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Rocco Scotellaro, un cantore del Sud, dei paesi, degli oppressi

di Luca Gritti

L’Italia, una nazione di Paesi

L’Italia è una nazione di Paesi. Al di là della nozione più folkloristica di questa consapevolezza, dei campanilismi, delle rivalità paesane, resta vero il fatto che non esista un’altra nazione che, come l’Italia, alle grandi città e ai grandi centri delle nazione sappia giustapporre anche una platea infinita di paesi, paesini, paeselli che sono disseminati per tutta la penisola e che ne fanno, in qualche modo, la specificità, l’identità. Forse è così anche altrove, ma in un modo in qualche modo diverso. In Francia, ad esempio, tutto è molto proiettato su Parigi, ed esiste una Francia profonda, provinciale e provenzale, che ha altri ritmi, altri climi, un’altra identità. Ma lì i paesi sono più sparuti, inframmezzati da distese ampissime di luoghi disabitati, affascinanti naturalisticamente ma incontaminati, lontani da ogni forma di civilizzazione. In Italia questo è più difficile. In realtà, la specificità italiana forse consiste proprio nel Borgo– cioè il fatto che ogni paese, anche il più piccolo, ha una sua dignità politica e culturale, civile e letteraria- o perlomeno l’ha avuta in passato, ed in qualche modo sente di averne diritto.

Una suggestione letteraria o un’idea politica concreta?

Tutta la letteratura italiana è disseminata di riferimenti a questa contrapposizione tra città e paese, in un modo diverso e più originale rispetto all’antico topos della contrapposizione tra città e campagna, che troviamo sin dai tempi di Orazio. Il Paese è qualcosa di diverso dalla campagna, specialmente il Paese del Novecento- è qualcosa che guarda alla città ma conserva comunque una sua autonomia, una gelosa affezione alle proprie prerogative. Nel Dopoguerra, la mistica dei paesi è anche diventata una difesa di qualcosa che stava sparendo, un inno ad un tempo ed un mondo perduto, che sarebbe stato spazzato via dalle lusinghe e dalla forza corruttrice della modernità. Qui la lista di scrittori a cui fare riferimento si spreca, gli autori non si contano. Banale è citare Pasolini, che di questo canto commosso e straziato all’Italia pre-industriale aveva fatto, negli ultimi anni della sua vita, una poetica visionaria ed ossessiva. Ma ancora viene in mente Pavese, e la famosa citazione da La Luna e i falò, per cui a suo dire un paese ci voleva, non fosse altro che per scapparne. Ma ancora possiamo citare Guareschi, che in un ipotetico paese della pianura padana collocò il suo mondo-piccolo, microcosmo di una genuinità contadina ingenua ma verace, che, pur con tutte le sue brutture, era pur sempre preferibile alla fatuità superficiale della città. O, ancora, Luciano Bianciardi, e la sua amara scoperta della città durante il Boom- di cui vide per primo le contraddizioni, le speculazioni, le zone d’ombra.

Naturalmente, queste denunce all’epoca in cui erano date alle stampe erano prese per quello che erano, ma solo in parte: ovvero come delle suggestioni letterarie. Sono memorabili i pezzi sul Corriere in cui Moravia e Calvino rimproverano Pasolini di rimpiangere l’Italietta, ed in cui attribuiscono ai suoi discorsi contro l’urbanizzazione e la modernità una valenza retriva, reazionaria…

Scotellaro, il primo cantore dei paesi

È meno noto, forse, che ci fu un poeta, ma anche scrittore di prose e animatore di battaglie civili, polemista e politico, che anticipò tutti gli autori succitati e per primo cantò la placida indolenza dei paesi, la loro genuinità ma al contempo la loro ambizione di giustizia sociale, e la voglia di rivalsa dei ceti popolari, schiacciati tra un mondo contadino che li affliggeva e una modernità che li ghermiva con le sue promesse ma in realtà riservava loro solo il limbo della proletarizzazione. Parlo di Rocco Scotellaro, poeta e politico lucano, nato a Matera nel 1923 e morto a Napoli nel 1953, a soli trent’anni, dopo una vita spesa interamente per rivendicare, con le parole e le azioni, una sorte migliore alla sua terra. A farci riscoprire un po’ la poetica di Scotellaro, in una formula essenziale ed intensissima, è stata Interno Poesia, una delle case editrici che si sta distinguendo per la sua qualità nell’imbastire un catalogo di poesia moderna e classica di vera pregevolezza. Il volume, uscito qualche mese fa, si intitola Tu sola sei vera1, e contiene una silloge di poesie scelte di Scotellaro, selezionate accuratamente da Franco Arminio. La scelta di Arminio come curatore è un po’ la chicca dell’edizione e risulta quanto mai indicata. Arminio è l’unico poeta contemporaneo ad essersi consapevolmente ed intenzionalmente collocato nel solco degli autori citati in precedenza, da Scotellaro a Pasolini. In lui il canto dei paesi non è più quello di una civiltà minacciata ma ancora piena di vitalità, ma è quello di denuncia dell’inverno demografico, della fine delle vecchie tradizioni, dello spopolamento. È come se in Arminio trovassimo il compimento delle poesie di Scotellaro raccolte nella silloge, o all’opposto, nella silloge trovassimo la matrice culturale ed esistenziale da cui ha preso le mosse la poesia di Arminio. Curatela insomma simpatetica e per certi versi simbiotica.

