Critica di Poesia,  Letteratura,  Premi Letterari,  Premio Viareggio Rèpaci

“I nomi” di Laura Pugno – Premio Viareggio-Repaci 2024

di Valeria Lamastra

Con la raccolta I nomi, edita per la collana i Venti de La nave di Teseo nel maggio 2023, Laura Pugno entra nella terna finalista del premio Viareggio Rèpaci per la poesia.

I nomi Laura Pugno

L’atto enunciativo cui il lettore assiste viene liricamente ribaltato: il perno dell’elaborazione del discorso è indubbiamente il tu, configurato come una seconda persona metamorfica e chiaroscurale, che assume vesti oscillanti tra la realtà e la concretezza della madre Anna, la mitologica Melusina, figura cara all’autrice, fino a istanze sfumate e collettive come i corpi, la mente, i nomi e i pronomi. 

La raccolta si compone di otto sezionii corpila parola fa questoAnna, dopo annile melusine, o poesia con dragoil quaderno dei vivipietra focaiala sondaardora

Per comprendere realmente l’impostazione dell’opera, il nodo fondamentale non va cercato in un sistema di personaggi, né nell’indagine spasmodica dei riferimenti dei nomi e degli individui: il motivo saliente della raccolta della Pugno si colloca proprio nel superamento dei limiti individuali nella relazione intessuta con il tu, con gli altri, con la natura e con il mondo, reale e metafisico. 

L’io perde di consistenza, non in un’ottica di negativa assenza, ma nell’orizzonte positivo di un progressivo indebolimento e abbandono della propria individualità nella coltivazione della relazione con l’altro e con la natura nel segno dell’amore, lingua che dà forma al mondo.

I nomi, spogliati dunque della loro costituiva forza identitaria, sono quelli dei corpi, delle menti, della natura con cui la propria personalità può e deve relazionarsi in modo da andare al di fuori di sé, oltre il proprio individualismo; i confini dell’io, del tu e dei pronomi in genere si sfumano («[…] e tu che puoi, o siete un voi, o ancora / un altro pronome»1; «Coincidiamo nel pronome, / per il nome, / il tu»2), così come le ricorrenze della solitudine, situazione costitutivamente individuale, vengono ugualmente rifratte da un apparente indecisione di genere («ora, da sola, da solo»3).

Nell’offuscamento dei contorni individuali si instaura la riflessione sui nomi intesi come parola poetica in genere, con particolare attenzione al legame con la parola amore.

La riflessione metapoetica

Fondamentale l’approfondimento consapevole della tematica metapoetica: la poesia è uno spazio ritualmente imprescindibile, in cui viene fatta emergere la questione del potere della parola. 

Sin dall’esordio, infatti, insieme all’emergere di diversi termini cardine dell’opera (la mente, i corpi, il tu, la luce e le stelle), compare la parola:

La mente crea
il tu dalle menti e dai corpi,
il tuo,
i tuoi,

il tu che è il bosco dove si nasconde
quello che non ha nome
ed è detto
luce, stella, con intermittente
il suo – perduto, perduto – 
codice Morse.

La sola lingua che conosci 
la forma che conosci come amore,
in uno,
assoluto,
assoluto.

Così ti parla, mente corpo
tra menti e corpi, e le parole – 
ogni tua parola – 
sono il nome d’amore e gli altri nomi del mondo.

I nomi, Laura Pugno, p. 11

In particolare, nonostante ci siano riferimenti sin dal componimento iniziale all’ambito della parola come strumento di contatto con il mondo e con l’altro da sé, la sezione la parola fa questo può essere davvero presa quale dichiarazione di poetica dell’autrice. 

La parola fa questo, diversamente dalle altre parti, si mostra come unicum testualmente coerente diviso in tre movimenti. La creazione poetica, nei suoi moti contraddittori di spinta e arresto, viene rappresentata nei termini di incontro con l’esterno, sia umano e corporeo, sia naturale acquatico e luminoso. Partendo dall’osservazione sensibile dei corpi nello spazio e passando per la solitudine contemplativa e riflessiva poetica, il tu si mostra consapevole dell’impossibilità di comprendere fino in fondo il discrimine tra la propria luce e quella dell’altro, e di questo scrive: «Il giorno dopo trovi queste parole, / pietra oscura, / pietra splendente.»4 Allo stesso tempo, tuttavia, a ogni moto di scoperta corrisponde il successivo proporsi di materia nuova e sconosciuta che fa cadere «come se non ci fosse altro bianco, / altro libro da scrivere»5.

