Le Signore dell’Arte – Fernanda Wittgens: la militante di Brera
articolo di Dalila Rosa Miceli
Tre storie di donne tra musei e resistenza
Fernanda Wittgens a Milano, Caterina Marcenaro a Genova e Palma Bucarelli a Roma sono tre donne passionali, determinate e illuminate che, con il loro spessore, hanno fatto la storia del museo italiano nella difficile epoca a cavallo tra la seconda guerra mondiale e la successiva ricostruzione, affermando se stesse, i loro ideali e aprendo il Museo italiano all’avanguardia.
Raccontare queste sfaccettate figure è una sfida complessa, poiché significa intessere una trama che prende in considerazione il panorama museografico del tempo, ancora estremamente arretrato rispetto alle innovazioni europee e americane, e il contesto sociale in cui le donne si trovavano ad operare, educate a divenire solo buone mogli e brave madri soprattutto in quegli ambienti familiari poco elevati. Senza trascurare, infine, la scarsità di presenze femminili di spicco nel settore artistico di ogni tempo, sia sul versante prettamente produttivo che in quello gestionale.
E’ dalla compresenza di queste problematiche che la grandezza delle tre figure delineate può emergere appieno: modelli eterni, ancora troppo poco nominati e conosciuti, di grandi donne che, ebbre della loro passione e della loro forza, sono divenute le vere signore dell’arte italiana.
Fernanda Wittgens: la Militante di Brera
Fervente antifascista e intellettuale raffinata, Fernanda Wittgens, nata a Milano nel 1903, è soprintendente e critica d’arte. É la prima donna a fregiarsi del titolo di direttore della storica Pinacoteca di Brera, succedendo al grande Ettore Modigliani. Come scrive Giovanna Ginex, curatrice di una monografia a lei dedicata, la storia personale della Wittgens si incardina attorno tre grandi temi che possono essere considerati il fondamento della sua persona: lo studio dell’arte – in particolare quella lombarda -, il ruolo di sovrintendenza e di attività pubblica al servizio della cultura e l’impegno sociale e politico.
Poco più che ventenne, la giovane diventa docente di storia dell’arte in vari istituti milanesi, per avere poi accesso all’ambiente accademico. Capace e instancabile, diventa subito una figura di spicco nel settore artistico, fino a ottenere, nel 1930, l’incarico di affiancare Modigliani nella realizzazione di una grande rassegna sull’arte italiana a Londra, che la porta a seguire i complessi e delicati trasporti delle opere. Nel 1940 viene nominata direttore con sede a Brera: è l’unica donna, insieme alla romana Palma Bucarelli, ad ottenere questo incarico di rilievo in ambito museale.
Poco dopo l’Italia entra in guerra: emerge con forza, tra i bombardamenti e la miseria, il problema della salvaguardia delle opere d’arte. La Wittgens segue i ricoveri delle collezioni, prendendo posto a fianco dei guidatori dei camion che trasportavano le tele dai musei lombardi ai rifugi e alle fortezze allora considerati sicuri.
E’ in questo contesto, tanto disperato quanto attivo, che matura anche la donna dietro all’intellettuale. Negli anni della guerra la Wittgens si avvicina infatti a gruppi femminili che si impongono prepotentemente nel panorama della resistenza milanese. Nasconde e sostiene nella fuga numerose famiglie ebree all’avvento delle leggi razziali ma, proprio in questo contesto, viene raggirata da un giovane collaborazionista e nel luglio 1944 è arrestata, interrogata e portata in carcere. Qui, a fronte dei quattro anni previsti, sconta solo sette mesi, grazie alla liberazione da parte degli alleati. Malgrado le difficoltà affrontate non perde mai di integrità e di fierezza: proibisce fermamente alla madre di presentare una richiesta di scarcerazione, prassi comune del tempo per le famiglie di estrazione benestante, scegliendo di dedicare il tempo in carcere allo studio e alla riflessione: è qui che, dalle fitte corrispondenze intrattenute, germinano le prime righe di future pubblicazioni monografiche dedicate a pittori come il lombardo Vincenzo Foppa.
