“La vita adulta” di Andrea Inglese e la malinconica fuggevolezza del crescere – Premio Bergamo 2022
“… più riesce a cogliere i confini precisi delle cose, sottraendoli a quella patina fantastica che ognuno proietta sul suo ambiente circostante per addolcirlo e accordarlo a forza di sviste e deformazioni ai propri desideri, più misura la sua incapacità di adattarvisi, di trovare pace e soddisfazione lì dentro.”
da La vita adulta, pagg. 142-143
Nel gennaio 2016, sulla rivista statunitense The Atlantic compare un articolo di Julie Beck intitolato “Quand’è che si è davvero adulti?” (When are you really an adult?)1. Lungi da essere una dissertazione filosofica sul tema, il pezzo raccoglie numerose testimonianze di persone che descrivono un episodio – cesura della propria esistenza: il momento in cui per la prima volta hanno realizzato di appartenere a quella che Andrea Inglese definisce icasticamente la vita adulta. Ciò che appare subito chiaro è che il passaggio di soglia può avvenire con modalità e tempi differenti e che non esiste una definizione universalmente valida della questione. L’età in cui si è e ci si sente “grandi” somiglia a un quadro impressionista, scrive Beck: se ci si posiziona alla giusta distanza è possibile riconoscere un’immagine sfocata, ma, avvicinandosi, il quadro nella sua interezza sfugge. Restano milioni di piccole chiazze colorate sconnesse tra loro.
L’impossibilità di creare, dai frammenti di senso confusi e sparsi che la maturità elargisce, un mosaico unico e compatto è il leitmotiv del romanzo di Inglese, incentrato sulle figure complementari di Tommaso e Nina. Tommaso, un curatore e critico d’arte vicino al varco dei cinquant’anni, naviga sul mare della quotidianità cercando una rotta, un orizzonte di senso dove conciliare armoniosamente lavoro, famiglia, amici. Il riconoscimento intellettuale per cui da anni scrive e si sfianca gli è stato negato: non gli resta che il tentativo di fare ordine, di conquistare qualche brandello di serenità in mezzo alla disillusione. Disillusa è anche Nina, che però non ha alcun interesse nel far quadrare il cerchio della sua esistenza irregolare, scostante, sradicata. Dopo un debutto clamoroso da giovane perfomer, il rifiuto di sottostare alle regole soffocanti del mercato artistico le è costato la carriera: come Tommaso, vive ai margini dell’universo culturale di cui fa parte.
La vita adulta come analisi intellettuale
L’uno a Milano, l’altra a Berlino, i protagonisti conducono due esistenze tutto sommato ordinarie, oscillando tra vecchie e nuove conoscenze, piccole vittorie e ricordi dolorosi. Leggendo il romanzo di Inglese si ha l’impressione che non sia importante cosa accade quanto come ciò che accade viene percepito e filtrato attraverso la coscienza di Tommaso e Nina. Persino le performance provocatorie della donna, che organizza degli happening sconcertanti dalla forte connotazione erotica, restano sullo sfondo, prestandosi se mai come camera di risonanza per le sue riflessioni. Per certi aspetti La vita adulta ricalca le tracce del romanzo-saggio novecentesco, dove l’eroe intellettuale si fa spettatore delle propria vita e da essa ricava delle osservazioni di ordine generale sul mondo in cui si trova immerso.
Non è un caso che svariati capitoli all’interno dell’opera siano di natura tematica: attraverso lo sguardo dei due personaggi, Inglese affronta alcune delle problematiche più calde della nostra contemporaneità. Il precariato, l’utilizzo dei social network, la bulimia informativa, il rapporto con il corpo e con la propria sessualità, la frenesia allucinante del sistema capitalista: dalle pagine emerge la volontà di restituire un ritratto particolareggiato e sconsolante di tutto ciò che rende il vivere quotidiano non solo complesso da esperire, ma anche difficile da interpretare. Il tempo scorre mentre sia Tommaso che Nina si cimentano, ciascuno a suo modo, nell’arginare la fluidità del crescere, per superare la spiacevole sensazione che tutto sia già stato deciso e acquisire un minimo controllo, forse illusorio, sulla realtà che sfugge.
Tommaso e Nina, opposti e simili
Questa comunanza di intenti non traspare in superficie. L’equilibrio civile e raccomandabile di Tommaso, che aspira a una vita regolare, stride con gli eccessi -prevalentemente ideologici- di Nina. La performer infatti combatte un’imperitura battaglia contro tutto ciò che può definirsi convenzionalmente accettato, prestabilito o tradizionale: l’idea della common life2 borghese, con le sue tappe prestabilite, la fiducia nei confronti delle istituzioni e nell’operosità individuale, la disgusta. Eppure quella della protagonista è una lotta per lo più intellettuale, perché nel concreto non le è concesso vivere nell’anarchia alla quale aspira, almeno non del tutto.
Senz’altro Nina riesce a fare “del proprio smarrimento un metodo”, piegandosi alle imposizioni sociali, economiche e lavorative solo quando è strettamente necessario, a differenza di Tommaso, che spesso resta schiacciato sotto la rigidità delle pressioni imposte dall’esterno. L’artista è in questo senso la controparte agentiva e ribelle del critico, ma, se si scava a fondo, risulta evidente come la frattura tra le due figure sia meno netta di quanto appaia. Entrambi meditano costantemente sulla propria vita e su quel filo – robusto e un po’ asfissiante per Tommaso, logoro, corrosivo per Nina – che li avvinghia alla società, senza che si presenti mai, nel bene o nel male, una chance di recisione.
