Critica di Poesia,  Letteratura,  Premio Strega Poesia

Stefano Dal Bianco, “Paradiso” – Recensione

di Simone Scuotto

Cercare e saper riconoscere chi e cosa,
in mezzo all’inferno, non è inferno,
e farlo durare, e dargli spazio

Italo Calvino, Le città invisibili

Candidato al Premio Strega Poesia 2024, l’ultimo libro di Stefano Del Bianco Paradiso (Garzanti 2024) risponde ad una domanda che molti scrittori del ‘900, tra cui lo stesso Calvino per esempio nel racconto Il conte di Montecristo1 e ne Le città invisibili2, si sono posti ovvero: come stare al mondo? La risposta è ricercata dall’autore padovano attraverso il farsi poesia della vita, grazie alla condivisione di un cammino personale che si fa impersonale offrendosi alla comprensione di tutti.
A tal proposito, la parola “mondo” ricorre più volte all’interno della raccolta e viene usata sia per elevare lo spazio della riflessione consegnandoci dei versi come: «ora che tutto è perduto nel bianco lontano/ e sale, sale da dentro la voce del mondo» (p. 33), sia come comune modo di dire: «da che mondo è mondo» (p. 22).


Il poeta non ha nessuna pretesa di raccontare una verità assoluta, piuttosto si presenta come un pellegrino in cammino nel paesaggio senese in compagnia del cane Tito, degno coprotagonista dotato di una psicologia propria. L’accostamento poeta-pellegrino riesce spontaneo grazie ai versi di Góngora, famoso poeta spagnolo del Siglo de Oro, posti come epigrafe alla sezione centrale del libro (p. 25).
Eppure, l’Io lirico risulta in minoranza rispetto al “Noi” estensivo, ottenendo così una comunicazione chiara e diretta verso una comunità di lettori della quale, scrive Dal Bianco in un saggio dal titolo Distratti dal silenzio, la sua generazione di poeti soffre l’assenza3. L’autore arriva addirittura a rivolgersi esplicitamente al lettore in alcuni componimenti come in: Quando ti sembra che tutto sia perduto, tutto (p. 115).


Tale apertura si riscontra anche nella scelta della lingua, che accoglie espressioni tipiche del parlato, stridendo volontariamente con la forma scritta e con versi più altisonanti. Infatti, tipico di un registro informale e colloquiale è l’uso del “che” polivalente come nel verso seguente: «Ora Tito ha scavato una buca/ che ci sta dentro con tutta la testa» (p. 105), ammettendo quindi sbavature stilistico-sintattiche.
Si riscontra poi una discorsività prosastica del verso, come in Per esempio mi ricordo che ieri (p. 90), in correlazione alla natura degli argomenti trattati apparentemente banale, ovvero un’istrice innamorata che attraversa la strada (p. 127) o l’omicidio di una mosca (p. 14).


Tuttavia, Stefano Dal Bianco certamente non ignora la metrica, ma decide di utilizzarla per generare tensione tra la lingua letteraria per lo più connotativa, la quale posiziona in secondo piano la finalità comunicativa, e una lingua denotativa tipica del parlato e della prosa, che invece costituisce una “lingua naturale”4 poiché privilegia la “comunicazione immediata”5. Per esempio, nel componimento citato in precedenza si passa dall’uso improprio del “che” ad un endecasillabo finale: «che la terra di sé rende accaniti» (p. 105).


D’altronde, non va trascurata l’osservazione di Michail Bachtin sulla “pluridiscorsività sociale”, ovvero una proprietà del sistema linguistico che mette in evidenza la sua profonda stratificazione interna. Secondo lo studioso russo, la lingua non va interpretata come un sistema unitario e monolitico ma piuttosto come un sistema dinamico ed eterogeneo, essendo formato da una molteplicità di lingue differenziate in termini sociali, culturali e ideologici6. La varietà della lingua adottata da Dal Bianco, in continua tensione tra un registro formale e comune, realizza perfettamente la prospettiva di Bachtin per cui l’autore non si limita ad una determinata tonalità della lingua ma ne abbraccia le varie sfumature. Il contrasto si genera a partire dal luogo in cui avviene: la pagina scritta di un libro di poesie, il che permette di riflettere sul rapporto comunicativo tra autore e lettori e sulle prospettive della poesia al giorno d’oggi.


