Quincy Baltimore – Poesie
Lo stile di Quincy Baltimore si presenta elaborato ed originale. I numerosi enjambements e la quasi totale assenza di punteggiatura, se non come cesura interna al verso, contribuiscono alla costruzione di un ritmo lapidario. Sembra così che l’unico perno sia l’unità pura del verso con le sue assonanze e consonanze ricercate tramite un uso sapiente del lessico. Infatti la parola di Baltimore è tesa come una corda che cerca di avvolgere e trarre il lettore verso le immagini, le scene e i paesaggi narrati. In questo rinnovato appuntamento con la poesia inedita di giovani e talentuosi poeti, ho selezionato tre poesie legate tra loro dai rimandi storici.
L’Oriente dell’Impero Ottomano viene qui rievocato attraverso i suoi campi racchiusi in una coppa di sole, le case di sale e a filigrana troviamo le stalle smerdate ma anche l’alba. Questo passaggio è particolarmente bello ed esplicativo dello stile originale di Baltimore: l’anastrofe adottata colloca l’unico complemento del verso appositamente nel mezzo creando un legame contrastante con lo sterco delle stalle e i raggi del primo sole ai quali più facilmente si lega. Il motivo domestico riemerge nella seconda strofa stavolta colorato dagli stendardi, simboli identificativi per le fazioni, le casate, i popoli che vivevano in un’unica entità politica sotto il dominio di un unico sovrano: il sultano. Infatti, sulla cima di una torre troviamo la cassa di tutti loro che li conserva. Nel congedo appare la proprietaria dell’abitazione: è una donna spia che scruta dalle fessure dell’abito la sua casa e il suo regno. Ci fu un’epoca in cui furono proprio le donne a reggere il comando dell’intero Impero, in particolare quelle provenienti dall’Harem di palazzo che comprendeva la madre del sovrano, superiore per autorità a tutte le altre, e le concubine favorite del sultano, spesso di condizione schiavile. Il governo delle donne, le quali approfittarono di regnanti troppo giovani ed inadatti, durò per più di 100 anni in un periodo compreso tra il XVI e il XVII sec. Il componimento seguente porta come titolo il nome di un’antica regione europea: l’Illiria, oggi identificabile con i paesi dell’Est affacciati sull’Adriatico. La poesia porta in esordio una visione straziata da un urlo e dal pianto che solca le croste sulle ciglia di un ricordo magro che muore e rinasce, favorendo il ri-ciclo di nuovi giorni segnati nel sangue. È difficile non pensare ai desolanti scenari che la popolazioni di quelle terre hanno dovuto subire nell’epoca contemporanea. Sbuca da un’immagine dipinta di rosso, il volto di una statua riscolpita dal sudore delle ombre e caratterizzata da una ruvida imperfezione. Neanche il tempo di mettere nuovamente in evidenza la perifrasi impiegata nel verso, che immediatamente compare un ladro in fuga voltato di spalle. Nell’attimo in cui l’osservatore poggia lo sguardo su questi due elementi, la faticosa statua scivola cera e si disperde in piante di luce. Infine, anche Pisane si apre su uno sfondo tetro di guerra e sangue dove emerge il corso limpido dell’Arno che collega, come un ponte, entrambe le città di Pisa e Firenze. Il fiume è come appeso e i suoi figli combattono l’uno contro l’altro. Celebre è la rivalità tra i due Comuni toscani per il possesso della regione, contrassegnata da continui scontri e perdurata fino alla definitiva caduta della città pisana dopo una strenua resistenza; così l’autore pone l’accento sui fratelli di Firenze: morti. Tra l’altro mi pare utile rilevare che una tattica adoperata dai Fiorentini per bloccare le linee d’approvvigionamento dell’avversario, fu proprio la costruzione di un ponte fortificato sull’Arno.
In queste righe ho tentato di esporre le suggestioni, i rimandi e le interpretazioni suscitate dalla lettura delle poesie di Quincy Baltimore. La considerazione che ne ho tratto è che, sebbene ogni lettore può leggere e ricavare significati diversi, non ho potuto fare a meno di sforzarmi e mettermi in ricerca poiché catturato e spinto dalla presa avvolgente dei suoi versi.
Calendario ottomano
Ci sono i figli delle case di sale
stalle smerdate a filigrana l’alba
oltre il confine di una mano tesa
campi in una coppa di soleCi sono stendardi di case
e sulla cima di una torre
la cassa di tutti loroUn paio d’occhi di donna spia
fessure nell’abito
l’abitazione è sua suo il regno
*
Illiria
Hanno visto l’urlo del sole
lacrime a solcare croste di pianto
sulle ciglia di un ricordo magro
e muore di stento a brandelli
riciclo di nuove aurore in sangueil volto di una statua riscolpita
d’ombre ruvida l’imperfezione sudate
ora appare un ladro in fuga voltatoE tu li vedi e lei ti scivola cera, e state
la premi a iridarsi in piante di luce
*
Pisane
Io sono il ponte
neve sull’Arno e guerra
cadono i primi sangui
leggeri come veli di salma
i figli dell’appeso, con luiIo sono il ponte
e le battaglie tra carcasse
nervi di verme, pattume
la peccatrice bussa di chiodoi fratelli di Firenze: morti
L’autore
È nato nel 1995 a Roma, città in cui risiede utilizzando il suo vero nome.
Ha conseguito studi umanistici, legati in particolar modo alla letteratura e alla linguistica italiana.
Suoi scritti in versi sono apparsi su The Bookish Explorer, Neutopia, La Seppia, Super Tramps Club e Margutte mentre Sulla quarta corda pubblica il racconto “La notte si chiama Anja”.
A giugno 2022 è uscita “Primavalle”, la sua raccolta poetica d’esordio edita da Another Coffee Stories.