Satyricon – Il mondo di chi non fa la storia
Esistono in letteratura opere bizzarre, che si distinguono nettamente dalle altre coeve e costituiscono un’enigmatica eccezione alla regola, sia dal punto di vista contenutistico sia di stile: il Satyricon è una di queste. Scritto con ogni probabilità nell’età Giulio-Claudia, più specificatamente sotto il regno dell’imperatore Nerone (54-68 d.C.) , è l’unico romanzo della letteratura latina a noi pervenuto oltre alle Metamorfosi di Apuleio, laddove con “romanzo” si intende un’opera letteraria rivolta a un pubblico di bassa levatura culturale, destinato allo svago, con una trama basata sulle avventure a lieto fine di due innamorati. Per lo più il Satyricon, con la sua ironia, si pone in contrapposizione con molti crismi tipici del romanzo classico, configurandosi come una vera e propria parodia. Già questo fatto potrebbe bastare per conferirgli uno statuto a parte, ma c’è di più. Infatti il Satyricon è ritratto fedele e insieme caricatura della società romana dell’epoca. Affascina non solo per la commistione di registri e di stili o per la comicità spregiudicata, ma anche per la scelta, eccezionale e sorprendentemente realistica, di dare voce alla gente comune.
Satira, erotismo, parodia..
“Satyricon Libri” significa letteralmente “storie di satiri”, nel senso di racconti di argomento osceno e licenzioso, ma richiama anche il termine latino satura (satira). Nella sua ambiguità, il titolo allude dunque alla duplice natura del racconto, che mescola la tematica erotica a quella della satira sociale e letteraria: l’intersezione di molteplici generi e modelli è una delle tare peculiari di quest’opera ibrida, che esplora le zone di frontiera della letteratura serio-comica.
Essendo appunto il Satyricon anche un’opera comica, l’elemento parodico gioca un ruolo fondamentale all’interno della narrazione. L’autore, molto probabilmente Gaio Petronio Arbitro, personaggio in vista della corte neroniana, prende spunto dal romanzo greco di età ellenistica e ne ribalta i canoni. I protagonisti del Satyricon infatti non sono due sposi virtuosi e di alto lignaggio che dopo diverse peripezie restano reciprocamente fedeli. Al contrario, Encolpio e Gítone sono sì una coppia, ma omosessuale; tutt’altro che fedeli, i due amanti sono squattrinati, viziosi, vagano a vuoto, per mare e per terra, nelle Graecae Urbes dell’Italia Meridionale. Privi di una destinazione precisa a cui puntare, durante le loro peregrinazioni si imbattono in un caleidoscopio umano di figure sorprendenti: truffatori, avventurieri, matrone libidinose, studenti squattrinati, serve scaltre. Nel descriverli con uno sguardo lucido e distaccato, Petronio sembra offrirci una panoramica completa dei bassifondi della Roma imperiale.
Il mondo del Satyricon e il suo realismo
L’autore del Satyricon non è il primo a descrivere personaggi comuni, che non appartengono all’élite della classe dirigente. Alcuni suoi predecessori come Lucilio o Persio, entrambi scrittori di satire, si erano proposti di offrire un giudizio personale sui costumi e le abitudini del popolo, criticandone l’avidità, la corruzione, la dissolutezza. Di conseguenza, l’immagine della società che emerge dalle loro opere è filtrata, e in un certo senso deformata, dal moralismo conservatore tipico della mentalità romana. Con Petronio accade qualcosa di diverso: di fronte al mondo rocambolesco e triviale del Satyricon risulta difficile comprendere la sua posizione. Valutazioni e commenti sono affidati ai personaggi stessi, che sono caratterizzati dall’interno: è il loro modo di agire e di parlare che li presenta al lettore e non l’opinione di chi scrive.
La tecnica narrativa adottata nell’opera comporta un mutamento di prospettiva rispetto alla satira: il punto di vista è interno al racconto e quindi soggettivo, non coincide con quello dell’autore e spesso nemmeno con quello del narratore Encolpio. Inoltre, il soggettivismo è evidenziato dalla cosiddetta “mimesi dello stile”: ciascun personaggio si esprime a seconda della sua posizione sociale e del suo livello di istruzione. Tutti questi elementi hanno consentito a Erich Auerbach, uno dei maggiori critici letterari dello scorso secolo, di affermare che
“..più che qualunque altro scritto dell’antichità esso ( il Satyricon ) si avvicina alla concezione moderna della rappresentazione realistica, e non tanto per l’umiltà dell’argomento, quanto per la descrizione precisa, non schematica, dell’ambiente sociale.”
Il Satyricon dunque imita il reale, riducendo al minimo la stilizzazione e gli schemi fissi al tal punto da essere considerato “..non oserei dire un unicum, ma tuttavia un caso rarissimo” nella letteratura antica.
