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LUCA SCARLINI, “LE STREGHE NON ESISTONO” – PREMIO BERGAMO 2024

di Mattia Mancini

Che le streghe non esistano è ad oggi un fatto talmente assodato da risultare quasi banale. A prima vista, il titolo del libro di Luca Scarlini non fa altro che metterci davanti agli occhi uno di quei princìpi indiscutibili, che abbiamo implicitamente deciso di innalzare al ruolo di verità fondante della nostra società: nella cultura occidentale contemporanea, in seguito a quel processo di disincantamento del mondo teorizzato da Max Weber, non c’è più spazio per incantesimi, fattucchiere, scongiuri e malocchi. Tutto ciò che appartiene a questa dimensione può solo essere relegato ai margini della società, reliquia di un passato tollerata solo nella forma di folkloristica attrazione utile a prendersi gioco degli ingenui. Perfettamente inserito in questo modello è sicuramente l’austero padre del protagonista, soprannominato “il Retore”, che guarda con disprezzo tutto ciò che non può essere toccato con mano, dalle streghe nascoste nel buio dei boschi al Dio decantato nei sermoni dei preti. Eppure, la magia è tutt’altro che assente nel romanzo di Luca Scarlini, e si presenta anzi in una maniera tanto concreta ed esplicita quanto misteriosa e, a tratti, del tutto incomprensibile.

La vicenda è ambientata nella Toscana del 1975, nelle zone che vanno da Sesto Fiorentino a Castiglioncello, da Siena a Firenze e racconta l’estate di un bambino di circa 10 anni, Luca. Il suo nome sottolinea la forte componente autobiografica del libro, che si propone come una rilettura in chiave letteraria di avvenimenti che hanno riguardato in prima persona l’autore. In questo racconto, nel quale vengono mescolati eventi reali e fittizi, Scarlini non si pone come un narratore esterno, limitandosi a riportare le avventure del suo personaggio, ma sembra spaccato in due: da una parte c’è il Luca bambino, protagonista e partecipe in prima persona degli eventi, che si muove in un mondo di adulti che gli sembra di difficile comprensione, mentre dall’altra c’è il Luca adulto, che rielabora quegli stessi avvenimenti con una consapevolezza ben divera. Queste due figure si mischiano continuamente, le esperienze del primo si mescolano ai pensieri del secondo, la vita del bambino viene raccontata e mediata dalla voce dell’adulto, fino a quando non diventa di fatto impossibile comprendere dove uno finisca e dove l’altro cominci. Questo processo provoca a volte delle situazioni peculiari, in particolar modo nella descrizione dei rapporti tra Luca e i suoi coetanei: non è inusuale ritrovarsi a chiedersi se i dialoghi che vengono presentati siano effettivamente fatti da bambini o se non siano invece degli adulti a parlare. Ma in linea di massima il risultato è godibile e si sposa perfettamente con la scrittura vivace e scorrevole che percorre tutto il libro.

Le due colonne portanti della vita di Luca sono incarnate nelle figure dei suoi genitori, due dimensioni diametralmente opposte e alle quali il bambino si approccia in maniera completamente diversa. Da una parte, abbiamo infatti il mondo paterno, per il quale Luca dimostra fin dall’inizio una feroce insofferenza. La convinta partecipazione politica del Retore, comunista della prima ora e fiero ex partigiano, – dalla quale peraltro ricava ben poche sostanze -, si traduce in una vita passata tra comizi, raduni e Feste dell’Unità, ai quali spesso si trascina dietro il figlio. A questi ha addirittura deciso di affibbiare il secondo nome di Josipstalin, come nella speranza che potesse un giorno seguire le orme del suo omonimo. Tuttavia, le speranze dell’uomo sono destinate ad essere costantemente deluse. L’ideale modello filiale al quale Luca non è mai stato in grado di corrispondere e la conseguente ruvidezza paterna, spesso espressa sotto forma di immotivati atti di violenza fisica, sono all’origine di un profondo disprezzo reciproco tra i due, in un rapporto fatto di gelida indifferenza, nei momenti migliori, e aperto scontro frontale. Faro di speranza nella vita di Luca è invece la madre, la quale non solo si impegna a proteggere il figlio dalle angherie del marito, ma gli permette anche di conoscere altri aspetti della realtà. Lo introduce infatti al mondo delle nuove ideologie, delle nuove sensibilità, dei diritti civili e dell’uguaglianza. Luca viene a contatto con un popolo fatto di femministe, omosessuali e drag queen, il quale però deve restare nascosto agli occhi del Retore, che guarda di sottecchi le spinte provenienti dal mondo anglo-americano, e rabbrividisce al pensiero che il figlio possa un giorno diventare gay.

