“Quel maledetto Vronskij” di Claudio Piersanti – Premio Strega 2022
“Tu lo conosci Vronskij?”
Con queste parole il personaggio di Stepàn Arkad’ič Oblonskij si rivolge a Lèvin all’inizio dell’unidicesimo capitolo di Anna Karenina.
“E perché dovrei conoscere questo Vronskij?” chiede di rimando il povero Lèvin, ignaro del fatto che la principessa Kitty, a cui vuole chiedere la mano, in realtà sia già perdutamente innamorata del suddetto sconosciuto.
“Dovresti conoscerlo, perché è uno dei tuoi concorrenti.” continua l’altro “Egli è immensamente ricco, bello, con altolocate relazioni, aiutante di campo e con tutto questo è anche molto simpatico. È colto e molto intelligente. Un tipo che andrà lontano.”
Con un profilo del genere non c’è da stupirsi che anche la stessa Anna Karenina si innamorerà di Vronskij e deciderà di fuggire con lui, abbandonando la propria famiglia. È perfettamente naturale, dunque, per un uomo qualsiasi, che si ritrovi a leggere il romanzo di Tolstoj dopo la scomparsa della propria moglie, immaginarsi un Vronskij che l’abbia portata via.
Il nostro “uomo qualsiasi”, stavolta, è Giovanni, tipografo appassionato del proprio lavoro in modo invidiabile e in parte ossessivo, sempre gentile con tutti, troppo gentile, fino a nausearsi, con un’attitudine estremamente mite e abitudinaria. Sua moglie è Giulia, donna meravigliosa sia dentro che fuori, appassionata di botanica, dolcissima e molto intelligente, purtroppo malata di un male che la costringe a rimanere a casa e che ha una possibilità su tre di esserle fatale. Insieme formano la coppia protagonista di Quel maledetto Vronskij, romanzo di Claudio Piersanti, edito per Rizzoli nel 2021 e candidato al Premio Strega 2022.
Di punto in bianco, Giulia sparisce, lasciando soltanto un biglietto per il marito: “Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare.” Come c’è da aspettarsi da un tipo come Giovanni, l’uomo nemmeno ci prova a cercare la moglie, con cui credeva di avere una relazione a dir poco idilliaca. Il lettore, mosso dalla stessa convinzione, rimane spiazzato da una svolta simile e vorrebbe che il protagonista si attivasse per ritrovare Giulia, tanto più che la donna viene avvistata più volte a passeggiare per Milano da amici e parenti di Giovanni, e sembra a portata di mano. Gli stessi amici, facendo le veci del lettore, spronano Giovanni a darsi una svegliata e ad andarsi a riprendere sua moglie: lo incoraggiano fino ad assillarlo, allibiti davanti a un’attitudine tanto passiva nei confronti della vita. Non possono accettare, insomma, che Giovanni scelga di agire in modo diverso da come agirebbero loro. In parte, forse, gioiscono che l’uomo, da loro sempre invidiato per sua la relazione serena e stabile, sia ora in difficoltà, ma fremono insoddisfatti che tale difficoltà non smuova in lui ciò che accenderebbe in loro.
Giovanni infatti sembra ribellarsi alle leggi stesse della narrazione tradizionale. Non è un astuto investigatore, né un eroico macho capace di riportarsi a casa in spalle la propria donna dopo aver picchiato il suo amante, né tantomeno un poeta melodrammatico pronto a comporre versi struggenti sulla perdita dell’amore. Giovanni è un “uomo qualsiasi”, di certo più inetto della media, sì, ma comunque non in modo caricaturale. La società gli impone di trattare la propria vita come un romanzo, ma lui non ne è in grado, o semplicemente non gli va di farlo. Tanto più che di romanzi Giovanni ne ha letti ben pochi, abituato da buon tipografo a leggere soltanto i passi che gli vengono sottoposti sul lavoro, con un occhio critico, capace di individuare ogni errore. Insomma, come protagonista di un libro, senza dubbio, stonerebbe.
