Il sesso nel Medioevo. Un vero tabù?
Quante volte ci è capitato di utilizzare o sentire l’aggettivo ”medievale” per descrivere qualcosa di vecchio, oscurantista, bigotto o ignorante, soprattutto per quanto riguarda i temi di natura sessuale? Secondo l’opinione comune il Medioevo sembra essere un periodo buio, oscuro, quell’età di mezzo che si frappone tra due epoche d’oro, come quella classica e quella umanistica, che sembrano tra loro avere una certa continuità come se nel mezzo, in quei mille anni, ci fosse stato soltanto un lungo vuoto.
Eppure forse questo giudizio, un po’ sommario, un po’ superficiale, figlio prima degli umanisti, poi degli illuministi, e infine dell’incapacità del romanticismo ottocentesco di rendergli davvero giustizia, non rispecchia la vera essenza di questo antico mondo.
D’altra parte i pregiudizi sono duri a morire, per via del fatto che l’unica cura è la cultura. Una cura che però necessita impegno e fatica. Infatti basterebbe immergersi un po’ nella cultura di quella realtà lontana per comprendere l’infondatezza di certi giudizi aprioristici. E il mezzo culturale più efficace in questo caso, come spesso accade per la storia, è proprio la letteratura: una cartina tornasole capace di esprimere appieno l’essenza di ogni tempo.
E soprattutto, per quanto riguarda il tema considerato più contraddittorio di quest’epoca, ovvero il sesso, potremmo, tra le righe di qualche antico manoscritto, ritrovare una liberalità davvero sorprendente.
I Fabliaux
A questo proposito si potrebbe parlare dei fabliaux, brevi racconti in versi che venivano letti da giullari o cantastorie alla popolazione dei castelli o dei comuni.
Essi emulavano la struttura metrica di un’altra forma letteraria molto tipica del Medioevo, il lai. Questa era l’espressione più dolce e più alta della letteratura cortese, quella fatta di amori soavi e travagliati, tra bellissimi cavalieri e donzelle avvenenti, che non riuscivano mai a realizzare il loro sogno di unione, provando quell’amore perfetto ma doloroso che è il finamor. Ecco, i fabliaux erano l’esatto opposto.
Questi infatti avevano come tematica centrale il tema sessuale, ma sviluppato con dei caratteri fortemente dissacranti, a volte andando al di là di quello che la nostra epoca definirebbe decenza. E il motivo della comunanza strutturale con la poesia alta e cortese del lai è facilmente desumibile: è tutto costruito a fine di scherno.
La presa in giro vuole abbracciare un po’ la società tutta di quell’epoca. Così i personaggi al centro dei vari racconti sono preti, monaci, contadini, prostitute, ma anche dame, cavalieri e signori. Tutti accomunati da atteggiamenti poco ortodossi.
Il prete Tinto
Uno dei fabliaux più famosi è quello del ”Prete tinto”.
La protagonista del racconto è la moglie di un tintore, che continua a ricevere avances dal prete del paese. Di fronte ai continui dinieghi della donna, il prete decide di chiedere aiuto alla moglie del sagrestano, donna rispettata e apparentemente saggia, la quale in cambio di un lauto compenso – tra l’altro rubato dalla cassetta dell’elemosina – avrebbe cercato di convincere la moglie del tintore al tradimento. Quest’ultima tuttavia risponde con uno schiaffo alla moglie del sagrestano e continua a non cedere finché il prete, di tutta risposta, non scomunica lei e il marito tintore davanti a tutto il paese.
Alla richiesta di spiegazioni del marito, la donna gli racconta tutto e i due decidono di orchestrare un tranello al prete. Così la donna si finge disponibile ad avere un rapporto sessuale con il prete e lo invita a casa sua mentre il marito è assente. Ma il tintore rincasa prima del previsto e la donna fa nascondere il prete – che nel frattempo si era completamente spogliato – in una tinozza di tintura rossa.
