Cinema,  Psicologia

“Philadelphia”: le prospettive della discriminazione

Credits: locandina del film Philadelphia di Jonathan Demme

Il problema della discriminazione omofobica ha sempre influenzato il pensiero occidentale. Solo negli anni ‘80 cattura l’attenzione dell’opinione pubblica, quando negli Stati Uniti esplode l’epidemia di AIDS.
Sono anni caratterizzati da una costante “pubblicità progresso”, che mira a sensibilizzare e a scongiurare la crescente discriminazione nei confronti dei membri della comunità LGBTQ+. La società occidentale infatti, vedeva in questa malattia una “legittimazione” alla paura e all’odio nei riguardi di coloro che reputavano diversi o anti-convenzionali.

Il 16 Giugno 2020 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che il Title VII del Civil Rights Act del 1964, legge che vieta la discriminazione sulla base del sesso nei posti di lavoro, va applicata anche all’orientamento e all’identità sessuale. Le modifiche apportate a questa legge corrispondono non solo al riconoscimento e alla denuncia di un’ingiustizia ma anche ad un’incoerenza di fondo nel pensiero americano.

La visione di “Philadelphia”

A raccontarci questa società nel suo complesso è “Philadelphia”, film del 1993 di Jonathan Demme con Tom Hanks e Denzel Washington. Acclamato da pubblico e critica, diventò precocemente simbolo di un periodo storico caratterizzato da una società deteriorata dall’epidemia dell’intolleranza.

Andrew Beckett (Tom Hanks), avvocato di successo a Philadelphia, viene licenziato quando si scopre che è sieropositivo. Il pretesto del licenziamento è “l’inadempienza professionale”. Una superficie di ipocrisia nasconde, però, una triste verità: la scoperta della sua omosessualità e della malattia sono la vera causa dell’allontanamento.

Andy decide di intentare una causa legale contro il suo studio, ma nessun avvocato ha il coraggio di accettare l’incarico. Assumere la sua difesa significa intaccare permanentemente carriera e reputazione per una “causa persa”, un emarginato, un sieropositivo. Solo Joe Miller (Denzel Washington) modesto avvocato, riesce a vincere il suo stesso pregiudizio difendendo Andy in tribunale e diventandone un sincero amico. 

Una doppia consapevolezza

La pellicola porta l’intreccio a svilupparsi su due piani paralleli. Lo scopo è quello di invitare lo spettatore a riflettere sulla natura della “paura del diverso” mediante un’analisi minuziosa a doppia prospettiva. 

La discriminazione nella sfera sociale

Il primo piano su cui si focalizza l’attenzione è senza dubbio quello giuridico, dove la guerra alla discriminazione viene esemplificata nella sua componente sociale e politica. La visione “microscopica” del confronto/scontro tra il protagonista e i suoi datori di lavoro spinge la riflessione al “macroscopico” conflitto tra la diversità e una società poco incline all’accettazione.

Andy diventa, quindi, rappresentazione allegorica di una realtà che decide di non vivere più nella paura ma di lottare per essere riconosciuta e rispettata. I datori di lavoro incarnano, in opposizione, una società che, servendosi di un pretesto, ha dato sfogo all’odio radicato nel profondo delle istituzioni e del pensiero comune: il pregiudizio.

Giudice Garnett: Tengo a precisare che in questa corte non conta assolutamente né il colore della pelle, né il credo politico o religioso, né tanto le tendenze sessuali delle persone, conta solo la legge.

Joe Miller: Sì vostro onore, ma questa aula non è il paese.

La discriminazione nella sfera privata

Con il susseguirsi degli eventi i protagonisti rivelano le loro fragilità spingendo lo spettatore verso una progressiva immedesimazione verso i loro vissuti. L’attenzione si focalizza, quindi, sul piano personale, intimo e privato, dove la vera guerra è radicata nell’individuo che spesso si trova a dover scegliere tra ciò che ritiene giusto e ciò che la società impone come “giusto”. 

Tale biunivocità è rappresentata dal personaggio di Joe: pur non essendo esente dai pregiudizi ha il coraggio di combatterli. Il contatto con l’AIDS, la visione della malattia da vicino, senza filtri televisivi, cambia radicalmente la sua prospettiva. La percezione del dolore negli occhi di Andy e il contatto con la sua sofferenza lo spingono a strappare il “velo di maya” posto sui suoi occhi dalla società circostante.

Joe Miller: Voglio dirti una cosa, Andrew. Quando ti educano come hanno educato me e la maggior parte della gente in questo paese ti assicuro che nessuno ti viene a parlare di omosessualità oppure, come dite voi, stile di vita alternativo. Da bambino ti insegnano che i finocchi sono strani, i finocchi sono buffi, i finocchi si vestono come la madre, che hanno paura di battersi, che sono… sono un pericolo per i bambini, e che vogliono solamente entrarti nei pantaloni.