Da tale premessa scaturisce una brillante e luminosa rappresentazione del moto creativo come necessario, in cui «le parole d’amore non significano amore, / significano / questo essere la terra»6, creando un nesso naturale che raggiunge l’acme nell’immagine di una lingua-oceano in cui nuotare e recuperare la parola poetica perduta già in esordio.

[…]
mentre il sole ci cambia, fa
di noi oro
e il nome del mondo,
dici,
è oceano,

nuoti fino a confonderti, fino
a non poter tornare,
la parola fa il gesto
parola, gesto

ripetilo come imparassi una nuova lingua,
la tua vera lingua,
che hai perduto.

I nomi, Laura Pugno, p. 28

Il nome, dunque, offre un oceano in cui nuotare e confondersi, superando la soglia dell’individualità strettamente personale per trascendere in un tutto naturale con il mondo e con l’altro. 

Il fatto che una simile possibilità sia offerta specificatamente, inoltre, dall’istituzione poetica quale luogo sacro di incontro tra autore e lettore singolo e collettivo, viene maggiormente esplicitato nelle sezioni Anna, dopo anni e le melusine, o poesia con drago

Nella prima sembra essere portato in primo piano il ruolo del lettore, come soggetto creatore della sacralità del testo poetico in quanto attivato dalla lettura, atto cui ci si può dedicare in qualunque momento: 

Il tempo è compresente, non c’è
prima o dopo – queste 
poesie scritte prima o dopo, l’una
prima o dopo l’altra, ma non c’è

prima o dopo, sono 
come il sole […]

I nomi, Laura Pugno, p. 40

In le melusine, o poesia con drago, invece, a essere messa in rilievo è l’attività creatrice, il dire poetico, che permette di superare la soglia metaforica e leggendaria dietro la quale si colloca la mitica ragazza-drago Melusina con «parole in tasca come noci»7: nel componimento che apre la sezione, la fortissima ripetizione in poliptoto del verbo dire sottolinea il compito dell’emblematica figura di Melusina, in grado di unire in un unico testo l’io, il tu e il noi, in una parola con la quale arriva quasi a fondersi eternamente.

Nome, parola, identità, luce

L’ambito della luce è presente e costante in tutta la raccolta, manifestandosi attraverso più sfere sensoriali: le parole sono dotate di «potere accecante»8 e il libro è fatto di «fogli e corpi e luci»9; la sensazione di differenza tra il sé e l’altro è percepita come una «luce-incendio»10, a metà fra la vista e il tatto; il sole, l’alba e il tramonto costituiscono momenti rilevanti di contatto con l’altro o con il trascendente della «divinità solare, dèi del giorno»11; la natura è tappezzata di lucciole, plancton, stelle e fenomeni come il mar de ardora, eponimo dell’ultima sezione, e a loro volta segnali metafisici; «i morti sono la luce del sole»12 e, allo stesso tempo, la morte è tale perché «non dà più calore»13. Il fuoco, fonte di luce, è caratterizzato dalla dimensione olfattiva e tattile, soprattutto nella sezione pietra focaia, anticipando il conclusivo concetto di ardora.

Il motivo luminoso è funzionale alla creazione di un immaginario tale per cui sia visibile la continuità naturale tra l’universo trascendente e immanente e a tratti divino e l’umanità dotata di parola. Congiuntamente, gli effetti di luce permettono il trasparire di momenti di oscurità, l’alone della morte, creando attimi di chiaroscuro esistenziale, in cui la convinzione di una possibile unione con la natura appare meno ferma.

Questo, ad esempio, traspare nelle immagini della mela e della falena nella sezione Anna, dopo anni: «Possono anche diventare cose: / mela dalla buccia lucidissima, / falena intorno a fiamma.»14; le due declinazioni di lucentezza possono essere benissimo strumenti di inganno, come la lucida mela avvelenata di Biancaneve o l’attraente ma letale fiamma per la falena. 

Un paio di componimenti dopo l’incertezza è rianimata in chiave trascendente, nello scetticismo indiretto nei confronti della luminosità degli dèi di cui la fonte enunciativa non ha realmente alcuna prova: «è luminoso, / come si dice che siano luminosi gli dèi, / tu che li hai visti?»15.

Tuttavia, nonostante occasionali momenti di dubbio, lo sviluppo del motivo di luce verte con sempre maggior vigore a caratterizzarsi in ottica positiva e di speranza.