Infatti, La scelta di utilizzare un linguaggio informale è in linea con il pensiero del poeta padovano sulla poesia contemporanea, la quale rifiuta le categorie di originalità e novità a favore della chiarezza del messaggio, alla ricerca disperata di una comunità a cui rivolgersi che resta soltanto immaginaria ed immaginata. Così facendo, si evidenzia la crisi di uno dei presupposti d’esistenza fondamentali per la scrittura: un pubblico a cui rivolgersi.


Non a caso Stefano Dal Bianco dedica la sua raccolta ai «figli che ritorneranno» (p. 7) ovvero i destinatari ideali non solo della sua poesia, ma in generale del lavoro di tutti i poeti, i quali operano non tanto «per sé ma per chi verrà», ovvero la futura generazione che «creerà da sé la propria comunità»7. Ciò non implica che i recenti sforzi poetici si risolvano in un atto inutile, quanto piuttosto costituiranno «il senso di un’attesa»8 propedeutico alla poesia che verrà.


Perciò, il prevalente uso del “Noi”, gli inviti continui diretti ed indiretti verso il lettore spesso introdotti da semplici ipotesi, vanno letti attraverso un’ottica al contempo disperata e preparatoria. Lo si può intuire dall’uso ripetuto di periodi ipotetici, verbi riflessivi e forme impersonali dotate di un’evidente intenzione esortativa. Il poeta invita chi legge a soffermarsi sulle «piccole cose»9, le cosiddette minutaglie su cui anche Zanzotto si sofferma10, che però si rivelano essere sbalorditive e inedite:

Se ci si fissa con la testa per aria
a guardare la luna questa sera
si vedrebbe una cosa
che non si è mai veduta prima:
una nuvola lunghissima
fatta a forma di bruco
che corre e con le sue zampette
lambisce sorpassando quel quarto di luna.

Ma questo non sarebbe niente il punto è
che questo bruco davvero saltella,
nel senso che si muove a scatti
e con un movimento che non è continuo
come quello delle nuvole di solito.

A meno che tutto non sia un’illusione
e i salti corrispondano al pulsare del cuore
dei polsi e delle tempie:
tutta quella materia impressionabile
e così poco abituata
a circostanze così particolari.

(p. 54)

Solo qualora si accetti di ascoltare il silenzio predisponendosi verso «l’infinito niente» (p. 76) con il «coraggio di voler conoscere» (p. 20) sganciandosi persino dalla propria umanità, diventa possibile accogliere sensazioni nuove.
Cominciamo così a intravedere il cammino percorso e tracciato da Stefano Dal Bianco in Paradiso: una strada alternativa all’inferno «che è già qui, che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme»11.

DANTE E DAL BIANCO: QUALI LEGAMI?

L’intenzionalità comunicativa tendente all’universale, insieme ad una serie di rimandi più espliciti come citazioni dirette e indirette (il titolo, per esempio oltre a due epigrafi interne) e alla figura del poeta nella veste del pellegrino, permettono di svelare una serie di connessioni strutturali che mettono in correlazione Paradiso di Stefano Dal Bianco all’opera dantesca.
Innanzitutto, il famoso poema del poeta fiorentino inizia con i celebri versi: «Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita»12 dove si coglie, attraverso la contrapposizione del plurale “nostra” al singolare “mi”, tutta la valenza emblematica e universale del viaggio di Dante in cui lo smarrimento del singolo uomo è quello dell’umanità intera, persa lungo il difficile cammino che conduce alla salvezza e alla conoscenza assoluta13. Sebbene le pretese enciclopediche del poema dantesco non possono trovare più spazio nella letteratura contemporanea come afferma lo stesso Calvino14, Dal Bianco conserva una vocazione didattica offrendo la sua esperienza personale del mondo ai lettori, stimolandoli e invitandoli costantemente a riconoscere la vita, il cosiddetto “non inferno” o “Paradiso”, «in certe casuali rispondenze di colori» (p. 68), o ancora «a sentire il silenzio dei prati» (p. 40) ovvero cogliere tali bellezze terrestri quanto celesti attraverso i sensi e l’ascolto.
Inoltre, il termine «pelegrin» ricorre solo una volta all’interno del poema nel proemio del Paradiso. Al «Pelegrin che tornar vuole» Dante paragona l’atto d’imitazione infuso naturalmente, «sì come secondo raggio suole/ uscir del primo e risalire in suso», dalla vista della sua amata Beatrice:

