“Invernale” di Dario Voltolini – Premio Strega 2024
Quello tra scrittura e lutto è un binomio fondamentale, quasi imprescindibile. La volontà di fissare dei ricordi, raccontare delle storie, rielaborare dei ricordi cos’è se non il desiderio atavico di far rivivere, nella parola scritta, qualcosa che si è già concluso, una parabola già esaurita? Quando poi il lutto è quello per la scomparsa di una persona amata, la scelta di scriverne è sempre un’operazione bifronte. Da un lato si cerca di restituire a se stessi e al lettore anche solo una scheggia autentica della vita di quella persona; dall’altro ci si pone davanti la sfida della costruzione letteraria, con tutti i filtri e distorsioni che essa comporta.
Dario Voltolini, con Invernale (La nave di Teseo, 2024), nella cinquina finalista al Premio Strega 2024, si propone di far rivivere la figura del padre scomparso in poco più di un centinaio di pagine che si stagliano chiare e nitide come un esperimento pienamente riuscito, toccante e stilisticamente interessante.
I brevi, fulminanti, capitoli del romanzo di Voltolini prendono il via dall’immersione nella quotidianità del padre Gino, macellaio al mercato di Porta Palazzo di Torino, con una narrazione che alterna una terza persona osservatrice al monologo interiore che dà voce al pensiero di Gino, al quale, a seguito di un infortunio, viene diagnosticato un tumore che lo porterà alla morte.
Quello di Voltolini è, più che il ricordo accorato di un figlio scrittore, un tentativo di riportare in vita per breve tempo un avatar del padre, per indagarne i pensieri e sviscerare – qui il legame con la professione paterna è particolarmente azzeccato – il funzionamento interno di una mente e di un corpo inaccessibili dall’esterno. Molto interessante è il soliloquio riflessivo che riguarda il mestiere di macellaio e il rapporto trasformativo con le carcasse degli animali che diventano cibo, applicabile anche alla materia narrativa che diventa romanzo dato in pasto a un pubblico ignaro del lavoro spesso estenuante dello scrittore.
Cara bestia che arrivi già morta nelle mie mani, io ti seziono, ti riduco in cibo per altri umani come me. Stando al di qua del processo di cottura, quindi ancora nell’atavico, insieme a te. A questi umani non importa niente di come sei, di come eri o sei stata, di come ti muovevi, di come ti mescolavi ai tuoi pari nel gregge, nelle conigliere, negli allevamenti nazisti di polli. Quando a loro importerà qualcosa di questo sarà per motivi che non tocca a me discutere. Altri come me (a me è capitato raramente) prendono la bestia viva e l’ammazzano. Il resto segue e ne stiamo giusto parlando qui. Arrivi già morta ma non arriva un corpo morto, nemmeno se è congelato, arriva un corpo pieno di vita che finalmente brulica senza padroni o gendarmi che operano al vertice della piramide. Vita dei batteri infine liberati, come schiavi dopo il crollo dell’impero. Di virus, che nemmeno i batteri considerano viventi, virus feccia della feccia. Tutto questo clangore arriva portato a spalla o in casse, in bidoni, al mio esercizio commerciale, dove io, fingendo che ormai sei un cadavere asettico e senza vita, spargo insieme ai tuoi frammenti che ho macellato e lacerato tutta questa frenesia di vitalità che si è svegliata nei tuoi tessuti nell’alba dell’anarchia. Cuocete, clienti, cuocete, mi raccomando.
Dario Voltolini, Invernale, p. 48
La storia di Gino si dipana tra i vari, fulminei capitoli dalla struttura e prosa magistralmente controllata. Il lettore si rende velocemente conto che lo scopo dell’autore non è tanto restituire un ritratto a tutto tondo del personaggio-padre ma, piuttosto, cristallizzare delle scene e dei ricordi che, nell’economia di un montaggio emozionale, possano ricomporre un’identità che da fantasmatica si fa via via più concreta. Il trattamento narrativo della malattia devia intelligentemente dalla usuale narrazione mediatica che vede contrapposti i due assoluti (caricati moralmente di bene e male) dell’individuo in guerra con il nemico che lo attacca internamente. Una narrazione, questa, che, sebbene presenti una patina eroica facilmente strumentalizzabile, ha spesso il risultato di caricare ulteriormente (ed inutilmente) di responsabilità e significato il rapporto del malato con il proprio corpo, lo “sforzo” per “resistere” e “combattere” e a mistificare il ruolo e l’effettivo contributo di farmaci, medici, famiglia.
In Invernale, la malattia di Gino è un nemico ma contro il quale l’individuo come entità soggettiva è totalmente impotente e non può far altro che affidarsi a chi può affrontare questa lotta per lui: all’interno, dove il sistema immunitario fa il suo corso e fuori, dove i medici, umani e non infallibili, tentano di aiutare il corpo del malato. Anche il parallelismo, che pare ormai abusato, tra il lavorio del cancro che divora il corpo ospite e l’essere umano che sembra votato alla distruzione del pianeta in cui abita si colora di nuove sfaccettature grazie alla penna intelligente di Voltolini.
Un lavoro in un corpo che è il cantiere, l’ambiente. Il cancro ha evidentemente un progetto suicidario, perché quando vince crepa pure lui. In questo, sembra comportarsi come il genere umano rispetto al pianeta che lo ospita, insieme alle altre bestie che però non sembra abbiano lo stesso progetto. Noi invece, fatti a immagine e somiglianza di Dio, a differenza del lombrico, della gallina e della iena, vogliamo la fine nostra e del nostro ambiente con noi. Ogni giorno la cosa si manifesta con più chiarezza, è diventato un fatto di cui non si può dubitare.
Invernale, p. 81
È un fatto curioso e degno di nota che nelle ultime cinquine del premio letterario più importante d’Italia, almeno per il lettore generalista, si possano trovare libri compagni di Invernale per materia o intento ma dalle realizzazioni estremamente diverse. Il caso vuole che vincitore nel 2021 fosse stato Emanuele Trevi con il suo Due vite, ricordo personale degli amici e scrittori Pia Pera e Rocco Carbone, scomparsi rispettivamente per una malattia e un incidente stradale e proprio lo scorso anno il premio è stato assegnato, postumo, all’esordiente Ada D’Adamo per il suo Come d’aria, che intrecciava la propria malattia terminale al difficile rapporto con la figlia affetta da disabilità.
Questi tre libri sono molto diversi tra loro: dal modello delle vite parallele di Trevi, che si propone di immortalare due amici accomunati dalla scrittura, passando per quello ricco di pathos del memoir di D’Adamo, fino all’ultimo tassello della copiosa Opera di Dario Voltolini. Ciò che accomuna queste tre scritture, evidentemente di estremo interesse per la giuria e l’editoria che ruotano intorno allo Strega, è lo sforzo, titanico e necessariamente imperfetto ma connaturato alla letteratura di prolungare ancora per un poco, sfidando le leggi di natura, la vita che sfugge.
Dario Voltolini, Invernale, La nave di Teseo, 2024, 144 pp., 17 euro