L’orecchio di Kiev di Andrei Kurkov – Premio Strega Europeo 2023
Il romanzo di Kurkov (Marsilio, 2023) si apre con un suono secco e assordante, quello della sciabola di un cosacco contro la testa del padre di Samson, il nostro eroe. È l’11 marzo del 1919, martedì, e, come traduce (dal russo dell’autore, davvero godibilmente) Claudia Zonghetti, per Samson quello «fu il giorno in cui sulla sua vita passata venne tirato un bel frego». Il protagonista, un giovane studente, si ritrova solo e senza un orecchio, in una Kiev invasa dal caos della Rivoluzione. Le prime pagine del libro sono tanto concitate quanto allucinate, Samson viene colpito all’orecchio nell’aggressione che costa la vita al padre, mentre «caldo, il sangue gli colava lungo lo zigomo fin sul collo, infilandosi dentro la camicia», si trascina per strada e bussa a una porta che reca l’insegna di oculista.
Ecco il primo di tanti giochi paradossali che costellano le pagine de “L’orecchio di Kiev”: Samson ha un orecchio mozzato e a curarlo è il dottor Vatruchin, esperto di malattie dell’occhio. In una città in guerra, però, è tutto capovolto, sconnesso, senz’ordine. O meglio, per citare un’osservazione che proprio l’oculista condividerà con Samson:
“L’ordine può essere di tanti tipi” disse il medico mordendosi le labbra, come distratto. “I bolscevichi lo vogliono in un modo, Machno in un altro, Denikin in un altro ancora. Nessuno messo nero su bianco, tutti che cambiano di continuo come il tempo in Inghilterra.”
Sì, perché in Ucraina dal fatidico 1917 i rivolgimenti sono stati rapidi e continui. Dalla Rada all’etmanato fantoccio al servizio degli austro-tedeschi, che poi scappano e lasciano l’Ucraina contesa tra cosacchi, indipendentisti di Petljura e Armata rossa. Nel febbraio del 1919 i bolscevichi entrano a Kiev ed ecco il quadro in cui si muove Samson e ben descritto dal dottore.
Fatti sapientemente raccontati anche da uno dei modelli più amati di Kurkov, Michail Bulgakov, nella sua “La guardia bianca”. Tra gli autori preferiti annovera anche Kafka e, sicuramente, nelle atmosfere e in certi escamotage narrativi, Kurkov intraprende la stessa ricerca espressionistica e onirica dei maestri.
Le avventure di Samson rimbalzano da un edificio all’altro del centro di una Kiev in cui non si è sicuri per strada, ma nemmeno nelle case dove personaggi soli come lui si barricano nelle loro occupazioni. La cucina densa di odori della vedova del custode in fondo alla scala in legno scricchiolante della palazzina in cui abita anche Samson, lo studio del dottor Vatruchin, personaggio chiave, saggio quanto sfuggente, la bolla del comando di polizia dove anche il nostro eroe troverà un impiego come improvvisato investigatore, le sartorie che Samson perlustrerà nelle sue indagini maldestre, l’Ufficio statistiche dell’amata Nadezda… A collegare tutte queste monadi, gli usci chiusi a cui Samson bussa soprattutto di notte, quando può sgattaiolare per la città silenzioso, è sempre l’udito: l’orecchio mozzato, infatti, non ha perso la sua capacità d’ascolto, anzi, è come una spia che all’occorrenza il nostro eroe può lasciare nel cassetto della scrivania del comando, oppure nella stanza del suo appartamento colonizzata da una coppia di fastidiosi e sinistri soldati dell’Armata rossa.
Udito, tatto nelle immagini materiche e sanguinolente con cui Kurkov dà colore alle picaresche avventure di Samson, olfatto sempre sollecitato dai piatti che la vedova cucina per il ragazzo, dalla legna bruciata con parsimonia nei camini di Kiev o direttamente dagli odori che esalano le strade in cui i cumoli di neve dell’inverno si stanno sciogliendo: quella dell’autore è una scrittura sinestetica.
Paradosso, ribaltamento, sinestesia. Le figure del caos fanno eco al clima in città: «E’ la cacofonia della rivoluzione, questa», insieme, però, a un’ironia tagliente, un po’ fredda della penna di Kurkov: «Toccava alle autorità costituite, la raccolta dei cadaveri. Però quella notte le autorità costituite dovevano pensare a salvarsi la pelle. Dovevano seminarne altri, di cadaveri, non raccoglierli. E se metà dei cadaveri era opera delle autorità, metà delle autorità era già cadavere».
La Rivoluzione significa rimescolamento delle identità. Samson studente d’ingegneria si ritrova a fare il poliziotto. Con lui impara a sparare anche un ex pope convertito, nuovamente si noti l’antifrasi:
“Abbiamo un nuovo collega al comando. Un ex sacerdote.”
“Spretato?” si ringalluzì Trofim Sigizmundovic.
“Sì. Ha detto di avere fatto abiura e di volersi battere per la sicurezza.”
“Faccia attenzione” sembrò preoccuparsi la madre di Nadezda. “Quando una persona si trasforma nel suo opposto, finisce per confondere il bene col male.”
Al comando rosso Samson non ha fogli puliti a disposizione e si ritrova a scrivere sul retro di quelli vecchi, siglati dallo Zar. Ancora, i cambiamenti anche nei ruoli di genere: le donne del romanzo sono energiche, emancipate, Samson rimane colpito dalla figura misteriosa della donna chirurgo, e sorpreso dal tiro eccellente al poligono di certe «ragazze in gonnellona nera, giacca di pelle nera e basco di pelle in testa». Durante la giornata del sabato operaio sono un gruppo di «allegre comari operaie» ad aiutare il nostro stanco eroe a colpire con la pala il mucchio di immondizia ghiacciato. Senza contare, poi, lo stravolgimento dei rapporti di classe, così si ritrova a pensare Samson, infastidito dalla presenza nel suo appartamento dei due soldati dell’Armata:
Samson si rese conto che nella sua testa tra lui e i soldati rossi si stava alzando un muro, un muro che con ogni probabilità era di classe. I loro bassi istinti, la loro propensione ai furti lo facevano sentire migliore, più pulito, più onesto. Un pensiero che, però, aveva un retrogusto sgradevole: che diritto aveva, lui, di pensare male di quegli uomini che combattevano e che potevano anche morire in battaglia?
Dal cuore del romanzo poi il battito comincia ad accelerare notevolmente nel turbinio delle ricerche di Samson, e il tutto prende una piega thriller e picaresca insieme. Il lettore rimane sicuramente rapito dall’abile suspence di Kurkov. ll finale rimane un po’ insipido alla luce dei sapori forti delle pagine precedenti, aperto, non davvero concluso. In ogni caso è con certezza una scelta, una promessa di un seguito.