalla sua allucinazione, di vivere la rassegnatezza come un inizio e non come una fine. Sarà qui che lei troverà la liberazione, e sarà lasciando l’albergo che lei stessa diventerà l’assassino. Diventerà colei che ucciderà l’Olympic, il luogo che ha annullato le speranze, ma il cui lascito ha generato una nuova forza.
L’opera è degna di nota poiché apre una riflessione sul tema del femminismo, considerato dal punto di vista di una donna che si adatta alla realtà di moderazione cui è vincolata, ma con un coraggio sufficiente per osservare il mondo per quello che è e per trovare la fiducia in se stessa nell’affetto e nel disincanto di chi è come lei. È grazie a questa nuova presa di consapevolezza che la protagonista imbocca un percorso alternativo alla realtà predisposta da altri per lei, esemplificando in chiave metaforica l’effettiva possibilità di questo cambiamento.
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