E sì come raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole

così de l’atto suo, per li occhi infuso
ne l’imagine mia, il mio si fece
E fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.15

Nei versi della terza canzone del Convivio citati da Dal Bianco: «poi chi pinge figura/ se non può esser lei, non la può porre»16 Dante esprime un parere filosofico sulla pittura, verosimilmente praticata dal poeta come racconta in alcuni versi della Vita Nova17, per cui il pittore, nel momento in cui concepisce per mezzo della fantasia la figura immaginata, s’identifica con essa seguendo il principio aristotelico secondo il quale «Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere»18.
Il rimando intertestuale è esplicitamente segnalato nell’epigrafe che annuncia il componimento: Il problema che oggi si pone è di come, dove il problema è proprio identificarsi in qualcos’altro cioè farsi albero.

Il problema che oggi si pone è di come
dare ragione del giovane frassino
che si trova sul lato del sentiero,
ma in quale luogo, dove, incontrarlo davvero?
In quale altezza di sogno vegetale animale in quale
lontananza verticale
condividere un’intelligenza
se io non sono buono a risvegliare la mia?
E quale sarà stato il tempo, in quale mondo
trapassato in quale stato
della mente universale
sarà stato realizzabile l’incontro,
al lume del ricordo un nostro farsi albero?

(p. 87)

Il successivo rimando all’opera dantesca lo troviamo a pagina 34 in cui Dal Bianco cita una terzina dal V canto dell’Inferno:

“O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno.”19

Sono le parole che Francesca rivolge a Dante dando via al racconto del doloroso amore con Paolo.
Il bacio adulterino tra i due che li condanna alla morte e alla penitenza nella «bufera infernal»20 avviene per imitazione di una vicenda puramente letteraria tratta dal ciclo bretone ovvero l’amore, anch’esso adulterino, tra Lancillotto e Ginevra. Quindi, così come racconta Francesca, l’opera letteraria ed il suo autore si fanno «galeotti»21 dell’amore fra i due amanti svolgendo il ruolo di intermediari.
Così facendo, i due personaggi reali si identificano con i personaggi letterari passando dalla rappresentazione alla realtà, dalla letteratura frutto dell’immaginazione alla vita vera scegliendo un modello, cioè l’amore cortese, che il pensiero di Dante rigetta sebbene ancora lo muove a commozione.
Nel componimento relativo all’epigrafe, il cane Tito è «l’animal grazioso e benigno» che però subisce una trasformazione fatale nel passaggio tra un passato in cui era «piccolo» (p. 34), molto più scatenato di ora e soprattutto «vivo», ed un “ora” in cui è diventato «spaventosa notte», in cui è perso come noi: «noi che tignemmo il mondo di sanguigno».
Tito non svolge il ruolo di contraltare tra l’uomo e la sua condizione d’animale piuttosto i due, una volta superata l’età dell’ingenuità infantile e varcato la soglia del mondo fatto di ombre e di passioni terrene, vengono qui equiparati.
In conclusione, il principio d’imitazione ed identificazione di stampo aristotelico si pone come ossatura essenziale del testo di Dal Bianco, costituendo così un motivo che svela il legame fra la raccolta e il celebre autore fiorentino offrendo così una possibile chiave di lettura.

LA STRADA PER IL PARADISO

Se al tempo di Dante il poeta arriva ad identificarsi nella figura di Beatrice oggetto del proprio canto grazie all’autorità delle fonti antiche e al rapporto allegorico-filosofico stretto tra il Vate e la sua amata, e se al contempo due giovani amanti arrivano ad identificarsi in due personaggi letterari imitandone la vita; oggi tale identificazione risulta invece problematica.
È facile intuirlo dalla poesia incipitaria della raccolta e per tale motivo d’importanza significativa:

Un falco fermo contro un vento forte
è figura di noi, se ad ali aperte resistenti
alla tempesta dei pensieri
tenessimo lo sguardo al nostro fine.

Ma ciò che ci sostiene è la tempesta
che va riconosciuta come tale
e abbracciata a mente spalancata
qui dove l’obbedienza è
nostra salvezza
nostra immobilità verso la preda.

(p.11)

Riemerge qui il rapporto tra il “noi” estensivo inteso come comunità umana e l’immagine allegorica di «un falco fermo contro un vento forte» che diventa così una condizione ideale da raggiungere se, come scrive l’autore, non fossimo in balia della «tempesta dei pensieri» colpevole di distoglierci dal nostro fine.
Si manifesta poi chiaramente la voce del poeta che disegna i primi schizzi del suo cammino: bisogna riconoscere, abbracciare ed obbedire alla tempesta per raggiungere la salvezza.


