Le città invisibili. Leonia e il conformismo nel consumo sfrenato.
All’età di quarantanove anni, nel novembre del 1972, Italo Calvino pubblicò per Einaudi la prima edizione delle Città invisibili, un libro nato per tappe e scritto lungo intervalli di tempo piuttosto estesi, quando capitava che l’ispirazione dettasse. Lo rivela lo stesso scrittore durante una conferenza che tenne nel marzo dell’’83 per gli studenti della Columbia University di New York:
Io nello scrivere vado a serie: tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa […] Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori. Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente.
Sebbene Le città invisibili siano state scritte in un lungo arco di tempo, quasi come se fossero un libro di poesie, è innegabile che si tratti di un’opera con una precisa strutturazione. Cinquantacinque descrizioni cittadine sono distribuite in undici rubriche e nove capitoli; aprono e chiudono ogni capitolo i “corsivi”, ovvero poche pagine di testo che descrivono il rapporto tra Kublai Kan e Marco Polo, gli unici due personaggi dell’opera. Sovrano mongolo e mercante veneziano dialogano tra di loro a gesti e parole, trattando la veridicità dell’esistenza delle città che quest’ultimo avrebbe avuto modo di visitare durante i suoi viaggi.
Parafrasando ancora Calvino, nonostante il volume non si possa reputare un romanzo nel senso stretto del termine, esso costituisce uno spazio dove il lettore può perdersi senza mai smarrire la possibilità di trovare una via d’uscita per venire a capo della costruzione.
Tra le città descritte da Polo, Leonia è una delle più interessanti. Essa è circondata per intero da spazzatura, dunque chiama direttamente in causa il problema dell’inquinamento, spaventosamente noto ai nostri giorni e già in grado di suscitare tetre aspettative di futuro cinquant’anni fa a uno scrittore come Calvino. Inoltre, descrivendo la metropoli in questione, l’autore vuole anche problematizzare la cultura del consumo di quegli anni, tendenza velenosa per l’ambiente e causa scatenante di una vera e propria omologazione culturale – distruzione delle specificità – e della conseguente formazione di una pseudocultura di massa, della moda e della televisione.
Le città invisibili come metafora della realtà
“È sempre dunque una base di sensibilità reale che fornisce materia per i vertici poetici e ideologici di Calvino.” Pier Paolo Pasolini spese queste parole proprio in occasione della stesura di un commento inerente al libro dell’amico che, a parere dell’”intellettuale scomodo”, non solo era “il suo più bello, ma bello in assoluto.” Secondo Pasolini, infatti, scrivendo quest’opera, Calvino non avrebbe rappresentato nulla di meramente inventato, ma semplicemente si sarebbe concentrato sulle impressioni reali, per ricavare da esse dei veri e propri sogni da ricostruire con la fantasia e con le armi della scrittura – non sono forse anche i sogni parte della realtà?
Proprio come le poesie, le descrizioni delle città di Calvino celano molto più di ciò che traspare per mezzo della veste linguistica con cui vengono costruite su pagina bianca, e dunque vanno interpretate: è richiesto al lettore un momento in cui interrompa la lettura per spogliare la città immaginaria dei suoi abiti onirici, indagando il ramo di realtà da cui l’autore s’è fatto ispirare.
Per alcune città può sembrare piuttosto complicato scoprire a fondo le intenzioni calviniane, e spesso ciò accade poiché la realtà metaforizzata dal racconto inerisce a domande che trascendono esse stesse ciò che è immanente e palpabile, – mi riferisco alle questioni più specifiche della memoria e del desiderio, per esempio. Altre descrizioni cittadine sono più immediate: ritengo che queste ultime rappresentazioni siano più facilmente decifrabili per due motivi, che non si escludono a vicenda: sono città costruite sull’esagerazione o la distopia del reale percepito e metaforizzato, sono cioè caricature più immediate e, di conseguenza, particolarmente efficaci; riflettono una verità oggettiva che sostanzia la società del presente, e percepibile senza impegni proprio perché posta sotto i nostri occhi ogni giorno.
Leonia, la città continua
La città di Leonia, con cui l’autore apre la rubrica “Le città continue”, appartiene alla seconda categoria da me distinta, infatti riflette la realtà borghese d’oggigiorno e del tempo di Calvino. La metropoli rifà sé stessa tutti i giorni:
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: […] l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.
Configurandosi in questo modo la città s’espande ogni anno, poiché i cumuli di “merce del giorno prima” diventano sempre più imponenti e si dispiegano su un’area più vasta. Proseguendo il racconto veniamo informati che non solo Leonia, ma anche le città circostanti convivono con la propria spazzatura:
i confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Rinnovandosi ogni giorno, l’unica formula definitiva della metropoli è quella dell’accumulo di oggetti. La circolarità che distingue la specificità di Leonia non si esaurisce nella città stessa, ma continua in tutti i centri vicini, con una moltiplicazione esponenziale che si proietta sull’intero mondo. Ecco quindi che vengono meno i confini tra le zone urbane, e ogni singolarità diventa un’unica grande città di macerie dall’estensione mondiale: proprio per questo Leonia è una “città continua”.
