I luoghi del silenzio in “Sotto falso nome” di Stefano Simoncelli – Premio Strega Poesia 2023
Delle molte letture alle quali la poesia si presta, il critico può sforzarsi di riassumerle tutte, ma finirà sempre per essercene una dove traspare il suo personale orientamento, e una o più letture mancanti perché dimenticate o non ancora scritte. Per tale motivo arricchire le interpretazioni dell’ultima raccolta di Stefano Simoncelli Sotto falso nome, pubblicata nel 2022 presso l’editore peQuod e candidata al Premio Strega poesia, è considerato quanto mai interessante.
«Ho sempre scritto delle persone che ho amato: mio padre, mia madre, mia moglie, i miei amici poeti.»1
Così parla Simoncelli in un’intervista in occasione di una rassegna culturale tenutasi a Macerata. La sua poesia ruota attorno al tema dell’amore. È un amore che non riceve risposta: «e ripetuto là dentro il tuo nome, / forse l’ho pure gridato, ma è arrivato solo silenzio», un amore frustrato dall’assenza e attraversato da un vuoto che invade ogni spazio: è l’amore per una persona defunta. La sua perdita lascia in primo luogo un immenso silenzio, il poeta lo definisce come un “radio silenzio”, intitolando così la prima sezione. Tramite un gioco di parole che inverte la tipica espressione di stampo radiofonico, l’autore restituisce l’idea che, anche in uno spazio desolato, sono presenti dei risvolti positivi irradianti. Così facendo, sintonizzandosi «ogni notte / sulle onde radio del silenzio», sente tra «sibili remoti e interferenze» la «palpabile assenza» dei propri morti, mantenendone vivo il legame e il conseguente ricordo attraverso la poesia. Infatti, in un’altra intervista afferma che: «per combattere il vuoto incolmabile che mi ha sovrastato, la poesia mi è venuta in soccorso, cercando di imprigionare il dolore nelle parole.»2
«La mia data di scadenza è trascorsa da tempo, ma ho un impegno che voglio mantenere e vado avanti» ti ho confidato al risveglio davanti al terzo caffè. […] «Che impegno?» mi hai chiesto accomodandoti scarmigliata su una sedia della cucina. «Un libro» ho risposto aggiustandoti con un dito una ciocca ribelle sulla fronte.
Non c’è silenzio senza uno spazio al quale legarlo. Tale spazio può essere fisico: il paesaggio e la casa, oppure mentale come la psiche dimora di suggestioni e sogni.
I luoghi che popolano la raccolta sono quelli cari all’autore: la provincia emiliana, nella quale egli si sposta alternando il mare della sua città natale alle colline di Acquarola; l’ambiente domestico nella sua immobilità caratterizzato da un «ordine postumo» paradossale, abitato dagli oggetti utilizzati da chi non c’è più ormai diventate reliquie da conservare: «io sono rimasto / come un devoto custode di reliquie / a lucidare e a catalogare le cose / che hai abbandonato nei cassetti.»; ed infine la mente del poeta dove si susseguono voci, allucinazioni e sogni.
Anche la temporalità rimane costante: la maggior parte dei testi è ambientata o all’alba o di notte, a sottolineare come nel momento di risvegliarsi e di coricarsi la presenza/assenza della persona amata si fa più forte.
«Una volta la provincia esisteva, c’era questa differenza tra la città e la provincia. Adesso è tutto distrutto, adesso è tutto città o è tutta provincia, quindi queste differenze non esistono più.»3
Durante l’intervista già citata in precedenza, Stefano Simoncelli descrive così la provincia. La sua opinione va a toccare temi più ampi come: l’urbanizzazione, la globalizzazione e l’omologazione. Il paesaggio appare sovente nei testi della raccolta, e sovente viene deformato accogliendo e riflettendo il dolore del poeta.
L’alba è come rattrappita sui versanti delle colline che guardo dalla ferita di una finestra a ghigliottina mentre una neve misericordiosa copre come un lenzuolo funebre le tracce di chi se n’è andato per sempre.
L’alba è «rattrappita», la neve è «misericordiosa» quasi potesse ascoltare la sofferenza del poeta venendogli in soccorso, e soprattutto la prospettiva si allarga a partire dalla «ferita di una finestra», il che implica una separazione dolorosa con la natura. Tale distanza viene enfatizzata dal filosofo tedesco Georg Simmel: «Tutta la nostra vita è caratterizzata dall’allontanamento dalla natura a cui ci costringe la vita economica e la vita cittadina che ne dipende»4. Più avanti, il poeta si affaccia alla medesima finestra intento a «immaginare i voli delle rondini / che non sono ritornate dall’Africa / e farfugliando di un terrazzo con piante / da cui si vedeva uno scorcio di colline», immagini che stupiscono per la loro assenza. Scorrendo ancora nella lettura egli afferma che «c’è una cupa e imperforabile opacità / che copre i tetti al posto delle neve», versi che sembrano rispondere alle ansie di un grande poeta a lui contemporaneo come Andrea Zanzotto: «Ma che sarà di noi? / Che sarà della neve, del giardino, / che sarà del libero arbitrio e del destino / e di chi ha perso nella neve il cammino»5. All’interno dello stesso componimento troviamo degli elementi artificiali come «il prato di erba sintetica / all’ingresso dell’emporio cinese», contribuendo ad aumentare il senso di straniamento e alienazione sofferto dall’autore che finisce per far finta di «essere una statuina / di gesso ai margini di un presepio».