Complici dell’inganno, i due coniugi iniziano a discutere tra di loro e atteggiarsi come se nulla fosse, finché il marito non decide di tirare fuori dalla tinozza “quel crocefisso che stava pitturando”. Così il prete, nudo, immobile e tutto inzuppato di pittura, viene tirato fuori e lasciato lì in posizione di crocefissione a esiccare. Ma un dettaglio colpisce immediatamente il tintore: le dimensioni troppo prosperose di un particolare punto del corpo del finto Gesù. Conviene livellarlo! Al che il prete scappa a gambe levate.
Personaggi atipici?
Al di là della scherzosità del racconto – in cui le parole usate sono di un registro linguistico molto più esplicito del breve riassunto che si fa qui – la cosa interessante è l’analisi dei personaggi.
Abbiamo da una parte il prete, che è un corrotto, un lussurioso, e addirittura utilizza il denaro delle elemosine per poter soddisfare i propri piaceri. L’uomo di chiesa è di per sé una figura molto ricorrente in questi racconti, proprio perché era investito a quell’epoca di una forte autorità, addirittura divina. / il prete è un corrotto, un lussurioso, e addirittura utilizza il denaro delle elemosine per poter soddisfare i propri piaceri; si tratta di una figura molto ricorrente in questi racconti, proprio perché era investito a quell’epoca di una grande autorità, addirittura divina. Tale autorità conferiva anche una certa responsabilità morale e pertanto i fedeli, nel momento in cui il prete non si atteneva a questi doveri, si sentivano assolutamente giustificati a condannare la persona e schernirla. Non soltanto i preti, ma anche tutto il resto del clero fino addirittura al Papa sono bersaglio dell’opinione pubblica. E frutto proprio di questo atteggiamento sono i fabliaux.
Interessante è poi la figura della donna, molto distante dai pregiudizi che solitamente si associano alla donna nel Medioevo. Infatti, la moglie del tintore è risoluta, non soltanto si nega prima al volere lussurioso di un’autorità così potente e pericolosa come poteva essere il prete, ma arriva anche a compiere un gesto di forza come nell’episodio dello schiaffo. Anche in altri fabliaux la donna è contraddistinta in modo ancor più accentuato da una certa libertà e liberalità, che sembrano contraddire certi pregiudizi sull’epoca.
Ciò naturalmente non significa che nel Medioevo ci fosse parità di genere. Senza dubbio però la considerazione del genere femminile si rivela meno stringente di quanto si immagini.
Il tema del sesso
Questo genere di racconti veniva letto in pubblico e non era per nascosto o censurato. E’ interessante notare come dei temi di questa portata venissero tranquillamente utilizzati come oggetto di lettura collettiva in piazza. Inoltre, anche il registro linguistico era davvero basso, rasentava quasi il triviale, con l’utilizzo di vere e proprie “parolacce” ed espressioni volgari, spesso a sfondo sessuale.
A fronte di tutto ciò appare già più difficile definire il Medioevo come un’epoca oscurantista, considerando che semplicemente nelle recite in pubblico – che erano a quell’epoca l’equivalente della televisione oggi – venivano trattati questi temi con una liberalità eccezionale e senza alcuna reticenza moralistico-religiosa.
Perlopiù non vi era alcuna autorità ecclesiastica a censurare e limitare tutto ciò. Infatti, la tanto celebre Santa Inquisizione, che per l’appunto ebbe inizio alla fine del dodicesimo secolo, più che avere un ruolo di censore sui costumi del popolo, si occupava di stanare tutti quei movimenti religiosi tendenzialmente di natura mendicante e pauperistica, che minacciavano con la loro pretesa di purezza l’egemonia politico-religiosa del clero.
Il romanzo della Rosa
Un altro romanzo di particolare interesse dell’epoca medievale è ”Il Romanzo della Rosa”, di cui la prima parte venne scritta da Guillame De Lorris alla fine degli anni trenta del duecento, mentre la seconda parte da Jean De Meun negli anni ottanta, sempre del duecento.
Il motivo per cui questo romanzo è così importante è perché a quell’epoca fu ricopiato moltissime volte, tanto da lasciarci un numero considerevole di manoscritti superstiti. Insomma, si tratta di un vero e proprio best-seller medievale, perché molto amato dal pubblico che lo sentiva recitare nelle piazze.
