Arte,  Ekphrasis - Le parole dell'Arte

EKFRASIS Le Parole dell’Arte – Manet

Bar aux Folies-Bergère

Bar aux Folies-Bergère – E. Manet

Bar aux folies-Bergères, Parigi, quartiere Pigalle, 1881.

Suzon guarda l’orologio, sono le 11: ha un attimo di tregua, è il turno del primo spettacolo.

“Oggi il primo turno a chi andava? E’ martedì, dovrebbe essere… ah, eccola, la trapezista.”

Si volta per aggiustare la frangetta à la chien nel grande specchio alle sue spalle, vede riflessa la trapezista che fa il salto d’entrée, si ricontrolla i capelli.

“Ma guardami, questo nero mi sta sempre così elegante.. però il corpetto sembrava una morsa all’intestino anche dopo che l’ho tolto, ieri sera. Domani metto la divisa chiara.”

Lo specchio la guarda. Tutte le sere. Suzon e lo Specchio condividono la stessa porzione di spazio, cinque sere a settimana, da due anni e qualche mese. 

“Certo che ti guardo, sei molto elegante, sì. Dimmi, lo vedi? Quel giornale, quello che occupa l’angolo del tavolino libero in fondo.”

“Sì, l’ho visto prima, mentre servivo il gruppetto chiassoso lì accanto. La pagina abbandonata ha per intero il manifesto che si vede per le strade: ad agosto il primo Salone Internazionale dell’elettricità, Palais de l’industrie.” 

“E lo senti? Il brusio della modernità?”

“Sì, fin troppo… stasera mi sta iniziando a far male alla testa prima del solito. Ma tu perchè parli? Gli specchi non parlano!”

“Sono uno specchio, non parlo: sto immobile, nella mia cornice, dove mi hanno appeso; la luce non mi attraversa, mi rimbalza senza farsi assorbire e torna da dove è venuta: non parlo, rifletto.

Sono un quadro dove tutto si muove, tutto cambia continuamente, ma la cornice inquadra sempre la stessa porzione di spazio, inesorabile.

Rifletto e mostro. 

Rifletto quello che arriva ed entra dal buio delle strade e dei passages, con le ombre dense della notte nel quartiere delle licenze al bon ton. Varcata la soglia luminosa, tutto si accende nei caleidoscopici lampadari dove le tinte sgargianti degli abiti, dei guanti, dei liquori, delle pareti arabescate, dei tavolini mignon si riflettono e si moltiplicano nelle sfaccettature dei cristalli che l’aria ritmata fa danzare, lievi.

Dentro questo carillon fragoroso l’atmosfera inebria i sensi, riempie e annacqua gli occhi per il fumo e la densità dell’ossigeno con troppi polmoni da soddisfare; le conversazioni sono rallentate o concitate dal pizzicore alcolico sul palato e dall’attenzione che chiede l’orecchio per distinguere o farsi udire dal proprio, momentaneo, interlocutore.

Rifletto il brusio della modernità che percorre le nuove arterie haussmanniane e i vecchi nervi della ville lumière, che entra, pieno di energia, nella nostra salle de spectacles.

E’ un sottofondo, accoglie le note di musiche spezzate da un brindisi, una sedia spostata, il balzo di una trapezista, applausi, l’ovattato cadere di un cappello in velluto e le sue piume.

I rumori della festosità appena affannata di chi si gode la socialità fine a sé stessa, le dolce vita chic della Belle-époque e i contrappunti della sua decadenza spensierata.

Una sinfonia, animata sottilmente dagli stridori acuti e gravi delle parlate di tutta l’Europa che accentano il francese e si mescolano ai suoi accenti all’insù. Come gli Champagne dal regale collo dorato che si trovano sul bancone in marmo lucente, forse malvolentieri, accanto alla very English birra, la Bass Pale Ale 66, che inizia a farsi riconoscere dal triangolino rosso anche dai parigini.

Più l’orologio scivola verso il mattino, più in questa porzione di spazio si scivola in una tranche-trance de vie delle notti parigine, il cui sapore eroico e quotidiano, frammentato, profuma le poesie di Baudelaire e Mallarmé, i quadri e le sculture degli altri Refusés e Independents, discussioni, idee, immagini e costumi, mode e tante, frammentarie quotidianità. 

Tutto è simultaneo; entrarci, in questo presente, ti pone una scelta:

consegnarglisi e aderire al reale lasciandoti percorrere dalle direttrici del tempo nuovo – la Modernità! – oppure allontanarti, recuperare la distanza che permette di dare coordinate e costanti alla nuova molteplicità di tracce intersecate nell’attimo che scegli di afferrare.” 

“Non è che sia proprio stata una mia scelta, ero attirata dalla distanza di queste luci, questi suoni, queste conversazioni, più che dal muto atelier nel sottoscala da sartina o dalle mucche del ragazzotto che si proponeva mio marito alla zia.”

“La distanza iniziale è ingannevole. La vera distanza è questo mezzo metro di marmo, non ti lascia entrare a sentirti un atomo, una figurante qualsiasi del mio caleidoscopio che con indifferenza sfacciata ti guarda se non da dietro le spalle, di riflesso.”

“Le spalle me le guardavano le colline, sempre le stesse da sempre. E volevo essere qualcosa di diverso, di più. Volevo far parte della novità, trovare un’occasione, per trovare un mio posto nella città che ne ha migliaia.”

“E invece… la folla ti sta davanti, dietro, al lato, se ha sete o impazienza ti contorna e si protende, ma non ti accoglie, ti lascia dentro la tua bolla o cerca di invaderlo, il tuo spazio. Quello che sacrificando le mucche hai preso qui: il tuo spazio dietro il bancone.” 

“Ed è tutto uguale, noioso e ripetitivo e senza speranza, ma lo è come le mucche e fare la moglie. Ho i bei vestiti che mi fornisce il locale, le prime volte mi sentivo finalmente una delle signore alla moda. Come quando Monsieur Chiseloricorda mi ha legato questo joli al collo e poi me lo ha regalato.”

“Hai creduto fosse una prima buona occasione e un passo in più verso la conquista del tuo posto, lo so, gli specchi e le immagini servono a questo: a sognare, proiettare il mondo e proiettarvisi dentro. Servono a guardare la realtà senza starle di fronte, non per evaderla, ma per viverla dal suo interno e poterla contemplare. Se ci entri così com’è, ti ci perdi, è lei a percorrerti.”

<< Bonsoir, Monsieur, cosa le posso servire? >>

<< Bonsoir, Mademoiselle.. vorrei un Cognac, grazie. >> 

“Lo vorrei anche io, tutto questo baccano mi ha fatto venire un gran male alla testa… Dove cavolo ho messo quella bottiglia già aperta… Ah voilà, eccoti qui.”

<< Prego, due franchi.>>

<< Ecco a lei.. per la notte, quanto?>>

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Beatrice Buratti

Redattrice in Arte