Ed è proprio questa la prima intuizione geniale di Piersanti: costruire una storia attorno a un antieroe che fugge da ogni svolta inaspettata della propria vita. Raccontare l’evoluzione di un individuo che, da persona comune, diventa un personaggio. La scomparsa di Giulia, infatti, costringe Giovanni ad uscire dai propri schemi. Per forza di cose l’uomo non può più condurre la sua vita normale e, nel tentativo di ritrovare un equilibrio, dissesta qualcosa dentro di sé. Così comincia a dormire nel proprio negozio di tipografia e a impiegare la maggior parte del suo tempo in un’impresa assurda: trascrivere l’intero romanzo di Tolstoj, Anna Karenina, uno dei preferiti della moglie, intenzionato a regalarle una copia unica e pregiata, nel caso tornasse.
Ignaro del contenuto dell’opera, Giovanni scopre gradualmente la carica profetica della propria scelta. Il personaggio di Vronskij, amante di Anna, inizia ad ossessionarlo come la visione di un individuo molto più intraprendente e affascinante di lui che, nelle fantasie di Giovanni, possiede sua moglie con volgarità e violenza. Ma con il tempo la visione si deforma e Vronskij assume tratti ancora più soprannaturali e ambigui, fino a configurarsi come la stessa morte.
“E perché dovrei conoscere questo Vronskij?” rileggere le parole di Tolstoj, ora ha un altro sapore.
“Dovresti conoscerlo, perché è uno dei tuoi concorrenti. Egli è immensamente ricco, bello, con altolocate relazioni, aiutante di campo e con tutto questo è anche molto simpatico. È colto e molto intelligente. Un tipo che andrà lontano.”
La morte si toglie il mantello e la falce per assumere le sembianze di un nobile personaggio della letteratura russa. Egli è “il principale concorrente” di tutti noi e allo stesso tempo appare sempre e inevitabilmente come migliore di noi. Non importa quanto possiamo essere ricchi, belli, simpatici o colti: Vronskij sarà sempre un passo avanti a noi, pronto a sottrarci tutto ciò che abbiamo.
Attraverso questa luce, il titolo del romanzo assume una portata da pelle d’oca. “Quel maledetto Vronskij…” sembra ricordarci Piersanti “Che continua a incombere anche sulle vite più meravigliose. Che non ci lascia stare mai, con la sua presenza imperitura.”
Purtroppo però, nonostante queste premesse, il romanzo di Piersanti ha anche degli evidenti punti deboli, insiti nelle caratteristiche che abbiamo già citato. Infatti, se leggendo sinteticamente la trama e i temi fondamentali dell’opera è possibile rimanere piacevolmente incuriositi da essa, l’entusiasmo si smorza lentamente nel corso della lettura effettiva. Questo accade perché le pagine dedicate alle riflessioni di grande portata come quelle sul tema della morte, del suicidio, della famiglia e del lutto (tutti argomenti ripresi da Anna Karenina, di cui Piersanti sembra tracciare una reinterpretazione contemporanea), sono insufficienti e lasciano il lettore a bocca asciutta. Prevalgono di gran lunga intere sezioni di vita quotidiana, immerse in un torpore sereno e quieto, ritratte con il gusto della lentezza tipico di un pittore puntinista. Insomma, nell’intento di descrivere un protagonista dalla vita noiosa – proposito in sé geniale, come detto sopra -, l’autore finisce per scrivere un romanzo noioso.
Certo, l’illusione ricreata tra le pagine di Quel maledetto Vronskij è volutamente quella di una vita piatta in cui si aprono fulminei spiragli di presagi di morte. Ma questo virtuosismo strutturale del romanzo, pur risultando efficace dal punto di vista concettuale, di fatto mina la godibilità dell’opera.
Però, se ci si allontana per guardare da lontano il libro di Piersanti, proprio come si fa per ammirare nel suo complesso un quadro puntinista, senza soffermarsi sulle macchie di colore, è difficile argomentare che si tratti di un brutto romanzo. La candidatura allo Strega, tutto sommato, è meritata.
https://www.arateacultura.com/
https://rizzoli.rizzolilibri.it/libri/quel-maledetto-vronskij/