Oltretutto ogni centro urbano aspetta il collasso degli altri per guadagnare “spazio vitale”, partecipando opportunisticamente a una sorta di lotta per la sopravvivenza darwiniana: quest’immagine, con cui si chiude il racconto, sintetizza la conclusione apocalittica di una tale condotta di vita, facendo forse eco al gran finale della Coscienza di Zeno.
Leonia come metafora di una società consumista
Sembra che sia l’ansia di consumare a costituire una città come Leonia, che si rinnova giorno dopo giorno tra il disprezzo che nutre per le cose usate e il desiderio di apparire sempre nuova, di stare al passo con il tempo. Stando a una lettura di questo tipo, l’autore porterebbe all’estremo il marchio distintivo della contemporanea società borghese di stampo neocapitalista, definendo i dettagli di una città frenetica, che non si accontenta di disporre dell’essenziale per sostentarsi, ma che è ostinatamente proiettata verso il consumo, unica ragione di vita della metropoli, unico suo costituente, la sola caratteristica che fa di Leonia una “città invisibile”.
Quest’identificazione di Leonia con una società sarebbe opinabile se nel testo mancasse l’accenno alle città circostanti, o se solo qualcosa facesse pensare che la metropoli in questione sia l’unica a costituirsi con le macerie di oggetti dei giorni passati. Il testo chiarisce molto bene come tutte le città vicine a Leonia si completino fra di loro in estensione, e al contempo cerchino di sussistere nel proprio orticello, chiudendo il rapporto con gli altri centri ed erigendo barricate di roba.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta.
Oltre a evidenziare il pericolo che un atteggiamento di totale devozione al consumo assuefaccia ogni individuo a una felicità proveniente unicamente dalla conquista dei beni materiali, mettendo in secondo piano il rapporto tra persone, – città vicine – la descrizione di Leonia è quella di una città che nel consumo è conformista quanto le altre metropoli. È proprio nell’omologazione culturale, portata anche dal diffondersi di una caratteristica assuefazione al consumo, che si cancellano le individualità e vengono meno le divergenze per cui una città possa essere considerata unica in quanto diversa da quella ad essa adiacente: tutto il mondo diventa un cumulo di macerie d’oggetti usati, e non si distingue più Leonia dalle altre metropoli. Leonia non è più una singola città consumista, bensì l’intero pianeta.
Cinzia Pedruzzi
Rifiuti. Olio su tela, 50×50.
Bottiglie di vetro vuote intere o frantumate, cannucce di plastica, lattine schiacciate, stralci di giornale, cocci, tappi, mozziconi: tutto quello che generalmente troviamo vicino a un cestino troppo ricolmo per contenere altro, in strada, nei parchi, in spiaggia e addirittura nel mare. Questo è ciò che si trova dove la società arriva, la scia che immancabilmente l’uomo si trascina con i passi come un segno di riconoscimento, una campanella per i lebbrosi. Questo marchio negativo di civiltà è sotto gli occhi di tutti, eppure pochi si preoccupano di trovare una soluzione: ciò avviene perché la moda di consumare e l’impatto che ne consegue sono tanto abituali da passare inosservati, quotidiani come il periodico che accoglie tutto il ciarpame dipinto in primo piano. L’uccellino morto tra la spazzatura simboleggia una vita soffocata dall’inquinamento dei rifiuti, parte integrante delle nostre città, ma anche la vita di tutti noi, sprecata come un pacchetto di sigarette proprio nell’atteggiamento masochista di far passare il tempo senza fermarci a chiederci: “perché?”
Autodidatta sin da giovane, Cinzia Pedruzzi viene indirizzata alla scuola d’arte del maestro Ernesto Doneda da Brembate.
Sotto la sua guida perfeziona la tecnica della pittura ad olio, esprimendo uno stile figurativo moderno, paesaggi e nature morte. La ricerca delle forme la spinge allo studio del disegno e alla rappresentazione del corpo umano, dedicandosi successivamente al ritratto. Interessata allo studio dell’arte e curiosa di formarsi su nuove tecniche espressive, apprende la tecnica dell’affresco e la manipolazione plastica della materia, rappresentando in terracotta figure umane e busti. Insegna in corsi di disegno, pittura ad olio e manipolazione della terra.
Collabora per la realizzazione di corsi scuola con due amministrazioni locali. Ha partecipato a varie rassegne d’arte, mostre collettive e tenuto esposizioni personali in svariati centri culturali. Iscritta al Circolo Culturale Bergamasco dal 1997, partecipa alla collettiva annuale presso la sede di Bergamo.
Sito Web di Cinzia Pedruzzi
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Fonti:
- Italo Calvino, Le città invisibili, Oscar moderni, 2016;
- P.P. Pasolini, Italo Calvino, <<Le città invisibili>>, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, I Meridiani Mondadori, Milano 1999