Nietzsche – La luce nelle crepe
There is a crack, a crack in everything
– Leonard Cohen, Anthem
That’s how the light gets in.
“C’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”. Così cantava Leonard Cohen nel brano Anthem. Non è di musica che si vuole parlare, ma di un pensatore che anche ad essa ha dedicato parte della propria riflessione filosofica: Friedrich Nietzsche. Il filosofo tedesco è forse la figura più enigmatica nella storia del pensiero occidentale e anche per questo la più affascinante. Il suo stile di scrittura è molto più vicino all’ambito letterario e poetico che a quello filosofico, ma ciò non lo rende “meno filosofo” di altri grandi.
E’ innegabile che lo stile di Nietzsche a un primo livello di lettura sia più “comprensibile” di Hegel, eppure anche per via di questa grande leggibilità molte sono state le interpretazioni fuorvianti della sua opera. Ad esempio quella di D’annunzio del superuomo “nicciano”, o quella che ha visto in Nietzsche una sorta di precursore del nazismo, o ancora l’interpretazione non del tutto corretta che si cercherà di analizzare e comprendere in questo articolo: Nietzsche come filosofo del nichilismo. Questa definizione non è del tutto errata, ma in un modo particolare.
Nietzsche nella storia del pensiero
Occorre, in primo luogo, porre delle coordinate storiche. Nietzsche non è un unicum nella storia della filosofia, non è un evento inaspettato o casuale, ma è perfettamente inserito nel contesto culturale della sua epoca, in cui vigeva l’ingombrante presenza di Hegel. Quest’ultimo rappresenta un filosofo con cui tutta la generazione successiva in un modo o nell’altra ha dovuto confrontarsi: Marx, Kierkegaard, il suo contemporaneo Schopenhauer e Nietzsche.
Principalmente la massima distanza tra il “martello” di Nietzsche e la “speculazione” di Hegel, rientra nell’obiezione alla “fredda” metafisica del concetto di Hegel. Questa aveva tentato di ridurre a unità tutta la storia dei contrasti della metafisica attraverso la “fatica del concetto”, portandola così a compimento. Nietzsche invece, con vibrante passione, cerca di porsi contro questa violenza del pensiero nei confronti della realtà. Egli pone sotto il vaglio della critica anche la morale e la tradizione, non solo la filosofia. Si può affermare che la critica di Nietzsche sia totale (e delinearla in modo completo in questa sede sarebbe impossibile).
Nietzsche si è posto come profeta dell’imminente “nichilismo europeo”, che sarebbe avvenuto dopo la morte di Dio e quindi anche della morale. La parola nichilismo assume, in Nietzsche, il duplice significato sia di decadenza come rifiuto dell’esistenza ma anche come nuova volontà di vivere e quindi di forza. C’è un nichilismo della forza ed un nichilismo della debolezza.
Il pensiero vero e proprio di Nietzsche consiste in un sistema al cui principio sta la morte di Dio, nel mezzo il nichilismo che da quella deriva, e alla fine l’autosuperamento del nichilismo verso l’eterno ritorno
K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Piccola Biblioteca Einaudi, Filosofia, Torino, 2000 p. 294
La metamorfosi dell’individuo
Questi sono i fuochi attorno cui ruota la problematica del pensiero di Nietzsche. Come può riuscire a vivere l’individuo una volta che è venuto meno ciò che è stato per millenni il garante dell’ordine dell’universo? Ché se non c’è ordine allora dev’esserci caos e come può l’individuo destreggiarsi nel caos? Nell’opera più importante di Nietzsche, Così parlò Zarathustra nel capitolo Delle tre metamorfosi dello spirito, leggiamo:
Tre metamorfosi dello spirito io vi indico: come lo spirito diventò cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo. […]Che cosa è gravoso? Così chiedo lo spirito paziente, e si piega sulle ginocchia come il cammello, e vuole essere ben caricato. Qual è la cosa più gravosa, eroi? Così chiede lo spirito paziente, affinché io la prenda su di me e mi compiaccia della mia forza. […] Ma nel deserto più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuole afferrare la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto. […] Chi è il grande drago che lo spirito non vuole più chiamare signore e dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”. […] Creare nuovi valori – non lo sa fare nemmeno il leone: ma crearsi la libertà per un nuova creazione: questo sa fare la potenza del leone. […] Perché il leone rapace deve diventare bambino? Il bambino è innocenza e oblio, un nuovo inizio, un gioco, una ruota che gira da sé, un primo movimento, un sacro dire-di-sì. […] ora lo spirito vuole il suo volere, colui che è perso al mondo conquista per sé il suo mondo
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno.
