Critica di Prosa,  Premi Letterari,  Premio Bergamo

“Stiratore di luce” di Franco Stelzer – Premio Bergamo 2024

di Chiara Girotto

Stiratore di luce è l’ultimo libro di Franco Stelzer, scrittore e insegnante trentino che proprio con questo racconto si è guadagnato la candidatura alla quarantesima edizione del Premio Bergamo. Il libro è edito da Hopefulmonster, casa editrice torinese la cui collana Pennisole costituisce uno spazio dedicato alla creatività libera e varia dei diversi autori, a cui viene offerta la possibilità di dedicarsi anche a testi insoliti rispetto al resto della loro produzione.

Nel caso di Stelzer, l’elemento favolistico presente in Ano di volpi argentate (Einaudi, 2000)e il tono commosso e meditativo di Cosa diremo agli angeli (Einaudi, 2018) vengono riproposti anche in Stiratore di luce. Il racconto si incentra sulla la vicenda di Bodo, un uomo-bambino che vive con la madre nei pressi di Friburgo in una parentesi temporale marcata unicamente dalla sua professione. Bodo, infatti, è uno stiratore: assieme alla madre gestisce una modesta attività di bottega prendendosi cura dei capi di vestiario altrui.

Stiratore di luce Franco Stelzer copertina

Sebbene il narratore sia esterno alla vicenda, fin da subito la sua voce rivela la prospettiva ingenua, se pur non stupida, con cui Bodo si affaccia al mondo: nella sua vita c’è la madre, entità amorevole e protettiva, forse troppo, nei confronti del figlio, ci sono il lavoro che abbonda e il denaro che scarseggia, ma soprattutto ci sono le attività pratiche, che con il loro ritmo rassicurante scandiscono il quotidiano professionale e umano.

Per i cinefili nella figura di Bodo potrebbe risuonare quella di Hirayama, protagonista dell’ultimo film di Wim Wenders Perfect days. Anche lui come Bodo si avvicenda ogni giorno negli stessi gesti con la serenità di chi apprezza la luce filtrare tra gli alberi e la brezza fresca della sera, quindi la vita nella sua essenza più elementare. Anche lui pone il lettore di fronte al contrasto tra la vita che viene descritta nell’opera artistica – calma, essenziale, spoglia di inutili velleità ­– e la propria, spesso lacerata da una frenesia avida quanto inconsistente.

Due fattori minacciano tuttavia la tranquillità di Bodo: in primis una malattia non meglio precisata che sembra avere a che fare con quella particolare innocenza, con l’entusiasmo che Bodo prova di fronte all’esistenza propria e altrui. Si capisce che deve assumere dei farmaci per placare questa «euforia», il cui eccesso potrebbe nuocergli; l’inibizione e il senso di ottundimento dato dall’assunzione delle medicine sembrano sedarlo, ma anche tutelarlo dal rischio di incappare in qualche pericolo, di cui non si accorgerebbe se fosse lasciato in quello stato di grazia allucinata.

Dall’altra l’amore, o meglio l’innamoramento in cui l’uomo precipita quando una cliente particolarmente cortese si affaccia alla vetrina del suo negozio. Sarà proprio l’infatuazione la leva che spingerà Bodo a ribellarsi silenziosamente all’assunzione delle pastiglie, con la consapevolezza che senza di esse il sentimento si sprigionerà in lui con un’intensità inedita. A quale prezzo?, ci si potrebbe chiedere: la risposta si riserva alla lettura.

Di carne al fuoco – si direbbe prosaicamente – Stelzer ne mette parecchia, dato che Stiratore di luce è la storia di un innocente sedato, seppur per il bene proprio e altrui, che rivendica il diritto di sperimentare pienamente il dolore e la felicità, tradotta per Bodo in un senso quasi mistico di appartenenza a un Tutto umano, animale e vegetale. Libertà di cura, malattia mentale, aspirazione al trascendente: tematiche queste che l’autore sceglie di mantenere nei ranghi del fiabesco, lasciandole immerse in una dimensione di pura narratività.

Dario Voltolini, nella postfazione del libro – che per inciso pecca forse di un’eccessiva foga elogiativa nei confronti dell’autore e dell’opera ­– scrive che nell’opera si respirano «atmosfere che giungono dalla grande letteratura centrale d’Europa» e anche nel frontespizio si allude alle «nervature mitteleuropee» del racconto. Di fronte all’utilizzo di questi termini è legittimo nutrire qualche perplessità, soprattutto per quanto riguarda la definizione del contesto mitteleuropeo. È vero, Stiratore di luce è ambientato a Friburgo, ma nella vicenda non si fa alcun riferimento a quella cultura sovranazionale di matrice austrotedesca, asburgica ed ebraica, che, come insegnano Magris e altri, caratterizza la Mitteleuropa. Vista anche la brevità del testo, viene da chiedersi insomma cosa sarebbe cambiato se il racconto fosse stato ambientato in una verdeggiante località abruzzese invece che in Brisgovia.