La percezione storica di una realtà sommersa
Come scrive Auerbach, la rarità dell’opera non sta tanto nel soggetto quanto nel modo in cui il soggetto viene rappresentato. Grazie al realismo di Petronio, il mondo del Satyricon assume vita propria e si racconta, presentando trionfi e miserie, valori e condanne della quotidianità plebea. Ecco che figure come Trimalcione, un liberto arricchito privo di cultura, assumono un ruolo letterario di primo piano che mai avrebbero potuto ricoprire al di fuori del romanzo. L’episodio celeberrimo della sua Cena è emblematico in questo senso. Alla sua tavola si riunisce, assieme ai protagonisti, un gruppo di ex-schiavi, parvenus dell’Italia meridionale, che, come Trimalcione stesso, sono passati dall’essere venduti al mercato a diventare ricchi possidenti: il loro universo è pratico, terreno, venale, caratterizzato dal gusto per la stravaganza artificiosa e per lo spettacolo. Le questioni astratte e concettose dei filosofi li infastidiscono, anzi, suscitano il riso, perché con la speculazione intellettuale non ci si affranca da un padrone crudele né si raggiungono il lusso e gli agi. I pensieri del tempo che fugge e della morte angosciano Trimalcione, ma queste ossessioni vengono accantonate per gustare un’abbuffata di cibi prelibati senza alcuna riflessione approfondita sul tema.
Al cospetto di tutto questo, Petronio tace. Non condanna il materialismo e la volgarità, al massimo sorride velatamente quando Trimalcione cerca di sfoggiare un linguaggio ricercato per darsi un tono senza riuscirci. Questa astensione dal puntare il dito ha delle conseguenze molto più profonde di quello che sembra. L’assenza del moralismo, di giudizi faziosi permettono alla storia di penetrare tra le righe del testo. Sempre considerando i commensali della Cena si può notare infatti come questi non rappresentino soltanto se stessi, ma un’intera classe economico-sociale che vive in una condizione precaria, in balìa della sorte, considerando la ricchezza come valore supremo del singolo e della collettività. Il Satyricon offre uno scorcio di vita quotidiana e contemporanea all’autore, vita brulicante che si aggira tra conviti, postriboli, mercati e scuole di retorica. Questi luoghi parlano, non tramite le condanne di chi pensa alla plebe come una massa degenerata sorda ad ogni richiamo morale, ma attraverso lamentele e le declamazioni dei frequentatori, che accennano anche alle gravi problematiche sociali del tempo: la crisi dell’agricoltura, il sovraffollamento urbano, la corruzione.
Il Satyricon e il suo tempo
Se è vero che il realismo dell’opera restituisce un senso di concretezza storica, è altrettanto vero che il Satyricon resta comunque un’opera antica, il cui realismo si scontra con dei limiti ben precisi dovuti appunto al contesto storico e artistico in cui è stato realizzato. Nella letteratura antica la realtà popolare di tutti i giorni non poteva che essere raccontata in chiave comica, senza un approccio problematico. Petronio tenta sì di raccontare la Roma del primo secolo dopo Cristo senza criticarla apertamente, ma lo fa in modo scherzoso. Non ha alcuna intenzione di analizzare le cause degli avvenimenti descritti, al massimo si diverte a osservare le diatribe tra studenti squattrinati e truffatori per poi riportarle così come le ha sentite, sempre con un accenno di derisione, dalla quale talvolta si intravede la consapevolezza della propria superiorità. Nonostante il sostanziale disinteresse dell’autore per l’aspetto storico della sua opera, lo studioso moderno può trarre comunque vantaggio da ciò che Petronio affresca in modo così dettagliato e verosimile: si potrebbe quasi dire che la storia, con i suoi protagonisti solitamente trattati da comparse, affiora in superficie suo malgrado.
Opera insolita, difficilmente incasellabile, il Satyricon si distanzia sia dai capolavori del realismo moderno di Zola, Verga e Flaubert per la profonda differenza di intenti, sia dalle altre opere coeve, che spesso soffocano con le sentenze la vitalità dei fatti quotidiani. Qual è dunque il fine di un romanzo che sfugge a ogni banale tentativo di classificazione? Non esiste una risposta semplice, univoca o definitiva a questo interrogativo. Forse per intuire un barlume di significato basta immaginarsi Petronio come un pittore geniale che, ammirando la città dall’alto, ne tratteggia abilmente i vicoli sordidi e le locande mentre sorride, bonario e altezzoso al contempo, per l’insensatezza dei comportamenti umani. Il fascino del Satyricon sta proprio in quel sorriso ambiguo, che si propone di ritrarre i la vita di ogni giorno senza giudicare, ma conservando il privilegio di poterne ridere.
Bibliografia:
Auerbach E., Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1977, (1 ed. nella Piccola Biblioteca Einaudi, 1964)
Petronio, Satyricon, Milano, Rizzoli (BUR), 1953