«Intanto il mondo brucia»: l’io duemillesco di Gherardo Bortolotti
E’ possibile trovare una costante della cifra sperimentale di Gherardo Bortolotti nella sua complessa e mutevole postura enunciativa: dalla declinazione in terza persona del proprio alter ego (come con il bgmole di Tracce o di Quando arrivarono gli alieni), passando per la prima persona plurale delle Storie del pavimento, fino all’ostentato autobiografismo del Romanzetto e alla volatile terza persona del suo ultimo lavoro, Tutte le camere d’albergo del mondo. Vorrei, dunque, circoscrivere il campo alle ultime due opere, concentrando l’attenzione sull’innovativa modalità di sviluppo del rapporto tra il polo emotivo e sentimentale dell’io e quello del suo rapporto con la realtà contemporanea, con la sua componente di alienazione e ripetitività.
Romanzetto estivo esce per Tic Edizioni nel 2021. Rispetto alle precedenti Storie del pavimento, edite nel 2019 per la stessa casa editrice e nella medesima collana, lo scarto è notevole sin da subito: laddove il lettore si confrontava con un noi che raccontava le vicende proprie e del personaggio di Paolino, qui si scontra con una prima persona singolare molto marcata (basti pensare all’insistenza pronominale di forme a inizio frase quali Mi ricordo, Mi lasciano, Mi immagino, Me li sono ricordati, e così via), con tanto di rivendicazione autobiografica.
Le due epigrafi stabiliscono sin dall’esordio il patto narrativo: da un lato la citazione di Hölderlin permette di fissare le coordinate entro cui iscrivere l’opera, ovvero le dimensioni del sentimento e del tempo passato; dall’altro un possibile appunto dello stesso Bortolotti cristallizza e condensa le occasioni da cui scaturisce l’ispirazione artistica e che costituiranno gli argomenti e i momenti chiave su cui è imperniata la riflessione, ovvero la separazione dalla moglie, la morte del padre, l’aver incontrato il proprio primo amore e l’aver visto una stella cadente. Inoltre, stabilisce un punto di partenza cronologicamente definito, ovvero l’estate del 2019; indicazione che, secondo il gusto numerologico caratteristico dell’autore, è pure evocata dalla numerazione delle prose, che partono dalla 47, sua età reale nell’anno di riferimento (oltre che numero totale delle prose che compongono l’opera).
Le prose, una dopo l’altra, sono progressivamente numerate e tutte sono contenute entro lo spazio della pagina e del paragrafo. Il discorso, tuttavia, non è lineare: Bortolotti ancora una volta costruisce un meccanismo perfettamente funzionante e ben oliato di rimandi, richiami, riprese che permettono di elaborare, in sede interpretativa, un’immagine di insieme coerente, uno sfondo unitario entro cui collocare quanto rappresentato in maniera più possibile armonica, ma senza mai realmente darci una completa narratività. Gli strumenti di cui si serve sono vari: gli incipit delle prose, spesso estremamente colloquiali, rimandano idealmente a un discorso più generico di cui il narratore approfondisce un particolare (Come quando, Anche se, In tutto questo…); i personaggi, dal narratore alle donne con cui si relaziona fino ai rari accenni al padre; lo sfruttamento della figura dell’accumulazione, che non solo riprende in maniera frequente il ritmo ternario, ma crea una sensazione di refrain, alternando l’evocazione di concetti criticati (come l’odiato salario) e di elementi attinenti alla sfera amorosa e passionale, soprattutto fisica (come il seno e la forma dei fianchi). Ma non solo: nonostante, in verità, gli episodi non risultino realmente collegati da sequenzialità narrativa, è indubbiamente presente uno sviluppo almeno contenutistico, tematico e critico di più ampio respiro.