L’opera in sé è un romanzo allegorico dove il protagonista, che è anche l’io narrante, si ritrova a voler conquistare una rosa, allegoria dell’amata. Per arrivare da essa però dovrà attraversare un percorso tortuoso tra varie personificazioni di sentimenti, come la ragione, l’invidia, la Bell’Accoglienza, e molti altri, che paiono sbarrare la strada al protagonista.
Nella seconda parte – quella di Jean De Mean – il protagonista, che non era riuscito a ottenere ciò che voleva, invoca Venere, affinché lo aiuti a superare le varie peripezie che lo separano dall’oggetto del suo desiderio – oggetto che qui passa ad indicare propriamente anche il sesso della donna -.
In conclusione, a mò di lieto fine, il protagonista riuscirà ad ottenere ciò che vuole, ossia il rapporto carnale con la donna, e si paleseranno nel romanzo scene particolarmente triviali, con il solito utilizzo di un linguaggio molto basso e scurrile.
Il Romanzo della Rosa ebbe una fortuna letteraria davvero molto vasta ed è stato probabilmente letto o sentito recitare da ampie fasce di popolazione europea dell’epoca. Uno dei suoi lettori più affezionati fu proprio il nostro Dante Alighieri, che lo riprese nelle sue prime opere giovanili: il Fiore e il Detto d’Amore.
Boccaccio
L’opera in prosa più celebre del Medioevo, però, resta senza dubbio il Decameron di Boccaccio. La liberalità e la libertà di quest’opera è cosa molto nota, tanto che il testo finì per molto tempo nell’indice dei libri proibiti, creato nel 1559 da Papa Paolo IV e soppresso soltanto nel 1966.
Oltre alle novelle molto note – di cui alcune anche particolarmente succinte, tanto che ancora oggi nella scuola italiana gli insegnanti si premurano di censurarne qualcuna – c’è n’è una che è davvero interessante, ed è la decima della quinta giornata. In questa novella, infatti, Boccaccio parla di un rapporto omosessuale con una leggerezza davvero disarmante.
Pietro Di Vinciolo, il protagonista, vive nella piccola Perugia dove tutti si chiedono per quale ragione non prenda moglie. Nemmeno quando decide di sposarsi con una giovane del posto, l’uomo pare aver interesse nei confronti della donna. Pietro infatti è omosessuale e la moglie, non potendo accettare questa situazione, sente di avere tutte le ragioni per tradire il marito, e lo fa col garzone del paese.
Lo invita a cena con l’intenzione di sedurlo, ma Pietro rincasa prima del previsto e la donna si vede costretta a nascondere l’amante sotto una tinozza nella stalla. Quando però un asino calpesta una mano del garzone rimasta fuori dalla tinozza, Pietro scopre il tradimento, ma – al contrario di ciò che ci si aspetterebbe da un marito tradito – rimane impassibile e anzi, invita placidamente il giovane a cenare con lui e la moglie.
La mattina seguente il garzone viene ritrovato, un po’ frastornato, nel centro della città. Come spiega Boccaccio, non si sa se ha giaciuto con Pietro, con sua moglie o con entrambi.
Al di là dell’irriverenza dello stile, quello che più dovrebbe stupire è proprio l’estrema modernità di Boccaccio, che è un uomo ”medievale” – per usare finalmente l’aggettivo in modo consono – eppure riesce a parlare liberamente, anche se in modo scherzoso, di un tema che sarebbe stato oggetto di tabù e censura in epoche posteriori, fino ad arrivare anche a buona parte del ‘900.
Oscurantismo o ingenuità?
La verità è che il Medioevo non è un’epoca oscurantista e bigotta, ma piuttosto un’epoca dove vigeva un generale – e comprensibile – senso di ingenuità che portava ad affrontare tutti i temi della vita in modo un po’ scherzoso, un po’ irriverente, ma senza mai porre quelle regole stringenti e rigorose che il pregiudizio che la nostra società ha verso quel mondo sembra volergli attribuire.
La cultura pare ancora una volta assumere il ruolo che dovrebbe avere di fronte a tutti i pregiudizi della nostra società, ovvero quella di svelarne la fallacia. E così, a fronte di tutto questo patrimonio letterario e culturale, siamo ancora sicuri che essere ”medievali” sia poi così male?