Joe si rende conto che la causa legale è più di una questione meramente economica ma diventa una possibilità di cambiare la mente delle persone. La volontà di creare un mondo che valorizzi la diversità senza marginalizzarla lo porta a lottare per qualcosa in cui crede, che ritiene giusto.

La progressione e lo sviluppo della malattia sono inversamente proporzionali al pregiudizio: più la malattia cresce, si espande e logora il corpo di Andy più lui, insieme a Joe, combatte e penetra nella coscienza degli uomini.

Andrew Beckett: Aver fede significa credere in qualcosa che non siamo in grado di provare

Il seme della discriminazione nella società

Una delle due prospettive analizzate da Philadelphia è quella relativa al piano sociale, un problema giuridico ma, ancor di più, ideologico e culturale relativo ad una visione di sopraffazione ed avversione dell’uomo contro l’uomo.

Teniamo, però, a mente che la storia di Philadelphia non tratta solo di omosessualità e nemmeno di AIDS ma incarna le cause di un odio nato da un pensiero così primitivo ed atavico che sembra assurdo possa ancora oggi sussistere: l’intolleranza del diverso.

Nelson Mandela, riconosciuto come uno dei difensori dei diritti umani più influente di sempre, ha lottato per tutta la sua carriera in onore dell’ideale di democrazia ed uguaglianza. Una guerra per la quale era disposto a morire. Il primo nemico da combattere? L’odio.

Nessuno nasce odiando un’altra persona per il colore della sua pelle, per la sua storia o per la sua religione. Le persone imparano ad odiare”.

Nelson Mandela

Nessuno sceglie di odiare da solo. L’idea stessa di discriminazione rimanda all’esistenza di un gruppo al quale appartenere ed identificarsi che si differenzia per determinate caratteristiche peculiari rispetto ad altri gruppi ed individui.

Al momento in cui questa diversità diventa la causa della repulsione tra gruppi, emerge il retaggio sociale. A far leva sull’ostilità verso le disuguaglianze è la percezione di superiorità del proprio gruppo rispetto ad un altro. 

Andrew Beckett: Mettiamo una bella luce negli angoli bui. Perché questa causa non è solo sull’AIDS. Quindi iniziamo a parlare dei veri problemi di questo processo. L’odio della gente, la nostra ripugnanza, la nostra paura degli omosessuali e di come questo clima di odio e di pauraabbia portato all’ingiusto licenziamento di questo omosessuale, il mio cliente.

La teoria dell’identità sociale

La “Teoria dell’identità sociale”, sviluppata dagli psicologi Tajifel e Turner, chiarisce la comune tendenza degli esseri umani a creare distinzioni “noi contro loro” e le modalità di costituzione dei processi di discriminazione. 

Nei loro esperimenti si evidenziava la spontaneità con cui i partecipanti, una volta divisi in due gruppi, iniziassero in pochissimo tempo a riconoscersi come “gruppo diverso, migliore e contrapposto all’altro”. A darne prova, frequenti favoritismi verso i compagni si alternano a comportamenti aggressivi e di disprezzo diretti a chi non ne fa parte.

Tali elementi mettono in luce la naturale tendenza umana a costituire gruppi di appartenenza a cui identificarsi (ingroup) distinguendoli da quelli di non-appartenenza (outgroup). Ciò deriva da un processo psicologico istintivo, automatico ed immediato che spesso basa la distinzione su motivazioni del tutto banali.

Ne è causa principale il fenomeno dell’influenza sociale in cui l’individuo modifica il proprio comportamento, le proprie idee ed opinioni come conseguenza di “fonti di suggestione” intese come comportamento, idee o dei sentimenti espressi da altri. (Mucchi Faina, 1996)

Si tratta, infatti, di un’avversione non originariamente propria ma appresa ed interiorizzata dal singolo attraverso il rapporto con i suoi simili. Grazie all’interazione osmotica tra individuo e contesto sociale, l’identità personale si assopisce convergendo verso la noma di gruppo.

Ma un’azione il cui movente è la credenza condivisa di superiorità, nasconde una delle debolezze più diffuse ed invalidanti di ogni tempo.

Il BIAS nascosto nel pregiudizio

Lo sviluppo di retaggi sociali come il razzismo o l’emaginazione di determinate minoranze, come nel caso di Andrew Beckett, sono conseguenza di un importante limite culturale: il pregiudizio.
Esso viene definito come:

Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.”

Enciclopedia Treccani

Come si evince dalla parola stessa, è una credenza che “precede il giudizio” influenzandolo in modo errato. 

Non solo è limitante per definizione ma ciò che davvero denota negativamente questo termine è il fatto che sia un postulato privo di fondamenta valide ed affidabili su cui un pensiero coerente si possa sviluppare. Un sapere solo parziale dell’oggetto in questione rende la propria tesi instabile e fallace, creando rotture in cui inciampa l’ignoranza di chi parla senza conoscere fino in fondo.