Come è già stato fatto notare (penso soprattutto all’articolo di Silvia Righi per «La Balena Bianca»1), la colonna portante dell’opera è costituita dalla relazione che le dimensioni del sentimento e del desiderio intessono nel protagonista, nell’io. Tuttavia, partendo proprio dalla dicitura Romanzetto, vorrei restringere il focus sulla maniera in cui le declinazioni di tale rapporto articolino una dicotomia già presente in Storie del pavimento, ovvero quella tra il percorso di formazione dell’individuo e la società che lo circonda, la contemporaneità alienata e ripetitiva, schiava del salario (poi affrontata con maggior vigore in Tutte le camere d’albergo del mondo).
Un Romanzetto, volutamente, non è un romanzo. L’epoca giovane, giovanile, ingenua e vitale, nel momento della rievocazione dell’io attraverso le figure delle donne che attraversano la narrazione, è sempre connotata nell’ordine del romanzetto, della leggenda, cui la memoria attinge senza avere mai la possibilità o la capacità di recuperarla pienamente (le influenze calviniane, a partire dai nomi femminili fino al rapporto con la memoria, sono evidenti); prende rilievo, dunque, l’immaginazione, unica possibilità di slancio verso il futuro, garantita sempre dalla capacità dell’io di costruire su ciò che conosce e identifica come amore, sentimento, desiderio e, occasionalmente, morte.
Tuttavia, l’età adulta, come poi tematizzato nella sua ultima opera, è romanzo; la fine dell’estate conclude l’epoca del romanzetto e apre retrospettivamente la possibilità di un romanzo della mia formazione.
Perché il passato, la formazione e il sentimento, di cui «bene è invece parlare»2, vengono relegati alla dimensione del romanzetto e della leggenda?
Il rimando al passato assiologico dell’infanzia, dell’adolescenza, del sentimento e della crescita era già un aspetto fondamentale, ad esempio, di Storie del pavimento: l’età giovanile, ancora una volta e con nuova forza, è individuata come stadio antropologicamente di passaggio che precede la scoperta del salario, della corruzione adulta. Prima del trauma dell’ingresso nel meccanismo capitalistico contemporaneo, negli schemi entro cui l’individuo è forzato, l’io vive l’età delle leggende, delle storie, del romanzetto, in cui ancora può concedersi di essere ingenuo, di fare la più piena esperienza delle proprie passioni ed emozioni.
La posizione dell’io è però problematica: ormai ingranaggio della realtà che lo circonda, restituisce al lettore slanci memoriali o immaginifici che scaturiscono da occasioni contingenti di disallineamento, di diffrazione ed entropia:
Il presente non ha rimedio ma l’entropia mi conforta e i processi non riescono mai appieno. Gli scarti, le anomalie, le imperfezioni mi concedono lo spazio per il desiderio e il sentimento; le leggende proliferano nei disallineamenti tra gli ingranaggi dell’universo e, come qualche principio di indeterminazione sottile e beffardo, l’amore confonde la scienza dello sguardo e le geometrie del mondo.
da Romanzetto estivo
Un ragionamento sintomaticamente affine alla Lezione di fisica pagliaraniana (con cui l’autore sembra condividere anche il gusto per il lessico altro, specialmente scientifico) pone in primo piano il totale disincanto della fonte enunciativa rispetto al proprio tempo, in cui, per un «principio di indeterminazione sottile e beffardo» va a finire che «il dolore, come l’amore, è a suo modo una storia minore, una trama secondaria rispetto al sordo consumo dei giorni».
Il presente non ha rimedio: l’io risulta perennemente frustrato dall’impossibilità di ritrovare un vero e profondo sentimento, relegando lo sviluppo della propria emotività al ricordo, alla rievocazione, alle fantasie che, per quanto connotate fortemente dalla fisicità delle esperienze, mantengono sempre il proprio carattere etereo e volatile. Occasionalmente, l’io trova uno sfogo nel suo relazionarsi con i social, mezzi di comunicazione che, tuttavia, non permettono mai una vera e completa interazione tra gli individui, anzi, danno loro l’opportunità di sottrarsene.
