Perché “Drive my car” può essere il miglior film degli Oscar 2022?
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Yosuke Kafuku è un famoso regista teatrale che vive con la moglie sceneggiatrice. Una sera la moglie Oto muore improvvisamente e lascia il marito in uno stato di incertezza incessante. Dopo due anni Yosuke riprende il suo lavoro a teatro che lo porterà alla conoscenza di una giovane ragazza, sua autista.
Le tre ore del film di Hamaguchi ci fanno entrare in un mondo di fantasmi, storie e parole non dette. Yosuke Kafuku è un uomo timoroso che vive il lutto ascoltando continuamente la voce della moglie nella sua Sab 900. Il fantasma di Oto è sempre presente recitando le parole dello “Zio Vanya” di Cechov, specchio di una comunicazione fugace che ha sostituito per anni le discussioni mai avvenute tra i due coniugi. Le storie sono ciò che li lega fino alla fine; il loro matrimonio non si spezza grazie alle narrazioni raccontate dalla moglie dopo l’amplesso. Queste stesse storie e questi fantasmi sono ciò a cui si aggrappano i due dopo la scomparsa della figlia, ma la morte improvvisa di Oto riporterà Yosuke alla realtà. La macchina rimarrà l’unico luogo che l’uomo gestisce attivamente. La Sab rossa è il luogo del regista, fin quando le viene imposta un’autista. La giovane Misaki, prima intrusa, diventa col tempo qualcuno che può ascoltare il dolore di Yosuke per poi raccontare il proprio. I due compagni di viaggio arrivano, come la stessa Sonya e suo zio nell’opera teatrale, alla medesima conclusione; bisogna affrontare la vita e questo significa soffrire. Sorprendentemente il film di Hamaguchi riceve diverse nomination agli Oscar diventando il primo film giapponese nominato nella categoria “Miglior film”. L’opera conquista totalmente la critica e l’aurea silenziosa e delicata del film fa breccia nel pubblico. Ci auguriamo che Drive my car possa essere il “Miglio film”; per il modo sottile con cui racconta il rapporto con l’altro, la nostra comunicazione e le strutture che creiamo per aggirare gli ostacoli della vita e infine per come ci permette di trovare una consolazione e un perdono duraturo riguardo le parole dette e non dette agli altri e a noi stessi.
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Cinque parole dalla guerra
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