In primo luogo, è importante sottolineare che Nietzsche assegna alla sua grande opera il linguaggio enigmatico della poesia e non il linguaggio della ragione, perché egli si è sempre posto contro le tradizioni che lo precedevano. In questo capitolo Nietzsche annuncia la trasformazione della coscienza dell’individuo, attraverso le tre immagini del cammello, del leone e del bambino, dopo la morte di Dio. L’individuo deve prima liberarsi del “Tu devi”, impostogli da Dio, per diventare leone e dire: “Io voglio”. Il leone combatte con il drago millenario, ossia la tradizione morale millenaria, ma si trova ancora ad uno stadio intermedio perché la sua è una lotta all’insegna della negazione, del “no”, non è ancora una battaglia creativa. La libertà creativa ci sarà solo con la terza trasformazione, in cui il leone diventa bambino.
Ed è nell’ottica di quest’ultima trasformazione che Nietzsche, nel corso dell’opera mette in scena la descrizione della virtù come sonno in cui l’uomo è dimentico della sua libertà creatrice. E nel capitolo intitolato Del cammino del creatore, Nietzsche scrive:
Sei in grado di dare a te stesso il tuo male e il tuo bene e di fissare sopra di te la tua volontà come una legge? Riesci a essere giudice di te stesso e vendicatore della tua legge? È terribile essere soli con il giudice e il vendicatore della propria legge. Così una stella viene scagliata nello spazio desolato e nel gelido respiro della solitudine. […] Ma il nemico peggiore che puoi incontrare sarai sempre tu per te stesso; proprio tu ti apposti in agguato contro di te nelle caverne e nelle foreste. Solitario, percorri la via che porta a te stesso
F. Nietzsche, Così parlo Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno.
Qui viene messo in mostra il carattere essenzialmente solitario dell’uomo, dopo la presa di coscienza della morte di Dio, della liberazione da Dio. Soltanto con la sua morte aumenteranno le possibilità dell’uomo di crescere, d’incamminarsi verso se stesso e di creare. Di voler donare se stessi, la volontà di amare è lì “l’origine della virtù”.
Zarathustra è il vincitore di Dio perché l’uomo deve liberarsi di quella morale che impone divieti, sotto l’insegna del “Tu devi”. L’uomo che crea, il fanciullo che crea e distrugge nel suo gioco è limitato dalla presenza di Dio, la sua azione risulta circoscritta entro quei limiti imposti dalla “Legge”. Ma, appunto, Zarathustra annuncia la liberazione per l’uomo da Dio e la nuova e riscoperta libertà di creare. Libertà che si inscrive nel tempo della vita e non pone altro limite se non quello della terra. Non c’è più un retro-mondo eterno, rispetto al quale il nostro tempo sia solo una frazione finita. Con la morte di Dio, si riacquista “la fedeltà alla terra” e la riscoperta della temporalità come dimensione propria dell’individuo. Il creatore non è più il Dio fuori dal tempo, eterno, anzi, il creatore ora è l’uomo che opera la sua libertà creativa nell’andare e venire delle cose, accettando anche la sua stessa fine. E, nella seconda parte dell’opera, nel capitolo che prende il nome Della Redenzione, Nietzsche da un lato si schiera contro il concetto di redenzione tipico del cristianesimo ma, dall’altro anche contro quella metafisica che allontana la vita dalla terra. Leggiamo nell’opera:
In verità, amici, io mi aggiro in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti e membra di uomini! […] L’oggi e il passato sulla terra – ah, amici miei – questo è per me il massimo di ciò che non posso sopportare; […] Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni “così fu” in un “così volli che fosse!” – solo questo può essere per me redenzione! Volontà – è il nome di ciò che libera e procura la gioia: così io vi ho insegnato, amici miei! Ma adesso imparate ancor questo: la volontà, di per sé, è ancora come imprigionata. Volere libera: ma come si chiama ciò che getta in catene anche il liberatore? “Così fu” – così si chiama il digrignar di denti della volontà e la sua mestizia più solitaria. Impotente contro ciò che è già fatto, la volontà sa male assistere allo spettacolo del passato. La volontà non riesce a volere a ritroso; non potere infrangere il tempo e la voracità del tempo – questa è per la volontà la sua mestizia più solitaria
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno.
Una volontà che non proietti se stessa soltanto nel futuro sarebbe l’opposto di quella cristiana e metafisica in cui c’è un aldilà in cui trasferire le speranze dell’individuo. L’uomo, come precedentemente affermato, senza nessun Dio che gli impone ciò che deve fare è divenuto volontà. Questa volontà però vuole partecipare anche del passato e non soltanto “digrignare i denti”. Opponendosi al macigno del passato, la volontà creatrice di Zarathustra afferma che l’unica redenzione è trasformare il “così fu” in “così volli che fosse”.
La volontà di Zarathustra cambia la figura del tempo, se prima, ossia nella concezione cristiana del tempo, avevamo una linea retta in cui si distingueva passato di peccato e futuro di redenzione, ora abbiamo un ciclo che rivuole ciò che è avvenuto nel passato. Questa volontà che vuole anche ciò che è necessario, ossia il passato, è ciò che Nietzsche chiama amor fati.