Così, nubile per scelta ma con storie di grandi amori, la sua figura leggendaria nella vita di Brera, resta estremamente austera e sempre salda nei suoi ideali.
“Voi dovete capire che in tutta la mia vita quello che conta per me è di essere sempre coerente a me stessa, è la mia figura morale: tutto il resto – se volete anche la vita – viene dopo. “
Fernanda Wittgens; lettera alla madre
La Rinascita Milanese
Gli anni ‘50 sono un momento di fervore nella ricostruzione edilizia in tutto il territorio nazionale e Milano non si discosta da questa aria di rinnovamento diffuso. Alla morte di Modigliani, reintegrato solo nel ‘46 a seguito delle restrizioni razziali, la direzione della Pinacoteca passa nelle abili mani della Wittgens. La sua politica, dopo i primi mesi di disorientamento post bellico, si direziona tutta nella ricostruzione di Brera come simbolo di rinascita.
Le bombe del’42 avevano infatti distrutto quasi integralmente le sale, lasciando solo colonne e brandelli di muro. Sull’onda del rinnovamento museale americano che iniziava a leggere il museo come spazio sociale e organismo vivo, la direttrice milanese collabora con l’architetto Piero Portaluppi al rinnovamento della pinacoteca, organizzando intensi programmi di attività didattiche, visite guidate tenute da esperti, tra cui la stessa direttrice, e attivando iniziative prima impensabili. Tra queste spicca come più iconica quella tenuta nella settimana del fiore e denominata “Fiori a Brera”. Un piano innovativo di enorme successo che portava delicati cespugli verdi e composizioni floreali a dialogare con le opere esposte. E’ così che nell’aprile del ‘56 Milano si risveglia lentamente dall’indifferenza verso i musei e si apre ad accogliere un nuovo panorama museografico. Tra i molti frequentatori che presero parte all’evento emerge su tutti il commento di un estatico Eugenio Montale.
Il successo clamoroso di quella settimana porta Brera a superare il numero dei visitatori della vicina Rinascente e permette alla Wittgens di ottenere l’autorizzazione ministeriale ad aprire il museo anche una sera a settimana, favorendo così l’accesso ad operai e lavoratori impegnati giornalmente nelle fabbriche. Proprio negli stessi anni, la giovane direttrice prende in carico anche la gestione dei restauri del Cenacolo vinciano, scampato miracolosamente ai bombardamenti, e si occupa dei progetti relativi a molti altri musei diffusi sul territorio.
L’immagine del comando
Fernanda Wittgens muore prematuramente nel 1957, dopo una vita al servizio dell’arte, di Milano e delle sue idee. La volontà di creare un museo vivente e in continuo progresso, allineato al proprio tempo e ricco di iniziative si inserisce perfettamente in quella scia di rinnovamento museografico a lei contemporaneo, enfatizzando quanto la sua visione e la sua efficienza nel settore fosse raffinata.
Ma sono certamente il coraggio e la determinazione che la contraddistinsero a consacrarla come figura insostituibile nel panorama artistico post bellico italiano, nella storia di Milano e di Brera e a dipingerla come icona di una femminilità salda ed estremamente emancipata che, tuttavia, cela un lato oscuro e conflittuale.
In molti carteggi da lei inviati alle amiche, la Wittgens si abbandona a riflessioni amare sulle rinunce necessarie per tenere alto quel profilo di donna instancabile ed eccezionalmente professionale. Il desiderio di femminilità lascia infatti il posto ad una figura che dovette necessariamente porsi come maschile per aderire al ruolo di comando a lei affidato. Questo dissidio resta, forse, l’infelicità più profonda di questa grande donna che dedicò a Brera e all’arte la sua breve ed intensissima esistenza.
Bibliografia:
- Anna Chiara Cimoli, Musei effimeri: allestimenti di mostre in Italia, 1949-1963
- Ginex Giovanna, Sono Fernanda Wittgens – una vita per Brera
https://www.arateacultura.com/ https://pinacotecabrera.org/ http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/fernanda-wittgens/