Perché “Il potere del cane” può essere il miglior film degli Oscar 2022 ?
Con 12 nomination, Il potere del cane è la pellicola che domina, senza ombra di dubbio, la corsa agli Oscar 2022. Un dramma psicologico, portato alla luce dalla sapiente regia di Jane Campion (e distribuito da Netflix), capace di affrontare temi complessi, al centro del dibattito nell’attualità, con uno sguardo totalmente inedito e originale. Sono numerosi i riconoscimenti che, fino ad ora, questo film ha riscontrato: “Miglior film drammatico” ai Golden Globe, “Miglior film” ai British Academy Film Awards, o ancora il Leone D’Argento per la miglior regia alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. I bookmakers di tutto il mondo acclamano a gran voce la sua vittoria, che pare essere già scritta: della giuria degli Academy però non bisogna fidarsi, perché i colpi di scena sono all’ordine del giorno.
Il potere del cane, adattamento del romanzo omonimo scritto nel 1967 da Thomas Savage, merita tutti i riconoscimenti che ha conquistato. Partendo dagli aspetti più “tecnici” e prescindendo totalmente dalla sceneggiatura, la regia di Jane Campion, nel suo sodalizio con la fotografia di Ari Wagner, si rivela essere un esercizio stilistico dall’esito magistrale. Gli spazi aperti, composti da radure quasi esenti dall’usura umana, si contrappongono alla chiusura, a tratti claustrofobia del ranch e delle stalle. La regia riesce a sottolineare la tensione, l’ansia dei personaggi nei momenti di maggiore tensione narrativa, con una metodologia che, attraverso primissimi piani e dettagli, richiama lo stile tipico del thriller. Allo stesso tempo riesce però a contrapporre campi lunghissimi o lunghi, in cui il paesaggio risulta predominante, permettendo allo spettatore qualche momento di respiro e contemplazione. Jane Campion guida il ritmo del nostro respiro, riuscendo magistralmente nel ruolo di burattinaio delle emozioni.
Tra le nominations si distinguono anche quelle a Miglior attore protagonista (Benedict Cumberbatch), attrice non protagonista (Kristen Dunst) e attore non protagonista (Kodi Smit-McPhee / Jesse Plemons). Tutto il cast principale ha ricevuto meritatamente una nomination: gli attori si muovono magistralmente nella finzione narrativa, interpretando personaggi scolpiti alla perfezione, con una complessità e una finezza psicologica a tratti impressionante.
Ognuno di questi aspetti fa da cornice a una trama estremamente originale, mai scontata o prevedibile. L’ambientazione Western funge da pretesto per mettere in atto un vero e proprio dramma avente come nodo centrale l’amore, tematica che si muove in molteplici direzioni. Non si parla di idilliaci amori ma di un sentimento complesso, difficile da accettare e ancor di più da esprimere. Un amore che può tingersi di tossicità, può portare alla vendetta e prosciugare la psiche umana. Insomma, qualcosa di totalmente distante da ogni tinta o sottotesto di carattere idilliaco.
Altro personaggio importante è la pressione, il ricatto psicologico che Phil (Benedict Cumberbatch) mette in atto nei confronti di Rose (Kirsten Dunst): un elemento che funge da climax, soprattutto nella prima parte della pellicola, mettendo in guardia lo spettatore, configurando un presagio estremamente opaco di quella che sarà la conclusione finale. Il macrotema rimane comunque la morbosità dei rapporti sociali, instaurati tra identità fragili, che compiono il sopruso sotto la maschera della mascolinità tossicità e identità forti e calcolatrici, che solo in apparenza accettano un sopruso vestendo gli abiti dell’innocenza.
Il potere del cane merita di vincere l’Oscar per molteplici ragioni: solo per aspetti tecnici, non solo per l’originalità con cui vengono sfiorate tematiche LGBTQ+, ma per lo straordinario stimolo alla riflessione, nell’attenzione con cui viene delicatamente denunciata l’attenzione verso l’apparenza, spesso veicolata dal contesto sociale in cui si vive e mai specchio di reale autenticità.