L’Inespresso – La tragica risata
“Melinda e Melinda” potrebbero essere i nomi casualmente uguali di due amiche. Invece sono la stessa figura, il geniale personaggio ideato da Woody Allen nel suo omonimo film. Maestro indiscutibile di cinema, con il suo umorismo illumina ancora una volta gli schermi nel 2004 con questa storia.
A una cena fra amici si discute – come sempre in Allen – sul senso della vita: è più tragica o più comica? La trama lascerà solo presagire la risposta. I due interlocutori, un commediografo e un tragediografo, spiegano come rappresenterebbero la scena di una ragazza, Melinda, che arriva inattesa a una cena.
L’uno si immagina una giocosa e ridente atmosfera romantica, la bellezza di una ragazza ingenua in cerca del principe azzurro. L’altro invece pensa subito a una donna tubata, instabile, affascinante ma torbida, oscura, che porta con sé una nube di catastrofi.
I due finali si possono lasciare all’immaginazione: ciò che conta è la domanda che tale processo creativo pone allo spettatore. Se dovessimo raccontare la nostra vita, di che colori la dipingeremmo? Nello scorrere delle neutre azioni quotidiane, quali sentimenti muoverebbero il protagonista? Forse la nostra avventura altro non è che un copione già scritto, che possiamo inscenare come meglio vogliamo.
Ma attenzione, è impossibile mascherare la gioia o il dolore: la vita è talmente tragica che possiamo solo riderci su. Questa è la lezione di Woody Allen che, con semplice ironia, riprende il profeta nietzschano Zarathustra: non c’è verità seria che non susciti anche una risata. Siamo capaci, noi, di vedere il sorriso anche sotto le lacrime?