Il ruolo dell’arte
Oltre allo sforzo di collocarsi per omologazione o antitesi nella quotidianità straniante del mondo odierno, un altro elemento fondamentale accomuna i due protagonisti: Nina e Tommaso vivono d’arte, arte che assume, all’interno dell’opera, un significato ambivalente. Ne La vita adulta esiste l’industria artistica e culturale, sviscerata spietatamente nelle sue dinamiche di profitto e di interessi che nulla hanno a che vedere con la qualità dell’opera in sé, ma esiste anche l’arte intesa come mezzo di annichilimento della realtà per ambire a una dimensione alternativa, meno banale e svilente. Tramite il lavoro intellettuale e creativo, sia Tommaso che Nina plasmano un altrove non predeterminato, libero dai vincoli stringenti che la responsabilità impone:
“… la ricerca di vie di fuga è una reazione sana, perché se non altro addita la realtà come un compromesso cattivo e provvisorio. Il lavorìo di tutti, enorme e sfiancante, è quello di farsela andar bene, di starci dentro, riuscendo a emettere regolarmente sorrisi di soddisfazione a uso degli altri sottoposti al medesimo sforzo”.
ibidem, pag. 329
Maturare
Parole amare quelle di Nina, che, come Tommaso, è incapace di adattarsi. Leggendo però sorge spontaneo chiedersi chi davvero si senta totalmente a suo agio in quella che Pirandello definisce la forma di norme, consuetudini e obblighi in cui ci troviamo irrimediabilmente immersi da quando iniziamo a essere considerati adulti. Nel romanzo di Andrea Inglese gli unici personaggi che sembrano aver acquisito la sicurezza e la determinazione che di solito si associa alla maturità sono quelli secondari, ossia quelli meno caratterizzati nella loro interezza, come se spingersi oltre nell’analisi introspettiva comportasse necessariamente il crollo di ogni certezza. È il caso di Alessia, accademica di successo e conoscente di Nina: donna in carriera che ricorda il Thomas Buddenbrook manniano, riesce a dimenarsi con disinvoltura nei rapporti pubblici e privati indossando una maschera di compiacenza ed efficacia.
Anche Raffaele Danova, ex-amante di Nina e gallerista brillante dal fiuto per gli affari, dall’alto del suo pragmatismo sentenzia che “… la maturità, nelle persone, molto spesso non è rinuncia a cambiare il mondo, ma ricerca attenta di un minimo di efficacia.” Di fronte a tale perentorietà, l’idealismo totalizzante della protagonista e le dubbiose tribolazioni di Tommaso potrebbero apparire ridicole. Tuttavia, è il romanzo stesso a suggerire come, al cospetto dell’intrigo sfaccettato dell’esistenza, le soluzioni semplici siano in verità le più illusorie. Più si acquista consapevolezza più le stringhe della vita si ingarbugliano: a farne le spese è chi, come i protagonisti, penetra intellettualmente nella tragedia individuale. Gli altri sembrano ignorare il tormento, proseguendo in linea retta senza nodi concettuali da sciogliere. Che sia questa prontezza d’azione scevra di ideali, questa capacità di proseguire in linea retta nonostante tutto la vera ricetta del crescere? Sicuramente Alessia e Raffaele vivono più serenamente la propria relazione con il mondo esterno di quanto non lo facciano i protagonisti. La sentenza definitiva è comunque affidata al lettore.
“Fuori del limbo non v’è eliso”
Inquietudine, mancanza, disillusione: la vita adulta è un labirinto languido che porta ovunque e in nessun luogo, che sfugge e si lascia sfuggire chi, come Nina e Tommaso, cerca rifugio in una realtà concettuale percepita come valevole e alta, rinunciando a definire con precisione i contorni del vivere. Il romanzo conclude lasciando tutto in sospeso, come a dire che, crescendo, ogni passo può annullare o riconfermare quello precedente e che non esiste alcun giudizio definitivo, nessuna morale assiomatica sulla realtà, orrenda o meravigliosa che sia. L’unica consapevolezza che affiora da La vita adulta è la stessa che Elsa Morante inserisce in excipit della poesia-preludio de L’isola di Arturo: “fuori del limbo non v’è eliso”. Una volta entrati nell’età del compimento psichico e fisico – qualunque cosa significhi – termina l’epoca delle facili consolazioni e delle fedi incrollabili: non resta che affrontare la complessità del proprio interminabile percorso di formazione.
Bibliografia:
Andrea Inglese, La vita adulta, Milano, Adriano Salani Editore, 2021
Elsa Morante, L’isola di Arturo, Torino, Einaudi Editore, 2014
Thomas Mann, I Buddenbrook, Milano, Garzanti, 2018
Sitografia:
https://www.theatlantic.com/health/archive/2016/01/when-are-you-really-an-adult/422487/
https://www.arateacultura.com/
Note:
1https://www.theatlantic.com/health/archive/2016/01/when-are-you-really-an-adult/422487/
2Guido Mazzoni, Teoria del romanzo, Bologna, Il Mulino, 2011