Ne il quaderno dei vivi, ad esempio, nonostante le stelle vengano tolte di dosso «con un raschietto o un coltello»16 con il rischio di far uscire sangue, la «bava luminescente sulla pelle, / come l’oceano vivo con stelle»17 resta ben visibile, sottolineando l’impossibilità di un completo e voluto distacco dal tutto naturale. 

Già in pietra focaia, l’odore del fuoco e la potenzialità del fuoco nella pietra permettono il contatto con l’infanzia e creano un parallelo con le potenzialità espressive umane: «[…] Ma tu stesso / sei qualcosa che accenderebbe fuochi / solo ad averne conoscenza»18.

La sezione conclusiva, ardora, è quella che più magistralmente e marcatamente sfrutta le immagini di luce, unitamente alla ripresa dell’elemento acquatico usato in precedenza, per infondere e trasmettere la speranza fin qui costruita di contatto e apertura verso l’altro e la natura. 

I nervi, la mente, ciò che brucia,
al centro di ciò che sei
che hai tra le mani
quando stringi te stessa
a te stesso, il torace
fra le braccia. C’è una parola
in quest’altra lingua che parli,
ardora,
mar de ardora,
mare fosforescente:
vitaluce, vibrio Harveyi, alghe, plancton.

I nomi, Laura Pugno, p. 87

I paralleli uomo-natura, vita-luce sono completi: i nervi e la mente del tu, nell’atto di stringersi e congiungere le sue sfaccettature, bruciano, e l’unico modo per dare conto del nuovo sentimento provato è «quest’altra lingua» finalmente appresa, all’insegna della luce, che non può che dare conto del fenomeno in termini di luminosità tramite l’immagine del «mare fosforescente».

Nella sezione finale, i due elementi naturali cardine della raccolta, l’acqua e la luce, presenti in tutte le loro declinazioni, si uniscono in uno slancio vitale conclusivo, dando vita a un microcosmo naturale all’interno del tu:

Qualcosa abbaglia al centro 
Del corpo, nell’acqua
Interna del corpo, l’ardora
poesia che si scrive da sola
come questa ora, senza
che nessuno racconti le acque inondate
da una luce che è più acqua
dell’acqua stessa
e può inondarla perché contiene il sole.

I nomi, Laura Pugno, pp. 87-88

Anche la riflessione metapoetica riprende manifestamente forza: è la poesia, in questa svolta naturale travolgente, ad aderire pur mantenendo l’aggancio al principio di realtà, con tutto il suo portato chiaroscurale:

Inchiara, inventi
Questa parola, ciò che mantiene
Nella chiarezza una parte di oscuro,
ma tende al chiarore,
o che, nella chiarezza, ha conoscenza dell’oscurità

la poesia
la tua poesia,
s’inchiara, dici,

schiarisce, va verso il bagliore?
Verso,
dunque,
luce non oscurità?

I nomi, Laura Pugno, p. 92

In chiusura è proprio la poesia che inchiara a garantire il perseverare della forza poetica nel contatto con il mondo, con l’altro e con la natura; anche contro al rosso delle foglie e allo sfiorire autunnale, è il «bagliore-ardora»19 a riconferire forza vitale; per lo meno, questo è l’augurio e la speranza che il congedo esprime nei confronti di questa «poesia donata» all’insegna dell’amore per l’altro, per la natura. 


  1. Laura Pugno, I nomi, La nave di Teseo, Milano, 2023, p. 33 ↩︎
  2. Ivi, p. 35 ↩︎
  3. Ivi, p. 21 ↩︎
  4. Ivi, p. 22 ↩︎
  5. Ibidem ↩︎
  6. Ivi, p. 26 ↩︎
  7. Ivi, p. 48 ↩︎
  8. Ivi, p. 12 ↩︎
  9. Ivi, p. 13 ↩︎
  10. Ivi, p. 22 ↩︎
  11. Ivi, p. 35 ↩︎
  12. Ivi, p. 52 ↩︎
  13. Ivi, p. 60 ↩︎
  14. Ivi, p. 34 ↩︎
  15. Ivi, p. 36 ↩︎
  16. Ivi, p. 61 ↩︎
  17. Ibidem ↩︎
  18. Ivi, p. 71 ↩︎
  19. Ivi, p. 98 ↩︎

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Valeria Lamastra

Redattrice in Letteratura