“Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo” di Giorgio Benedetto Scalia – Premio POP 2024
di Alice Stroppa
Vita e Martirio di Saro Scordia, pescivendolo, il romanzo d’esordio di Giorgio Benedetto Scalia, presenta una trama quanto mai originale. Si tratta di un libro caotico, pieno di vita, brulicante come le voci di un mercato. Ed è proprio al mercato che inizia la storia: Saro è un pescivendolo che lavora alla Vucciria e che trascorre una vita tranquilla, la cui routine è scandita dalla continua cura dei propri capelli. Un giorno, però, una colomba si posa sulla sua folta chioma, e ne strappa qualche ciocca. Inizia così un travaglio che porterà Sarò a diventare pelato e, laddove c’erano i capelli, compare una voglia a forma di volto di Cristo, così nitida e definita che sembra un segno di santità, come fosse un prescelto da Dio. Da questo momento il lettore è trasportato tra le vicende agiografiche del “santo”; Saro invece è trasportato dal bisogno della gente di credere che lui possa davvero compiere miracoli.
Questa nuova vita porta Saro a fare esperienze che non avrebbe mai immaginato, come prendere l’aereo, e a incontrare personaggi insoliti. Tra le persone che gli si avvicinano spiccano Don Diego e Meri, due figure che vogliono entrambe prendersi cura di lui, ma in maniera e con scopi estremamente diversi.
Vengono così affrontati i temi del sacro e del profano, dell’identità sociale e la relazione tra il bene e il vero; ma soprattutto, viene tracciato un ritratto della Sicilia.
Il linguaggio e la Sicilia
Giorgio Benedetto Scalia ha la capacità di trasportare i lettori nei paesaggi della Sicilia, sua terra natale. Il libro si apre con una deliziosa descrizione del mercato della Vucciria, in cui Saro lavora e richiama i compratori con l’abbanniata siciliana. Questa, insieme ad altre scene corali sono punti di forza della scrittura dell’autore, e si imprimono come cartoline nella mente del lettore.
In pochi giorni, il nome di Saro aveva già inondato tutti e quattro i mandamenti di Palermo. Chiunque in città era smanioso di sapere chi fosse questo Saro, il santo della Vucciria, già conosciuto con l’appellativo di u Tignusu, il Pelato. A mezzogiorno un popolo di genti di ogni tipo e maniera si riversò sotto casa sua solo per vederlo affacciarsi dal balconcino di via Rosario 33. E nell’attesa che Saro si palesasse, facevano un brusio assordante: «Ma vero è?», «Io ci voglio chiedere se mi fa entrare in quel programma, “Diventerai una Star”», «Vulissi toccare ‘sta voglia a forma di Gesù», «Sono un po’ scettico, ma certo, non è una cosa che si sente tutti i giorni» […]
La Sicilia è presente anche nel modo di parlare dei personaggi, di cui viene riportato il dialetto utilizzando trascrizioni fonetiche larghe. Questa scelta stilistica non può che richiamare altre operazioni letterarie del passato, di cui i più grandi nomi rimangono Verga, con il ciclo dei Vinti, e Camilleri con il commissario Montalbano.
Forse, fanno parte di questo linguaggio marcato anche alcune immagini esasperate e teatrali, che sono da ascrivere a un effetto ironico-paradossale.
Saro tentava di svitare il tappo e piangeva. Aveva una vena sulla tempia che pareva un’anaconda che ingoia un bue. Corse in cucina e svuotò a terra il cassetto delle posate che suonarono come campane. Impugnò il flacone con la mano insanguinata e con l’altra tentò di affettarlo con le forbici trinciapollo, ma gli sgusciarono via e per un pelo non si pugnalò allo stomaco. «Stava muriennu!». Stritolò il flacone e – non seppe nemmeno come – il tappo si svitò tre le sue dita tozze e sanguinanti.
Iperboli come questa creano uno straniamento che fa da antitesi alla tragicità percepita dal personaggio, e che impediscono qualsiasi empatia con lui. Anche le reazioni dei personaggi risultano marcate ed eccessive. Il lettore arriva perciò a chiedersi se esse siano legate solo ad un aspetto del comico, oppure siano da leggere come tratti del siciliano, da cui ogni emozione esperita deve essere stravolta e amplificata, portando i personaggi a gridare per strada, rompere specchi e strapparsi i capelli.
La Sicilia governa anche il destino dei personaggi, agendo attraverso la pressione sociale. Ma il personaggio maggiormente stereotipato come siciliano è Don Diego, di cui sono descritti i tratti manipolatori: come estorca “offerte” ad insaputa di Saro, come gli invada la casa e gli programmi la vita; eppure, non si arriva mai a giudicarlo totalmente una figura cattiva. Piuttosto, sembra un uomo disilluso e avvezzo alla società in cui vive, che al momento opportuno riesce ad adattare una mentalità imprenditoriale a una buona occasione.
Lo stile
I tempi del racconto sono insoliti: l’autore dedica molte pagine all’introduzione del personaggio principale, la cui caratterizzazione richiede anche una serie di flashback per chiarire come la perdita dei capelli equivalga per lui a una perdita di identità per Saro; ma non è altrettanto interessato ad indagare lo scetticismo del santo quando viene calato nella sua nuova identità. Saro è effettivamente un santo, sta compiendo miracoli o si tratta solo di coincidenze? Questo tema viene trattato in maniera consistente solo negli ultimi capitoli e con una certa fretta, riferendo in poche pagine gli incontri determinati per Saro e la sua identità, su cui si era costruita una certa attesa.
Un altro esempio di utilizzo peculiare dello stile si trova nel capitolo 14, che intreccia i dialoghi di due personaggi posti in situazioni e luoghi differenti, ma le cui battute continuano a rispondersi come se fossero nel medesimo luogo. Questa interessante soluzione di scrittura potrebbe coinvolgere maggiormente il lettore, ma può risultare anche disorientante. Questo sia perchè questa alternanza di voci e situazioni è limitata a questo capitolo, e mai utilizzata nel resto del romanzo, sia perché la grafica non aiuta a individuare i salti fatti dal narratore.
In conclusione, Vita e Martirio di Saro Scordia, pescivendolo racchiude una varietà di temi ma soprattutto di odori e di situazioni eterogenee fino all’eccesso, che possono attraverso la lettura interrompere la tranquillità della nostra vita (come accadde al pescivendolo Saro) per trasportarci in breve tempo in una città portuale come quella di Palermo.