Queste due linee narrative rappresentano uno degli elementi più potenti dell’intero romanzo, poiché è nella relazione con i genitori che, complice l’elemento autobiografico, vediamo emergere il vero Luca Scarlini. Le anime del bambino e dell’adulto si fondono in un gioco di memorie e fantasia, l’ambiente casalingo prende forma in una danza tra pubblico e clandestino, violenza e tolleranza, maschile e femminile, regalandoci alcune delle pagine più tragiche ed insieme ironiche dell’opera. È l’immagine perfetta di una famiglia disfunzionale che in qualche modo continua ad andare avanti, e che anzi fa della conflittualità la pietra d’angolo sulla quale sostenersi: la spinta della ribellione verso l’autorità paterna e l’attrattiva offerta dalle strade segrete percorse dalla madre sono gli impulsi che mettono in moto l’intera vicenda.

Ma qui il romanzo scopre il fianco anche a quella che è la sua principale debolezza: le pur affascinanti dinamiche familiari occupano la maggior parte del libro, rischiando a tratti di risultare ridondanti, soprattutto a discapito dell’elemento magico che fa invece la sua comparsa solo negli ultimi capitoli, nonostante dia il titolo all’opera. Esso entra nella storia insieme alla malattia, svolta perturbante che cambia il corso della vicenda: essa isola Luca dalla società civile ma lo rende anche più preparato ad affrontarla. Un terzo, inaspettato pilastro, la malattia, nella vita del bambino, ancora più segreto di quello incarnato dalla madre ma sempre caratterizzato da un’essenza che è solo femminile, e che soppianta radicalmente gli altri due. Entrambe le figure genitoriali spariscono infatti dalla storia proprio con l’introduzione del soprannaturale, per poi tornare solo nel finale del libro.

Luca si addentra in un cammino di formazione che deve percorrere da solo, e che lo porterà infine a diventare un uomo. In poche pagine, Scarlini comprime un universo meraviglioso ed affascinante, con profumi di terre lontane, nomi di divinità ormai dimenticate e formule cariche di un potere antico e incomprensibile. E incomprensibile risulta infatti tutto questo per Luca e per i lettori con lui, di nuovo chiamati a sciogliere i nodi del racconto tra realtà ed illusione. Questa ambientazione, seducente e sottilmente studiata, ci fa provare il desiderio di esplorarla più a lungo, di poter indugiare ancora un po’ con le streghe Graziosa e Birgitta a sviscerare gli oscuri segreti dell’occulto. Ma purtroppo, questo non ci è concesso: il viaggio di Luca finisce in una manciata di pagine, il bambino si è tramutato in uomo, ed il regno delle streghe è precluso al sesso maschile. È il momento di tornare al focolare domestico, con la sensazione però di avere ancora più domande rispetto a quando ce ne siamo andati – forse troppe. Che cosa è cambiato in Luca dopo questo incontro? Qual è il significato delle parole delle streghe? O addirittura, siamo sicuri che ciò che abbiamo visto sia successo davvero? Per quanto possa essere affascinante perdersi nelle possibilità offerte da tali dubbi, forse sarebbe stato utile poter dare un rapido sguardo alle potenziali risposte nascoste dietro ad essi. 

L’unica certezza è che una parte di noi è rimasta in quella tenuta stregata, una parte che non riavremo mai indietro. La consolazione ci viene data infine da quella che è forse la chiave di interpretazione di Le streghe non esistono, in quanto esemplare romanzo di formazione: l’accettazione. Bisogna accettare che non tutto è destinato ad essere compreso subito, che qualcosa in noi mancherà per sempre, che non sapremo mai se Luca scoprirà o meno di essere omosessuale, in barba ai dubbi del Retore. Ed accettare che forse, da qualche parte, anche le streghe possono esistere.


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Di Mattia Mancini

Mattia Mancini

Redattore di letteratura