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“Nella stanza dell’imperatore” di Sonia Aggio -Premio Strega 2024

di Benedetta Ricaboni

“Nella stanza dell’Imperatore” è il libro con cui Sonia Aggio ha guadagnato  un posto all’interno  della dozzina del Premio Strega 2024, riuscendo in un’impresa quasi impossibile: far apprezzare al grande pubblico il romanzo storico, un genere che raramente riesce a catturare (e mantenere) l’attenzione del lettore medio.

L’Impero bizantino e la sua complessità

“Nella stanza dell’Imperatore” racconta l’ascesa sofferta e sanguinaria di Giovanni Zimisce, che tra il 969 e il 976 d.C. tiene le redini dell’Impero Bizantino in uno dei suoi periodi di maggior splendore. Ad un primo approccio, il libro della Aggio è un pugno allo stomaco: fin dalle pagine iniziali, l’autrice, con uno stile scarno e senza fronzoli, immerge il lettore nella vita del protagonista, vittima delle complesse dinamiche politiche che caratterizzano notoriamente il periodo del tardo impero. Giovanni è figlio di un matrimonio combinato tra Teofilo Curcuas, detto “Zimisce”, uno stratègos “… tornato a casa [dalla guerra] per morirci, con i polmoni pieni di grumi neri…”, e Sofia Focaina, donna ferma e risoluta, che accetta di sposarsi per salvare il nome della famiglia Foca, infangato dallo zio di lei, Leone il domestikos, colpevole di essersi ribellato all’imperatore Romano Lecapeno. All’età di dieci anni, “il figlio della pace”, come viene soprannominato Giovanni, subisce un trauma che lo segnerà per tutta la vita: l’amico Michele, di nove anni come lui, approfitta di un momento di distrazione della balia, esce di casa e corre in fondo alla strada, appena fuori dalla città, svanendo nel nulla e lasciando di sé solo un piccolo sandalo insanguinato, indizio di un rapimento finito nel peggiore dei modi. La madre, complice il fatto che Teofilo, malato e sempre chiuso in casa,  non possa essere davvero un padre per Giovanni, manda quest’ultimo a Cesarea di Cappadocia, dove sorge il fondo della famiglia Foca, affinché lo zio materno Niceforo, insieme ai fratelli Costantino e Leone, si occupi dell’addestramento e dell’educazione del piccolo Giovanni, per tutti, ormai, solo Zimisce.

Fonte: https://fazieditore.it/

Sonia Aggio: un faro nella fitta nebbia del tardo antico

Ora, in un insieme così contorto di nomi e cariche politiche, qui accortamente selezionati in modo da non far addormentare i lettori, la fatica è notevole: riuscire a ricordare in autonomia i nomi dei personaggi, il ruolo che ricoprono e i vari legami di parentela che li uniscono, risulta quasi impossibile. Sonia Aggio in realtà non solo si dimostra fin da subito estremamente consapevole dell’esistenza di  questa problematica, ma si rivela anche un’autrice particolarmente prodiga nel risolverla: in ogni fase della vita di Zimisce, che nel libro vediamo crescere e diventare uomo, i personaggi vengono descritti in modo minuzioso, ma mai noioso, sottolineandone sempre la carica ricoperta o la famiglia di provenienza, con un meccanismo che ricorda molto quello dei versi formulari tipico dell’epica arcaica. Per aiutare ulteriormente i propri lettori, la Aggio riprende quasi in ogni capitolo “l’epiteto” associato ai singoli personaggi e riassume brevemente gli alberi genealogici delle singole famiglie in alcune mappe ad albero presenti all’inizio del romanzo. Dietro l’abile guida dell’autrice, anche il lettore meno esperto di storia tardo imperiale può assistere interessato allo svolgersi della vita del protagonista, essere spettatore delle trame politiche e sentimentali della corte bizantina e rimanere sbalordito davanti ai colpi di scena che costellano l’esistenza di Giovanni Zimisce, ragazzino arrabbiato prima, imperatore voluto dal fato poi.

Giovanni Zimisce: luci e ombre di un imperatore voluto dal fato.