Un canto di amore e di dolore

Scotellaro comunque, venendo alla sua lettera ed ai suoi componimenti, è una vera scoperta letteraria, per i molti- compreso lo scrivente- che non sapevano di lui prima dell’edizione di quest’opera. Considerando che si tratta di componimenti scritti negli anni ’40 del ‘900, ritroviamo una modernità letteraria che non ci si aspetterebbe. Non si tratta solo del canto dell’Italia perduta, riassorbita dalla forza corruttrice delle città- il che sarebbe comunque notevole perché siamo vent’anni prima di Pasolini, a dire la forza profetica di certe intuizioni. La vita al paese non è idealizzata, non ha una versione rassicurante, idilliaca. Al contrario, vengono mostrate bene le miserie e le brutture a cui erano destinati i ceti più poveri. Ma, malgrado tutto, Scotellaro ravvede in quella povertà una nobiltà, o comunque un’umanità che merita di essere raccontata, perché frammiste alle brutture ci sono anche tante cose commoventi e bellissime, se anche dolorose. Forse l’autore ne scrive anche perché, proprio in quel racconto, certe miserie possono trovare il loro risarcimento, il loro riscatto. Ecco allora il paradosso degli autori che cantano i paesi, di cui Scotellaro è stato per certi versi l’iniziatore: si canta il paese non per idealizzarlo ma perché certe cose possano cambiare, o anche solo perché il mondo possa iniziare a vederle, per sottrarre i paesi all’invisibilità a cui spesso paiono destinati. È un paradosso che troviamo in un altro autore dell’epoca, Ignazio Silone, che nel suo Fontamara immagina un paese della Marsica in cui le dinamiche sociali si sono cristallizzate fino all’avvento di una inedita spinta all’emancipazione e all’incivilimento delle masse, segno di promessa poi subito tradito. Ma ora leggiamo Scotellaro.

La pace dei poveri

Il vento muove le calze ai balconi
in questo silenzio cattivo
campa la gatta e la donna con l’ago
e luccicano le tele dei ragni.
Senti che i campanelli
cercano i fuochi a S. Giuseppe
la festa del rione, domani.
Il nostro marmocchio ignudo
con la pancia gonfia
che vomita vermi
chissà se cercando la legna
domani del Santo
avrà la buona sorte
e le mani pulite di sangue.

Terronia

Noi siamo tutti un’anima d’un Dio
siamo gl’innocenti nocivi
e i penitenti ignavi.
E i nostri avi furono i latini
che lasciarono i lupi far lamenti
padroni dei boschi recinti.

Amo le giovinette e nonne
sono cose della natura
come i fiori e le pietre
fuori dal discorso del mondo.
Noi diamo gesti e parole
e discorsi e guerre e affanni,
loro sono lì arrese al sole
bellezze estreme del lungo viaggio.

E ancora molte altre poesie, magici incontri erotici, lettere al padre e alla madre, agli amici carcerati, sulla sua stessa detenzione (fu incarcerato, da sindaco di Tricarico che era, per un’accusa di concussione poi rivelatasi infondata, nel 1950). In definitiva, sullo splendore della vita, solare e mediterranea, anche se sempre amareggiata dal peso dell’ingiustizia, della morte. Quella morte che lo colse così precocemente, forse perché, come suggerisce Arminio nella sua bella breve prefazione, amò la vita e la sua terra troppo intensamente, troppo violentemente. Una fragilità che diventa patria, appartenenza, vicinanza ai più deboli, canto poetico e grido di battaglia civile. Fino all’ultimo respiro.

Io sono un filo d’erba,
un filo d’erba che trema.
E la mia patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.


  1. Rocco Scotellaro, Tu sola sei vera, a Cura di Franco Arminio, Interno Poesia, 2024, 160 pp., 14,25 euro, https://www.ibs.it/tu-sola-sei-vera-poesie-libro-rocco-scotellaro/e/9791281315129 ↩︎

https://www.arateacultura.com
https://liberliber.it/autori/autori-s/rocco-scotellaro/e-fatto-giorno/

Luca Gritti

Laureato in filosofia, appassionato di letteratura, in cerca di classici contemporanei. Vivo e lavoro a Bergamo.