Il pregiudizio non è altro che una scorciatoia concettuale. Da qui deriva il vero e proprio “BIAS” che pone le basi di ogni convinzione pregiudicante.

Si odia perchè non si ha l’apertura e la flessibilità mentale per provare a comprendereciò che si discosta dal nostro consueto. Si odia per marginalizzare, ridurre e indebolirle la diversità arrivando però a confinare solo se stessi all’ignoranza.

Il seme della discriminazione nel singolo

L’azione fuorviante di chi osa trasgredire e contraddire la norma sociale, è spesso troppo onerosa da parte del singolo. Varrebbe a dire rischiare di intaccare la propria reputazione pagando la volontà di inclusione con la sua stessa esclusione. 

Questo, il singolo membro di una società del mainstream di massa, non se lo potrebbe permettere. Perdere il supporto del gruppo di appartenenza significherebbe abbandonare un’identità che al di fuori svanisce perché priva di quell’anima collettiva, come avrebbe detto Le Bon in Psicologia delle folle, a cui la sua individualità ha aderito fino ad annullarsi in essa.

Ogni possibile intima compassione per ciò che viene definito come diverso sarebbe punita, per questo viene repressa ed oscurata ancor prima di giungere all’azione. 

La teoria della doppia dipendenza, Deutsch e Gerard

Gli psicologi Deutsch e Gerard (1955), studiando il fenomeno del conformismo formularono la teoria della doppia dipendenza. In essa il concetto di conformità normativa veniva definito come un processo in cui il singolo tende a conformarsi alla maggioranza in termini di condiscendenza e di comportamento mantenendo però nel privato una opinione che diverge in qualche modo da quella comune. Si tratta di un conformismo, di un’acquiescenza pubblica che ha come obiettivo ultimo l’approvazione sociale manifestandosi quindi unicamente nella sfera collettiva.

È così che la moralità individuale soccombe all’ordine normativo della maggioranza. È, dunque, così che è successo ai nove avvocati a cui il protagonista si rivolse per difendesi in tribunale.

Imparando da Philadelphia

Philadelphia è una pellicola emblematica, innovativa e sotto molti aspetti capostipite di un cinema atto alla sensibilizzazione. Andy e Joe sono due personaggi « antitetici » per il loro rango sociale, la loro etnia e il loro orientamento sessuale. Le barriere imposte fino ad ora dalla società, perdono consistenza nel momento esatto in cui i due protagonisti escono da una condizione di ignoranza semplicemente conoscendosi. Da questa conoscenza scaturisce un comune intento, quello di vincere una causa, dando a Philadelphia un forte messaggio di fratellanza. 

Ancora oggi, In Italia, negli Stati Uniti e nel mondo il problema della discriminazione omofobica è consistente e non va sottovalutato. Manifestazioni come il PRIDE hanno ancora significato e valore, non vanno svilite o dimenticate. Andy e Joe ci insegnano l’importanza di lottare per un mondo migliore dove la « diversità » non viene svilita ma valorizzata come fonte di arricchimento per la società. 

Combattere la paura non è facile, lottare contro una società ostile andando “in direzione ostinata e contraria” (De Andrè) risulta arduo, soprattutto se pensiamo che il problema non ci tocchi da vicino.

La vera battaglia da vincere è quella che dobbiamo combattere all’interno di noi, nella nostra mentalità e nel nostro modo di agire. La discriminazione, in ogni suo ambito, è incomprensibile finche non ci appartiene. Non è reale finché non tocca l’intimità della nostra anima. Guardare oltre, espandere i nostri orizzonti, aver sete di sapere e non dare nulla per scontato: questo è il vaccino, la cura all’epidemia dell’intolleranza.


Bibliografia:

Le Bon G. Psicologia delle folle, 1895 Milano, Italia: edizioni TEA.

Tajfel H.  Gruppi Umani e Categorie Sociali, 1999 Bologna, Italia: Il Mulino

Taylor D. M., Moghaddam F. M. Teorie dei Rapporti Intergruppi, 2001, Padova, Italia: Imprimitur.

Mucchi Faina A . L’influenza sociale, 1996, Bologna, Italia: il Miulino.

Sitografia

https://www.ilsole24ore.com/art/corte-suprema-usa-no-licenziamento-perche-gay-ADhQXFY?refresh_ce=1

http://www.treccani.it/vocabolario/pregiudizio/

https://elementidipsicologia.wordpress.com/2013/12/18/lidentita-sociale/https://www.psicotypo.it/conformismo-e-motivazioni-alladattamento-alle-norme-sociali/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/06/nelson-mandela-una-vita-passata-ad-insegnare-lamore/802847/

https://www.arateacultura.com

Linda Barberis

Redattrice in psicologia