Critica di Poesia,  Letteratura

La sicurezza e il pensiero cardiopatico – Vincenzo Calò

Vincenzo Calò

“La sicurezza e il pensiero cardiopatico” è la raccolta di due sillogi di Vincenzo Calò: il tracciamento di un racconto nel quale si mescolano confusamente pensieri frammentati, versi e parole di demoni interiori che cercano una via d’uscita o semplicemente una strada lineare da percorrere.

“La sicurezza sta nel dovere di trovare soluzioni come navi, per mirarle e sparare acqua dritti come proiettili”

(“La sicurezza”, Vincenzo Calò)

La complessità delle parole

Le poesie di Vincenzo Calò sono costruite tramite una tessitura particolare di termini densi di significato. Le parole, in questo caso, sono essenze viventi, dotate di un loro spessore, di un’altezza, di un peso che le definiscono: hanno la capacità di parlare al di là del loro significante, oltre il significato del termine.

Sono parole che derivano dall’unione delle voci di tutti i demoni viventi nella mente dell’autore che cercano di farsi spazio, che tentano di ricostruire una storia e un’evoluzione. Spiriti che si adoperano per uscire dal loro stato e per sbraitare, gettare tutto il veleno fuori; pretendono di farsi ascoltare e urlano con tutta la potenza che hanno in corpo.

Le parole sono echi di voci che riemergono dal passato, mostri marini che galleggiano in un mare di pensieri e che cercano di farsi strada dal futuro: sollecitano una presenza viva nel presente, un riscontro materiale che possa abbracciarli, rassicurarli, circondarli e trasformarli in qualcosa di carnale, di vivo e che non faccia paura, che non intimorisca. 

Le parole costruiscono un ponte, un crocevia e un tentativo di connessione tra un abisso infinito ed oscuro, quella moltitudine che affolla un cervello in movimento, e l’esistenza concreta di un mondo tangibile che si può toccare con mano, governato da leggi e dinamiche precise, da convenzioni da rispettare e che richiede di rimodellare la vastità dell’infinito che incombe.  

Sono poesie fatte di “parole da sbucciare”: entità dense da sviscerare e da osservare attentamente nella loro individualità e singolarità. Non sono parole vacue, appese nel vuoto della pagina che attende di essere riempita. 

Il lettore stringe un particolare patto di fiducia, una volontaria fedeltà nei confronti della poesia, permettendole di attraversare la mente e il corpo, di andare oltre il significante delle parole e della forma delle lettere che le compongono.

Il lettore deve comprendere, trascendere la superficie e la materialità del libro per immergersi all’interno del significato più profondo che porta con sé, nuotando tra la miriade di impressioni e interpretazioni possibili, cercare di decostruirle e ricreare le sensazioni che avverte, ricombinando tutti gli elementi che ha a disposizione.

La frammentarietà del linguaggio

Il linguaggio delle poesie di Vincenzo Calò è provvisorio, scomposto da ogni stabilità e da ogni definizione. Caratterizzato da una disgregazione delle parole che si propongono di dar voce ad ogni emozione, ad ogni sensazione che urla incessantemente e che necessita di essere ascoltata senza che vi sia bisogno di aggiungere altro, senza che vi sia bisogno di giustificarla.

È una poesia fabbricata con un linguaggio che arriva dritto e tagliente come una lancia a chi accosta il proprio orecchio ad ascoltarlo: un linguaggio momentaneo che si percepisce immediatamente, nella sua naturalità più cruda.  

“Ti guardo con un interesse strutturale, che vola fino a svanire nel cielo coperto da nuvole di nulla”

(Vincenzo Calò, “Con un interesse strutturale”)

Il linguaggio decostruito e scomposto, apparentemente disordinato delle poesie è il riflesso sincero di una realtà sociale e culturale – quella dei nostri giorni – frantumata, completamente irregolare e confusa agli occhi di chi la guarda, di chi la vive, giorno dopo giorno. 

La trama della poesia, tramite il suo linguaggio, cerca di innalzare uno spirito nuovo che può ergersi a capo di un tempo nuovo, costantemente mutevole e incostante, capace di comunicare il dolore, le incertezze, le instabilità, le euforie isteriche di un’era – la nostra – che sembra sfasciarsi con l’incedere del tempo. 

Le poesie di Vincenzo Calò, in questo senso, si prestano ad essere estremamente pluriformi, si modellano come invettive contro le più disparate tematiche che coinvolgono tutti noi oggigiorno: dalla pandemia Covid-19, al ruolo politico dello Stato, dalla disoccupazione alle emergenze sociali.

 Le parole fungono da muro portante di meccanismi politici, economici, sociali che ci braccano, ci rendono impotenti e che, inesorabilmente si vanno a scontrare contro la crudezza, spesso spietata, della realtà che ci tiene (dis)uniti.  

“Rinati sul web segnaliamo l’ora di cambiare tra nervi personalizzabili”

(Vincenzo Calò, “Con un interesse strutturale”)

Il linguaggio frastagliato delle poesie di Calò serve a rappresentare un disagio umano dilaniante, una schematizzazione diffusa del mondo moderno, del nostro modo di percepire e vivere le relazioni, i rapporti con gli altri, gli affetti, le emozioni più recondite e il legame con noi stessi. Ne emerge la vanità e la finzione che forgia ogni nostra azione, ogni evento più  o meno tragico che investe le nostre esistenze. L’intero tentativo poetico di Vincenzo Calò è il ritratto puntuale di una società che si scontra in modo sempre più violento con la consapevolezza amara delle proprie incertezze e debolezze, delle fragilità strutturali che la decompongono in mille pezzi: “un fiore d’umanità che non sogna di sbocciare, pronto alle primavere dell’incapacità”. (Vincenzo Calò, “Sempre più social”)


LA SICUREZZA E IL PENSIERO CARDIOPATICO (bertonieditore.com)

Giorgia Pizzillo

Redattrice di letteratura