D’altra parte, è possibile, per esempio, ricollegare la figura di Bodo ad alcuni personaggi dei romanzi di Joseph Roth, scrittore mitteleuropeo per eccellenza che spesso si è dedicato al raccontare figure marginali, dal sapore di reietti, coinvolte in un rapporto travagliato con la dimensione talvolta anche biblica del miracolo. Si pensi all’autobiografica Leggenda del santo bevitore o al celebre Giobbe. Romanzo di un uomo semplice: sono narrazioni che hanno in comune con quella di Bodo il concetto di santità, mai nominato eppure tacitamente in agguato nello Stiratore di luce. Sono figure che, nelle loro differenze, condividono un’attitudine di totale apertura e disponibilità nei confronti dell’esperienza, un senso profondo di affidamento alla sorte, al di là del giusto o dell’ingiusto.

Nella sua «delicata demenza» e nell’accettazione completa di tale condizione, il protagonista del racconto di Stelzer pare pronto a cogliere qualche forma di verità ultima, un’intuizione prodigiosa sul significato di tutte le cose:

A quel suono, e all’intensificarsi di quelle luci, Bodo avverte salirgli nel petto una sorta di onda improvvisa, stordente, travolgente. Uno sgorgare luminoso e accecante, un vero e proprio annuncio, celestiale e possente, che gli arriva insieme da dentro, ma anche da fuori, dal cielo, dalla vastità della volta celeste, dall’immensità della vita di tutti e di ogni singola cosa, dai mille racconti ed episodi che hanno segnato la vita sua, ma anche quella di tutti coloro che, in quel momento, si trovino a vivere su questa terra!.

La felicità assoluta, l’entusiasmo dei semplici e l’assenza di qualsiasi forma di malizia, dubbio o compromesso fanno di Bodo per l’appunto una specie di santo incastonato in uno spazio letterario fiabesco. Come in ogni fiaba che si rispetti infatti, lo spazio e il tempo sono scarsamente connotati, i personaggi granitici o appena abbozzati, i motivi e le situazioni si reiterano, come sospesi in un’aura di sogno. È curioso come in origine le fiabe venissero raccontate proprio durante lo svolgimento dei lavori manuali più meccanici come la filatura; anche la stiratura che tanto impegna Bodo e la madre rientrerebbe di certo tra questi.

Resta da chiedersi se tali caratteristiche fiabesche siano un limite o un pregio. L’impressione è che lo Stiratore di luce manchi di incisività. La voce semplice, quasi banale del protagonista non ha un contraltare critico che suggerisca come leggerla. Nel racconto si verifica un paradosso: Bodo resta chiuso nel suo linguaggio elementare, frutto della mimesi del narratore; cambia sì idea o attività, ma si limita a rimanere in superficie, senza che al lettore si fornisca una motivazione, o uno stralcio di approfondimento. Un esempio su tutti: l’innamoramento di Bodo è presentato come in chimica si descriverebbe un passaggio di stato da liquido a gassoso: prima non era innamorato, ora lo è. A parte l’aver impressionato il protagonista, che cos’abbia questa donna di così speciale non viene mai detto.

Qualcuno potrebbe argomentare che l’amore non si sceglie, dall’amore si è scelti, ma su questa scia qualsiasi operazione letteraria potrebbe essere giustificata nel nome di un’aspirazione assolutizzante, come se la letteratura non fosse un bisturi che penetra nelle viscere della realtà, ma qualcosa di piatto, che al massimo si sovrappone a essa: un uomo vede una donna e se ne innamora.

Certo, se lo Stiratore di luce fosse effettivamente una fiaba, tali critiche perderebbero parte della loro consistenza, dal momento che nessuna narrazione fiabesca ambisce allo scavo introspettivo. Il punto è che il testo si presenta al lettore come una storia d’amore e di malattia, ma questi spunti restano appesi, privi di quello scopo didascalico e morale che si confà alla fiaba, ma anche privi di uno svolgimento più articolato. Forse è inutile ricercare nel racconto una stratificazione di significati che non esiste, ed è bene, invece, accostarsi alla narrazione come in passato ci si riuniva attorno al fuoco per ascoltare le storie di chi aveva voglia di condividerle. La lettura dello Stiratore di luce lascia quella stessa sensazione di incompiutezza e sospensione che si confà, più che a un premio letterario, a un arcaico racconto da falò. Anzi, a un racconto da stiratura.


Bibliografia:

V. Propp, Morfologia della fiaba, a cura di G.L. Bravo, Torino, Einaudi, 2000;

J. Roth, La leggenda del santo bevitore, Milano, Adelphi, 1985;

J. Roth, Giobbe. Storia di un uomo semplice, Milano, Adelphi, 1992;

F. Stelzer, Stiratore di luce, Torino, Hopefulmonster, 2023.

Chiara Girotto

Redattrice in Letteratura Reels Manager