Il primo passo compiuto dal poeta-pellegrino è in direzione di un appuntamento al buio, titolo della prima sezione della raccolta che richiama “la selva oscura” in cui si smarrì lo stesso Dante prima di incontrare la sua guida e il suo mentore Virgilio.
Nell’omonimo componimento, uno dei pochissimi ad avere un titolo, l’appuntamento indica un ricollegarsi con qualcosa e qualcuno, più nello specifico con una condizione dell’essere composta da rinunce: è un «costituirsi al buio», un «compromettersi incerto con se stessi», dalla coscienza di un limite conoscitivo di fondo; e dal «coraggio di voler conoscere», di «accogliere altro» al di fuori di «legami e di passioni» (p. 20) stringenti come l’amore cantato nella vicenda di Paolo e Francesca.
Infine, come avviene spesso in tutta la raccolta, è il poeta a suggerire tramite verbi riflessivi, esortazioni, ed inviti, la strada da percorrere che va ricercata nel «tempo intercorso/ fra il tramonto di un sole/ e l’alba di una stella più sottile» (p. 20), in un lasso di tempo interstiziale e minuto.
I maggiori ostacoli lungo il cammino sono rappresentati proprio dall’inferno terrestre ovvero dal mondo circostante, dai «silenzi fittizi e considerazioni che premono talvolta dal profilo umano della vita» (p. 68) e da un’eccessiva arroganza e superficialità arroccata nella propria umanità ed individualità: «io/ penso di sapere già tutto, io mi/ disinteresso/ di ciò che non mi viene addosso» (p. 27).
Infatti, la risposta che Dal Bianco offre alla domanda fondamentale che abbiamo posto all’inizio ovvero: “come stare al mondo?”, parte da vari presupposti fra cui uno scollarsi dall’umano:

Recuperare il contatto è affrancarsi dall’umano
perché non c’è niente di umano nell’umanità
o di tuo nel rumore del mondo che non sa.

(p. 85)

L’eclissarsi diventa il passo incipitario sul percorso che porta verso «quella luce che non ci fa dormire» (p. 21), quella luce che Dante riesce a guardare senza accecarsi grazie all’intermediazione della sua amata, quella stessa «somma luce»22 che lo avvolge nell’ultimo canto del Paradiso immagine della salvezza eterna.
Solo dopo tali rinunce e con un’aperta predisposizione d’animo è possibile accedere a nuovi messaggi, significati e visioni poiché «stare a vedere è facoltà di tutti/ ma ricavarne la chiarezza di un messaggio è privilegio/ di chi si lasciasse intontire dal sole» (p. 33).
Il contesto naturale aiuta il pellegrino a fare chiarezza per raggiungere la meta, tant’è vero che è proprio «l’onnipresente permanente vallata» (p. 27) sfondo dell’intera raccolta, a tentare di salvarlo assorbendo tutti i pensieri e le parole del mondo.

In conclusione, riallacciandoci alla chiave di lettura dantesca illustrata in precedenza, è opportuno terminare con il componimento seguente, anch’esso una preghiera ingiuntiva che esordisce con un imperativo ma che restituisce il tono di una supplica, di una domanda di salvezza:

Trasfórmati in parole luna piena rossa di gennaio
e includi nel racconto il rombo della superstrada
così che tutto sia completo
ma non risponda dei significati
così che quando uno arriva
a congiungere i punti delle luci nella valle
la figura sia libera
di assomigliare a chi la traccia
e il silenzio di dentro sia tale
da sovrastare ogni mania del mondo.

(p. 111)

Ecco che ritorna il motivo dell’identità tra chi “pinge” la figura e la figura stessa, unica soluzione per essere liberi dalle «manie del mondo» che il poeta ha reso esplicite durante il suo racconto.
Tale congiunzione o ricongiunzione è possibile tramite l’arte, in particolare la poesia, la quale traccia quel ponte tra l’individuo e l’ambiente, senza escludere elementi artificiali come la superstrada, l’acquedotto o il cemento (p. 69), ma provando ad includere il circostante: «l’inferno che abitiamo tutti giorni»23 al proprio interno.
Come detto in precedenza, tutto ciò può accadere solo se si rinuncia al desiderio smanioso e smoderato: «niente mi basta sulla terra» (p. 32), alla pretesa arrogante di conoscere già tutto e quindi non incuriosirsi per nulla.
Come Dal Bianco scrive nell’ultimo componimento della raccolta: forse è «necessaria una chiamata», alla quale rispondere fuoriuscendo dalla propria «indifferenza» (p. 139) per « saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»24.