Ciò che più stupisce di “La stanza dell’imperatore” è il fatto che i suoi personaggi siano estremamente umani, ben lontani dall’ottica monodimensionale con cui spesso vengono presentati e descritti all’intero dei romanzi storici.  Quando si pensa a un romanzo storico, la mente si indirizza subito verso un tipo di narrazione che, per quanto possa approfondire la psicologia dei suoi protagonisti, tende comunque ad esaltarne le gesta, la portata storica e politica e l’eredità culturale di cui noi moderni siamo i diretti destinatari. Il libro della Aggio, invece, tende a presentare al lettore non tanto dei personaggi storici, con tutte le loro implicazioni politiche e culturali, quanto degli uomini e delle donne che cercano di farsi strada in un mondo complesso, in cui tutti, persino l’imperatore, sono divisi tra ciò che si deve fare per il bene dell’impero e ciò che si vorrebbe per tutelare amicizie, amori e valori morali . Giovanni Zimisce , in questo senso, si presenta in tutta la sua complessità di essere umano: agisce spesso spinto da quella che chiama “la creatura”, personificazione della rabbia e del rancore radicatisi nel suo petto sin dal giorno del rapimento del piccolo Michele, che lo rende un guerriero particolarmente abile, ma anche incredibilmente violento e spregiudicato; si dimostra particolarmente legato alla famiglia, sviluppando un rapporto speciale con lo zio Niceforo, mentore politico e figura che in qualche modo supplisce alla mancanza del padre Teofilo, ma presto una situazione politica instabile e una serie di delusioni porteranno il giovane Zimisce a dover scegliere tra famiglia, amici e potere.

“Nella stanza dell’imperatore”: un’ottica fatalista che ha sapore di Iliade

Il libro ha un’ottica fatalista che, ancora una volta, avvicina la vicenda di Zimisce a quella dei tanti guerrieri dell’epica omerica: il protagonista è stato scelto dal fato, che lo ha destinato, come dice una strega nelle prime pagine, a diventare basileùs tòn romaion, cioè imperatore dell’Impero Bizantino, stabilendo che nessuno, nemmeno Zimisce stesso, possa cambiare il corso degli eventi che lo porteranno al potere. Quello che opera all’interno del romanzo è il principio del Fato, già presente in Iliade e Odissea, dove gli eroi, proprio come il protagonista de “La stanza dell’Imperatore”, non possono opporsi al destino che è stato assegnato loro dalle Moire, tre divinità (proprio come tre sono le streghe che annunciano a Zimisce il futuro che lo attente) che si occupano di attribuire ad ogni uomo il proprio destino, rappresentato da un filo che è retto da  Cloto, la prima delle Moire, avvolto da  Làchesi, e reciso, al momento della morte, da Atropo. Quando a Giovanni viene annunciato il proprio destino (“Salve Zimisce, basileùs tòn romaion” dirà una delle tre streghe, dopo essergli apparsa sul campo di battaglia), il giovane pensa ad un’allucinazione, ma qualcosa non lo convince del tutto: la presa di coscienza e l’accettazione della realtà di quell’apparizione saranno lente e dolorose, perché non solo costringeranno il protagonista a compiere azioni che non vorrebbe neanche lontanamente immaginare, ma lo porteranno a realizzare che, pur avendo ogni bene,  a tutti gli uomini, anche i più potenti, viene affidata una parte di infelicità. Impossibile non pensare, allora, al XXV libro dell’Iliade, dove Achille, rivolgendosi a Priamo, spiega con dolorosa lucidità come, anche nella migliore delle ipotesi, ogni bene che Zeus distribuisce ai mortali si accompagna sempre ad un male, facendo in modo che anche i più beati tra gli uomini siano costretti a sperimentare la sofferenza. Zimisce sarà l’esempio perfetto di questo meccanismo: otterrà il potere e gloria, ma il prezzo sarà altissimo, e sarà il lettore a giudicare se ne sia effettivamente valsa la pena. Lasciando aperte tutta una serie di domande riguardo al libero arbitrio e alla moralità delle azioni del protagonista, la Aggio ci conduce in un viaggio attraverso una parte di storia che è spesso trascurata e i cui protagonisti vengono trascurati, sepolti sotto nomi ben più noti dei loro, ma che, con le loro contraddizioni e la loro umanità, renderanno la lettura del romanzo non solo coinvolgente e tratti onirica, ma assolutamente obbligatoria.


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Nella stanza dell’imperatore – Sonia Aggio | Fazi Editore

Benedetta Ricaboni

Redattrice di Letteratura