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Recensione di “ Baba”, di Mohamed Maleel

Mohamed Maleel è tra i finalisti del premio Booktube Italia con il romanzo d’esordio Baba, dopo la vittoria alla prima edizione del Premio TIR. L’opera racconta la storia di Ahmed, giovane Italo-tunisino cresciuto ad Andria (Puglia) insieme ai genitori e al fratello Saleem, mentre sullo sfondo si snodano lenti gli ultimi giorni di vita del padre, affetto fa una grave forma di diabete. In Baba il presente diventa per Ahmed  momento di riflessione su un  passato fatto di traumi, rabbia e solitudine, ma anche di ricordi felici e di amore, in un’ambivalenza che spinge il lettore a guardare ai personaggi e agli eventi in modo relativo,  perché é solo così che si può comprendere fino in fondo la complessità della vita di Ahmed e della sua famiglia.

“Baba” di Mohamed Maleel
Fonte: accentoedizioni.it

Ahmed: “un po’ orecchiette, un po’ cous cous”

Uno dei temi fondamentali del libro é l’intreccio culturale in cui i personaggi principali vivono: Ahmed cresce ben contento di mangiare un giorno il cous cous tipico della cultura tunisina di papà Taoufik, l’altro di gustarsi il prosciutto crudo che le zie materne gli danno di nascosto dal padre. Ahmed vive tutto ciò con estrema naturalezza e spontaneità, soprattutto quando si parla della famiglia: le zie materne, nonna Vincenza e le cugine di Andria sono famiglia tanto quanto lo sono zia Dounia e zia Nayifa, che vede durante gli annuali viaggi estivi in Tunisia; le canzoni di Elisa vengono ascoltate insieme a quelle dei cantanti arabi tanto amati da Taoufik, mentre il Natale, “ viene festeggiato con la gioia di tutti. Quando inizia a diventare adolescente, però, Ahmed si trova costretto a riflettete sul proprio senso di identità, perché sono gli altri a chiederlo: gli insulti dei compagni, che lo chiamano “marocchino di merda” e “frocio”, l’amico immaginario, che da Max diventa Lola e lo spinge a truccarsi e a provare i vestiti della madre, le prime ragazze che ci provano con lui, ma che Ahmed, respinge. senza sapere davvero il motivo, creano una crepa nel protagonista, che inizia ad avere una voglia di chiarezza e definizione che mai prima d’allora aveva avuto. Ahmed, come farebbe qualsiasi adolescente in crisi, assume diverse identità: ora é il giovane studente della scuola coranica, che distrugge le bambole della cugina e fa la spia sul fatto che la madre non preghi e biasima i compagni non credenti, perché tutte cose e comportamenti haram; ora, invece, é l’Ahmed amico di Giacomo, un suo compagno apertamente omosessuale, con il quale ascolta le canzoni di Sailor Moon e di Cristina d’Avena. Anche qui, peró, la mente del lettore deve rimanere aperta e comprendere che Ahmed non é solo questo: é anche il figlio che scrive commoventi lettere alla madre, in cui le dice che é la piú bella e che non vuole vederla piangere mai più; é anche l’amico di Giacomo che, quando quest’ultimo tenta un’approccio, lo picchia con una furia cieca, chiamandolo “frocio”. Ahmed é complicato, non si comprende fino in fondo, ma riuscirà a farlo, scoprendo che spesso, per comprendere il se stessi, é necessario guardare al passato.

Il dolore di un padre é il dolore di un figlio”

Il percorso di Ahmed é reso ancora più difficile dalla violenza quasi quotidiana che scandisce le sue giornate: deve fare i conti con un padre autoritario, che spesso picchia la moglie Paola e il figlio più grande Saleem, ma che non tocca lui, il più piccolo di casa, con il quale ha un rapporto speciale. Taoufik agli occhi del protagonista é un padre amorevole e gentile, che lo sveglia ogni giorno con un cornetto e che cerca di insegnargli il tunisino, tanto che nel libro Ahmed non riuscirá mai a definirlo “padre violento”. Taoufik é effettivamente una figura impossibile da definire in maniera univoca: picchia la moglie Paola ogni volta che é arrabbiato per qualcosa, ma si preoccupa anche di portarle i regali più belli dai suoi viaggi a Tunisi, tira uno schiaffo ad Ahmed, perché preferisce i cartoni al Corano, ma conserva per anni il peluche che, in un impeto di rabbia, aveva finto di buttare, iscrive Ahmed alla scuola coranica, per paura che il figlio stia perdendo la giusta strada verso Dio, ma lo ritira non appena si accorge delle idee fondamentaliste che gli stanno inculcando.Mohamed Maleel é estremamente bravo a raccontare questa dualità di giudizio, che non può ridursi a “buon padre” o “cattivo padre”, perché “il dolore di un padre é anche il dolore di un figlio”: Taoufik ha avuto un’infanzia all’insegna della miseria e delle botte da parte di un padre “pezzo di merda”, come lo definisce più volte Ahmed stesso, e che solo nella madre Zora e nel fratello Ahmed trovava dei degni alleati. La chiave che permette ad Ahmed di ricomporsi sta proprio nel capire che “… nella vita esistono padri buoni e padri sfortunati”: ognuno di noi, come il protagonista di Baba, é figlio di un genitore che si porta dietro il proprio fardello di traumi, delusioni e sofferenze, che non sta a noi curare, ma a cui dobbiamo in qualsiasi modo impedire di condizionarci, o peggio, determinarci. Perdonando il padre e comprendendo la complessità della sua figura, ricca di ombre, ma anche di tanta luce, Ahmed é libero: fa pace col padre, con la sua identità e con la Tunisia, dove si reca per un Erasmus e che diventerà , davvero, questa volta, casa.

arateacultura.com

accentoedizioni.it

Benedetta Ricaboni

Redattrice di Letteratura

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