L’eterno ritorno di Nietzsche
Giungiamo quindi a trattare della dottrina fondamentale del pensiero di Nietzsche, ossia quella dell’eterno ritorno. Essa è presente nella terza parte dell’opera che è quella centrale. Se nelle prime due parti abbiamo avuto l’annuncio della morte di Dio e dell’avvento del Superuomo, qui abbiamo uno Zarathustra solitario che si avvia alla sua seconda solitudine. Nell’annunciazione del pensiero più profondo di Zarathustra, come vedremo, la parola sembra venire meno. La dottrina dell’eterno ritorno è solo accennata, non propriamente detta. Nietzsche dalla sua alta intuizione non giunge al concetto, ma segue appunto una via solitaria come Zarathustra.
Nel capitolo intitolato La visione e l’enigma, Zarathustra racconta ai suoi marinai compagni di viaggio, come una specie di parabola, la sua visione: l’uomo si trova su un sentiero di montagna, e cerca di salire sempre più in alto; sulla sua spalla si trova lo “spirito di gravità”, una figura ibrida mezza talpa e mezzo nano. Zarathustra deve continuare a salire e nel farlo discute con lo spirito:
“O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve – cadere! O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le stelle! Hai scagliato te stesso così in alto, – ma ogni pietra scagliata deve cadere! Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, è vero: tu scagliasti la pietra lontano, – ma essa ricadrà su di te!” […] Ero come un malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma un sogno, più atroce ancora, lo ridesta. – Ma c’è qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: “Nano! O tu! O io!”. – […] Coraggio è però la mazza più micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: “Questo fu la vita? Orsù! Da capo!”
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, un libro per tutti e per nessuno.
Quindi ogni pietra scagliata deve tornare a terra, dice lo spirito di gravità a Zarathustra. L’uomo non può continuamente superare se stesso e tutte le sue ambizioni sono destinate a tramontare. Come la forza di gravità esaurisce la forza dei lanciatori, così l’infinito tempo esaurisce le ambizioni dell’uomo. Rispetto ad un tempo infinito, infatti, sono assurde le azioni dell’individuo.
Zarathustra a questa posizione del nano o dello spirito della gravità oppone il suo coraggio, il coraggio che vince anche la morte. Nella seconda parte abbiamo messo in luce come il digrignar dei denti della volontà sia unicamente rivolto verso il passato, perché esso è un masso che la volontà non può muovere. Esso è la necessità, ma se “Questo fu la vita, orsù, da capo!”, come dice Zarathustra, si può rimuovere al passato il suo carattere coercitivo, accettandolo. Unendo così libertà e necessità. E continua il discorso tra Zarathustra e il nano davanti alla porta dell’attimo, dove leggiamo:
“Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi sino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori dalla porta e in avanti – è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta: “attimo”. Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?”-. “tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno
La risposta dello spirito di gravità non è quella del tempo come circolare, come una successione di attimi, ma non è il pensiero profondo, abissale di Zarathustra. Tutto deve essere già passato e tutto dovrà accadere, questo è l’eterno ritorno dell’uguale. Ed immediatamente dopo la discussione tra il nano e Zarathustra, quest’ultimo ode in lontananza il grido di un cane e vede un pastore che stava per morire soffocato da un serpente che era nella sua gola:
E, davvero, ciò che vidi, non l’avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. […] Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi!” […] Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -: e balzò in piedi. Non più un pastore, non più un uomo, – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno
Il serpente rappresenta l’asfissiante pensiero dell’eterno ritorno: se tutto deve tornare ugualmente ogni aspirazione umana è vana. Ma il pastore si trasforma. Si trasforma perché decide di spezzare il flusso dell’eterno ritorno. Nell’attimo della decisione si imprime il sigillo dell’eternità al momento. Grava l’eternità sul momento. La volontà, ora, può volere anche il passato. Passato e futuro non sono più due entità eterogenee bensì rappresentano il cerchio chiuso dell’eternità.
La luce nelle crepe
Il messaggio di Nietzsche è un messaggio di luce, non è un messaggio di oscurità. Nella frattura, nelle crepe dell’avvento del nichilismo, di cui il filosofo stesso è l’annunciatore, egli vede un bagliore di luce per una nuova esistenza, per la creazione di nuovi valori, per l’arrivo di un uomo nuovo. Perchè è chiaro che quest’uomo non sia ancora giunto, tant’è vero che Zarathustra non è l’oltre-uomo, ma il profeta di esso.
Nietzsche è certamente un filosofo “mainstream”, come si suol dire, conosciuto da tutti: le sue citazioni sono ovunque. Ma ciò che ha alimentato la sua popolarità è il suo stile volontariamente provocatorio, esagerato, barocco, che nasconde in realtà i suoi veri intenti. Per questo lo Zarathustra è “un libro per tutti e per nessuno”.