In casa c’è un ordine postumo
come in attesa di un ritorno
o una visita improvvisa.
La casa è l’ambiente dove l’assenza si manifesta in tutta la sua brutalità. L’ambiente domestico appare come disabitato ed infestato di «tracce» lasciate dalle persone amate: «mi prendono alla gola certi oggetti / che dovrebbero risultare insignificanti», che si tramutano in «trappole / imprevedibili, tagliole e mine antiuomo / nascoste nei pavimenti su cui cammino». In un contesto che è tutto fuorché rassicurante, l’autore riassume la sua condizione vestendo i panni di un «sopravvissuto» sospeso tra vita e morte, un «vecchio / patetico che ogni notte ti sogna» o di un «sonnambulo» che vaga spaesato per le camere, in preda ad una «tremebonda follia» che gli provoca varie allucinazioni.
Mi sveglio nella casa
che ho nella testa,
in subaffitto,
di tutte quante la peggiore,
senza riscaldamento, mobili, finestre
e, sui muri, mani scrostate di vernici indefinibili
tappezzate dalle ombre che frequento da sempre.
Ecco infine, la casa interiore, il luogo dove albergano realmente i morti: l’immaginazione. Una casa senza il «tetto, le fondamenta e i pavimenti» dalla quale «si sprigiona una oscura forza magnetica / che si diverte un mondo a tormentarmi». Teatro di sogni e allucinazioni, la psiche si oppone alla scioccante assenza della persona amata costruendo finzioni in grado di confortare. La raccolta è piena di sequenze oniriche dominate dal mare e dal metaforico viaggio verso «una remota stazione». In tale spazio immaginario è possibile incontrare i morti: così «in alcuni sogni di transfuga» il poeta li vede «salire su un traghetto / per l’altro mondo o la Svizzera», sente le loro voci consolarlo: «è tardi, piccolino» alle quali può rispondere: «non andartene» ti ho gridato verso l’alba». Il senso di tormento e di smarrimento si manifesta tramite una distrazione latente che divora i suoi oggetti personali «prima la mia agenda, la stilografica e adesso un libro». Infine, l’autore sfinito si chiede «quando finirà questo tormento?»
Il tormento dice che non posso restare
in questa casa più di due o tre giorni
nemmeno se cambiassi aspetto
e sotto falso nome. Mi sento la colpa
dei sopravvissuti, in ostaggio e stremato.
In conclusione, Stefano Simoncelli stabilisce un motivo che, come un filo conduttore, attraversa la raccolta. Essere “sotto falso nome” equivale ad annullare la propria presenza, a mimetizzarsi con l’ambiente e gli individui circostanti, equivale a rinunciare alla propria identità. Eppure, l’autore ha scelto la poesia d’amore «in quanto scrivere d’amore è la cosa più difficile essendo l’amore difficile»6 come egli stesso asserisce in un’intervista pubblicata su Succede oggi. E l’amore diventa ancora più difficile quando viene spezzato dall’assenza, ma non per questo termina, anzi è proprio la sua forza a muovere la penna del poeta: Sotto falso nome è un libro che parla d’amore.
Biografia
Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a Cesenatico e da circa dieci anni vive all’Acquarola sulle colline di Cesena. Nel 1982 ha pubblicato presso Guanda “Via dei platani” (premio Mondello opera prima). Nel 1987 “Poesie d’avventura” presso Gremese. Nel 2005 “Giocavo all’ala” presso Pequod (premio Gozzano). Nel 2006, sempre con Pequod, “La rissa degli angeli”, nel 2012 “Terza Copia del gelo” (premio Diego Valeri giuria popolare) e nel 2014 “Hotel degli introvabili”.
https://www.arateacultura.com/
- Emme Tv, NEWS. la poesia di Simoncelli, 18/07/2017, URL: https://www.youtube.com/watch?v=zgoUb7Lu0Y0 (Consultato il 17/09/2023). ↩︎
- Rai Cultura, Reading – Stefano Simoncelli, URL: https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2023/03/Reading—Stefano-Simoncelli-a91ca593-d3d9-4dfb-8a2d-2d521147f665.html (consultato il 17/09/2023) ↩︎
- Emme Tv, NEWS. la poesia di Simoncelli, 18/07/2017, URL: https://www.youtube.com/watch?v=zgoUb7Lu0Y0 (Consultato il 17/09/2023). ↩︎
- Georg Simmel, Filosofia del denaro (Milano 2019) 409. ↩︎
- Andrea Zanzotto, La beltà (Milano 1968) 150. ↩︎
- Di Palmo Pasquale, Il rischio dell’amore. La voce del poeta Stefano Simoncelli, 07/2016, URL: https://www.succedeoggi.it/2016/07/il-rischio-dellamore/ (consultato il 17/09/2023) ↩︎