Sim – Un racconto di Laura Garavaglia
Un essere a forma di palla dal pelo fulvo e insolitamente brillante saltò dalla finestra al letto proprio nel momento in cui Sim tornava a casa dal lavoro. Doveva essere un gatto. Sim non avrebbe mai immaginato che un gatto con quella luminosità si potesse materializzare lì così. Magari uno più piccolo e nero, con un alone scuro, ma non un gatto così luminescente, troppo in contrasto con il grigio groviglio di pensieri che aveva nella testa. Era sera, e dall’apertura quadrata poteva vedere solo la pallida Luna che lo salutava come tutte le sere con calma seducente, assumendo svariate geometrie. Non aveva alcuna ragione per dubitare di ciò che la natura gli donava e questo amabile felino era sicuramente lì per lui, pur se inaspettato. A dire il vero Sim non aveva la faccia di uno che si fosse appena trovato una strana creatura in casa sua, sembrava perfettamente a proprio agio. Piuttosto, era ancora un po’ provato dalla lunga giornata trascorsa in azienda e perseguitato dal pensiero che ogni uomo per guadagnarsi da vivere debba lavorare in media 1600 ore all’anno. Non era del resto un pensiero facile da metabolizzare.
Pian piano la visione dell’animale lo assorbì totalmente: nel buio della stanza, un gatto rifulgeva e fluttuava sospeso a qualche centimetro dal suo letto. Se avesse iniziato a parlare, Sim non se ne sarebbe stupito: a volte facevano così, i gatti, nelle favole e nei romanzi… sicuramente nel Maestro e Margherita. Ebbe un’idea: lui era Margherita! Si sarebbe spalmato un unguento che lo avrebbe reso incantevole per poi volare sopra i tetti delle città! Come un affascinante treno fantasma si sarebbe addentrato nella notte e tutti lo avrebbero visto – nudo – sobbalzare in compagnia dell’ospite fluttuante. Avrebbe fatto invidia a ragazzi e ragazze dai sogni ambiziosi e fragili e dall’immaginazione incontenibile, che come lui volevano follemente osservare il brulicare della notte dall’alto dei tetti.
Si ridestò un attimo da quei viaggi della mente. No, forse non poteva essere Margherita; era più probabile che il gatto, un Behemoth dal pelo rossiccio, gli avrebbe rivelato i segreti nascosti nel paesaggio notturno, le future trasformazioni del suo corpo, la direzione per uscire dalla gabbia che rinchiude anche chi è più ingenuamente speranzoso.
In attesa di un evento, si chiese se dovesse accendere la luce. Dopotutto, era appena entrato in casa. Ma era fuori discussione. L’incantesimo si sarebbe di certo interrotto e così le conseguenze magiche che promettevano di manifestarsi si sarebbero annullate. Decise di ignorare il gatto per qualche istante. Si tolse la camicia azzurrina e si guardò le sfumature rosse della barba allo specchio: le vedeva anch’esse risplendere, più del solito, erano quasi fosforescenti nella stanza buia. Prodigioso!
Iniziava a sentirsi più leggero. Pensandoci bene, era dalla fermata della metro che, nel tragitto verso casa, aveva iniziato a sentirsi un po’ strano – e la coincidenza non deve destare riso o scherno. Il cambiamento era più fisico che mentale, ma come si sa la differenza tra i due stati non è sempre così lampante. Se qualcun’altro gli parlò da quel momento in poi non se ne accorse. Forse una zanzara passò di lì e lo punse per attirare la sua attenzione. Lui però si concentrava sui delicati moti del suo corpo: si ritrovò senza vestiti, seduto nell’atto di toccarsi la punta dei piedi paffuti. Non faceva troppo il prezioso con i gatti – dalla Luna invece, così distante, si faceva desiderare.
Il gatto balzò sulla sua testa e creò quasi come un cappuccio unendosi con la sua barba sottile, sempre in silenzio. Faceva molto caldo. Sembrava che dalle finestre il paese gli si riversasse dentro e gli portasse un po’ di ossigeno attraverso degli occasionali spiragli d’aria. La posizione in cui si trovava, piegato, l’adottava spesso per rilassare i muscoli e percepire il suo corpo. Il dolce e fluido avvolgimento peloso era una novità che gli piacque. Passò un attimo e gli fu sui piedi, accarezzandoli con la sua massa, mentre i due si scrutavano con gentilezza. La Luna li stava guardando e si sarebbe potuta ingelosire, però non ci pensava, perché non si pensa mai troppo quando si fa silenzio per bene. La Notte impone molto spesso che in sua presenza avvengano i più accesi e teneri momenti.
Nulla di così inusuale accadde tra Sim e il gatto. Giocarono a lungo, in una serie di movimenti e carezze impacciate, il gatto amava farsi rincorrere e acchiappare da Sim. Al ragazzo piaceva giocherellare e sentire l’effetto della fluorescenza sulla sua pelle. A un certo punto il gatto se ne andò, dopo aver soffiato dei granelli dorati sul volto di Sim, che gli incorniciarono gli occhi. Si fece cadere dalla finestra sull’erba del giardino, poi fece un balzo e spiccò il volo. Peccato che Sim non gli corse dietro. Era splendidamente truccato e una brezza rassicurante gli avvolgeva il capo scoperto, provocandogli dei piccoli brividi. Il gatto cavalcava la notte e Sim – malinconico – lo guardava scomparire con la coda dell’occhio.
Nata nel 2001 nella provincia milanese, dopo il liceo linguistico mi sono laureata in lettere presso l’università statale di Milano. Appassionata di narrativa contemporanea biofinzionale e atmosfere padane. Di tanto in tanto scrivo per raccontare qualcosa.