Dell’amore e del dolore, dunque, «capita di ricordarsene usciti dall’ufficio»: la critica che emerge rispetto a una società contemporanea alienata e apatica risulta particolarmente efficace. E grave. In Quando arrivarono gli alieni o Storie del pavimento la fonte enunciativa si trova immersa in una dimensione post-apocalittica da un lato e connotata da una componente di ingenuità infantile dall’altro, fattori che attenuano l’incidenza della constatazione del mondo circostante: ora la desolazione del soggetto enunciante, adulto e consapevole, è totale.
Mantenendo una notevole affinità con il Pagliarani delle Lezioni, l’io giunge ad asserire che «l’amore non sa dare forma alla vita e ai frangenti incongrui in cui sento la sua forza e il suo imperio. Aggiunge sogno al sogno e leggenda alla rovina»: l’amore è sintesi insufficiente; il sentimento è visibile e percepibile solo come costitutivamente parte del passato irrecuperabile.
La riflessione si rende ancora più necessaria allargando l’orizzonte di analisi alla più recente Tutte le camere d’albero del mondo.
Emerge l’impressione che si arrivi all’ultimo stadio della formazione del soggetto letterario, all’ultima tappa dello sviluppo del suo rapporto con la contemporaneità: dall’infanzia delle Storie, passando per la forza dell’amore adolescente del Romanzetto, fino ad approdare alle riflessioni adulte dell’ultima opera. L’io, narratore e personaggio, sembra aver reciso il legame con l’inconsapevolezza adolescenziale e appare completamente immerso e parte integrante del mondo adulto: attraverso il dispiegarsi di blocchi testuali metadiscorsivi (in un macrotesto che, seppur in parte diversa dalle precedenti, mantiene la caratteristica presenza di uno sfondo sfumato su cui si staglia una narrazione frustrata e mai soddisfatta) mette ora a nudo il processo creativo, l’ispirazione che il soggetto trae, ancora una volta, da eventi minimi della vita. Nuovamente, l’epigrafe è già rivelatrice della modalità di sviluppo dell’opera: con forte ironia, stabilisce sia con il lettore un patto di necessità di collaborazione per la costruzione di senso; sia, d’altro canto, mette in luce il procedimento ragionativo e creativo del soggetto enunciativo.
Tutte le camere d’albergo del mondo si compone di una serie di prose che sfruttano il medesimo meccanismo di costruzione della trama: una traccia secondaria dell’esistenza cattura l’attenzione del narratore eterodiegetico, della fonte enunciativa, che da quel dettaglio prende le mosse per elaborare in una micronarrazione l’intreccio di un ipotetico romanzo, sempre animato da un protagonista che potremmo chiamare Gherardo (mantenendo, nonostante la terza persona singolare, un rimando autobiografico non indifferente).
Le trame, come rivela il narratore già dal primo racconto, scaturiscono da epifanie di un esponente del ceto medio, ed è evidente come il punto di vista di elaborazione del discorso sia fortemente viziato da una tale condizione sociale. Se nel Romanzetto era viva la possibilità di interferenze del sentimento nei momenti di disallineamento, qui viene esasperata l’influenza pervasiva che il mondo contemporaneo ha sul soggetto che, anche immaginando ed elaborando trame possibili, constata continuamente «la progressione meccanica degli eventi, l’inevitabilità degli effetti, la collezione dei suoi errori».
Questo è, dunque, l’attuale punto di arrivo della traiettoria compiuta dalla fonte enunciativa di Bortolotti rispetto alla possibilità di vivere ed esprimere la propria sfera emotiva: «un uomo poco sveglio ma dalle buone intenzioni avanza negli anni in un susseguirsi di equivoci; intanto il mondo brucia».
- Silvia Righi, Geometrie del desiderio: su “Romanzetto estivo” di Gherardo Bortolotti, in «La Balena Bianca», 8 febbraio 2022 ↩︎
- Dall’epigrafe di Hölderlin in Romenzetto estivo ↩︎
Gherardo Bortolotti, Romanzetto estivo, Tic Edizioni, 2021
Gherardo Bortolotti, Tutte le camere d’albero del mondo, Hopefulmonster, 2022
Aratea Cultura
https://www.labalenabianca.com/2022/02/08/romanzettoestivo-bortolotti/