Biografia

Laureato a Padova, dove è stato allievo di Pier Vincenzo Mengaldo, Stefano Dal Bianco vive in provincia di Siena ed è docente presso l’Università degli studi di Siena, dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne. Si è occupato prevalentemente di poesia e di critica stilistica, con studi sulla metrica e sul ritmo del verso italiano: Petrarca, Ariosto, Zanzotto e sulla poesia italiana del novecento. Ha fondato e diretto la rivista di poesia contemporanea “Scarto minimo” (con Mario Benedetti e Fernando Marchiori); è stato anche nella redazione della rivista “Poesia”. Di Andrea Zanzotto ha curato, con Gian Mario Villalta, il volume de I Meridiani Le poesie e le prose scelte (Milano, Mondadori, 1999), approfondendone criticamente vari aspetti; nel 2011 ha curato l’edizione di Tutte le poesie di Andrea Zanzotto (Milano, Oscar Mondadori, 2011). Nel 2024 pubblica Paradiso (Garzanti), vincitore del Premio di Poesia “Paolo Prestigiacomo” (XI edizione).

  1. Calvino I., “Romanzi e racconti”, vol. II, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto (Milano 1992) p. 348. ↩︎
  2. Calvino I., “Le città invisibili. Diario di poesia contemporanea.” (Milano 1993) p. 164. ↩︎
  3. Dal Bianco S., “Distratti dal silenzio” (Macerata 2019) p. 60. ↩︎
  4. Dal Bianco S., “Distratti dal silenzio” cit., p. 59. ↩︎
  5. Ibidem. ↩︎
  6. Bertoni F., “Letteratura. Teorie, metodi, strumenti.” (Roma 2022). p. 93. ↩︎
  7. Dal Bianco S.; “Distratti dal silenzio” cit. p. 61. ↩︎
  8. Ibid. ↩︎
  9. Ibid. ↩︎
  10. Un esempio è il verso finale de la celebre poesia: “Sì, ancora la neve” in Zanzotto A., “Tutte le poesie” p. 243. ↩︎
  11. Calvino I. “Le città invisibili”, cit. p. 164.  ↩︎
  12. Dante, Inf. I, 1-3. ↩︎
  13. Malato E., “Dante” (Roma 1999) pp. 278-279. ↩︎
  14. Calvino I., “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” (Milano 2016) p. 126. ↩︎
  15. Dante, Par. I, 49-54. ↩︎
  16. Dante, Cv. IV X 10. ↩︎
  17. Dante, “Vita Nova”, XXXIV 1. ↩︎
  18. Dante, Cv. IV X 8. ↩︎
  19. Dante, Inf. V, 88-90. ↩︎
  20. Ivi, 31. ↩︎
  21. Ivi, 137. ↩︎
  22. Dante, Par. XXXIII, 67. ↩︎
  23. Calvino I. “Le città invisibili”, cit. p. 164. ↩︎
  24. Ibid. ↩︎

Bibliografia

Bertoni F. (2022), Letteratura. Teorie, metodi, strumenti., Roma.

Calvino I. (1992), Romanzi e racconti, vol. II, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto, Milano.

Calvino I. (1993), Le città invisibili. Diario di poesia contemporanea., Milano.

Calvino I. (2002) Le città invisibili, Milano.

Calvino I. (2016), “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”, Milano.

Dante A. (1988) Opere minori, tomo I, parte II a cura di C. Vasoli e D. De Robertis, Ricciardi, Milano-Napoli.

Dante A. (1990), La Divina Commedia. Inferno, Milano.

Dante A. (1992), La Divina Commedia. Paradiso, Milano.

Dante A. (1932), Vita Nova a cura di M. Barbi, Firenze.

Dal Bianco S. (2019), Distratti dal silenzio, Macerata.

Malato E. (2017), Dante, Salerno.

Zanzotto A. (2011), Tutte le poesie, Milano.

https://www.arateacultura.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Dal_Bianco

Simone Scuotto

Redattore di Poesie e Opere Inedite

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