Il problema dell’identità – Birdman, Mattia Pascal e Kees Popinga
Il travagliato rapporto tra l’identità del singolo e il mondo esterno è da sempre oggetto di analisi da parte delle più varie espressioni artistiche. Tre opere apparentemente lontane tra loro indagano questo tema complesso attraverso le figure di Kees Popinga, Mattia Pascal e Birdman. Che cosa ci possono dire un romanzo di Simenon, uno dei capolavori di Pirandello e un film da Oscar su un tema tanto importante?
Kees Popinga, un Mattia Pascal come tanti
La prima impressione che si ottiene di Kees Popinga, protagonista del romanzo “L’uomo che guardava passare i treni” di Georges Simenon, è quella di un uomo mediocre. Piuttosto benestante, stimato dai conoscenti e impiegato nel settore del commercio navale, è, a detta della moglie, un ottimo padre di famiglia. Apparentemente privo di peculiarità o vizi, l’uomo si concede come unico sfizio quello di giocare a scacchi il martedì sera al circolo. Talvolta, quando è stanco o sconfortato, si ripete che vive nel quartiere più pacifico di Groniga, ridente cittadina nei pressi di Amsterdam, in una casa ben costruita con una stufa di qualità eccelsa, in compagnia della “migliore qualità di moglie d’Olanda”. Nulla sembra turbare questa vita estranea a storture ed effrazioni, fino a quando il suo principale, nell’ebrezza dell’alcol, non gli confessa che la loro ditta è in bancarotta e che presto sarà costretto a emigrare all’estero sotto falso nome. Ciò che colpisce l’affarista è che, nel momento in cui il suo fedele dipendente Popinga apprende la notizia, non si dispera, anzi: per la prima volta si sente padrone di sé, libero di cambiare radicalmente la sua esistenza.
Dal punto di vista strutturale, le somiglianze della vicenda di Kees Popinga con quella del Mattia Pascal di Luigi Pirandello sono evidenti. Entrambi i personaggi sono prigionieri di quella che Pirandello stesso definisce “la trappola” del lavoro e della famiglia, ossia un’identità che incatena queste figure borghesi a una soffocante vita domestica e a una professione che non amano. Anche a Mattia Pascal è concessa un’inaspettata chance di abbandonare tutto ciò che lo opprime per ricominciare. Infatti, dopo aver appreso che nel suo paese lo si considera defunto per via di un equivoco, decide di forgiare una nuova identità fittizia sotto il nome di Adriano Meis. Purtroppo capisce presto che questa nuova forma presenta tutti gli svantaggi della precedente, perché è comunque costretto a recitare una parte che lo limita, ma senza i vantaggi di “un’identità normale”, riconosciuta socialmente: non può lavorare, sposarsi, denunciare un furto. Mattia decide dunque di rimpossessarsi del suo ruolo sociale.
Popinga invece conosce un punto di non ritorno. In seguito alla conversazione con il suo principale lascia Groniga e si dirige ad Amsterdam, dove in un eccesso di rabbia uccide, senza averne intenzione, una prostituta. Da questo momento, tutti i suoi sforzi saranno impiegati per sfuggire alla cattura da parte delle autorità. Giunto a Parigi in treno, è costretto a vivere nell’ombra e a vivere ormai non come rispettabile cittadino olandese, ma come ricercato. Anche lui al pari di Mattia Pascal deve fingersi qualcun altro ritrovandosi escluso dalla vita degli altri, dato che non può intrattenere rapporti stabili con un singolo individuo o soggiornare nello stesso ostello per il timore della cattura. Solo, intirizzito dalle innumerevoli ore trascorse a vagare senza meta nel freddo di Parigi, Popinga dovrebbe essere in preda all’angoscia, invece è sereno. Qui giace la sostanziale differenza tra le due figure: Popinga vive con entusiasmo l’emarginazione forzata che a Mattia pare costrittiva e limitante fino all’inverosimile. Come si spiega questo comportamento folle?
Il crimine e la paura di scomparire
Commettendo un omicidio Kees si guadagna lo status sociale di assassino, un riconoscimento, seppur tremendo, che Adriano Meis (Mattia Pascal sotto mentite spoglie) non può ottenere. Popinga si ritrova dunque ai margini del vivere comune solo in parte, perché in realtà tutti lo conoscono indirettamente come “il satiro di Amsterdam”. Paradossalmente, abbandonando la sua vecchia identità in favore di quella di criminale, la sua esistenza è diventata degna di nota. Sebbene sia costretto a nascondersi e a non rivelare mai la sua vera identità, sa di essere l’uomo del momento, l’astutissimo criminale di cui tutti parlano, temuto e forse anche segretamente ammirato dal commissario che dirige le indagini, Lukas. Mai si era sentito così importante: Kees si scopre non solo omicida, ma anche abile ladro d’auto e genio della fuga. Il crimine diventa così il suo passe-partout per uscire dalla mediocrità e diventare finalmente eccezionale agli occhi del prossimo.
“Come erano riusciti a indovinare che per lui era una sorta di vertigine, che si rassegnava a malincuore a rimanere uno sconosciuto nella folla, che talora provava il desiderio, specie quando incontrava qualcuno in una strada buia e solitaria, di esclamare a bruciapelo: «Ma lei lo sa chi sono io?»
Georges Simenon, L’uomo che guardava passare i treni
Tuttavia, non tutte le variabili della situazione sono sotto il suo controllo. Nonostante il suo impegno nell’eludere furbescamente le tattiche della polizia, dopo qualche settimana i giornali si disinteressano di lui, che nel frattempo ha esaurito le sue riserve di denaro. Popinga è sconvolto: farsi catturare è improponibile, ma anche tornare alla sua vita di prima lo è, perché le stesse strutture sociali che Mattia Pascal riconosce come antidoto ad un’esistenza spesa nell’ombra per Popinga rappresentano la sua riduzione a un numero. Ritorna in lui quella sensazione di vivere sospeso tra la certezza di essere speciale e l’intimo terrore di non contare nulla. L’unica via d’uscita sembra essere il suicidio, ma anche in questo Kees fallisce e viene catturato.
Birdman: l’alter-ego
La descrizione psicologica che Simenon traccia del suo antieroe ricorda quella di Riggan Thompson, personaggio principale di Birdman (2014), diretto da Alejandro G. Iñárritu. Riggan è un attore di Hollywood, noto esclusivamente per aver impersonato il supereroe Birdman in una trilogia di blockbusters degli anni Novanta. Anche lui lotta per lasciarsi alle spalle un’identità che lo soffoca, ovvero quella dell’attore fallito che resta aggrappato all’unico successo della sua carriera, e, per riuscire nel suo intento, decidere di dedicarsi al teatro. Con questo progetto Thompson vuole dimostrare di avere davvero il talento necessario per approcciarsi ad un palco di Broadway e per contraddire quella parte della critica convinta che lui sia una celebrità e non un vero attore.
Come Kees, anche Riggan vuole provare al mondo che si sbaglia sul suo conto e che lui vale molto di più di quanto gli altri riescano a vedere. Se però il conflitto interiore che ne “L’uomo che guardava passare i treni” è nascosto tra le righe del testo, in Birdman è esplicitato dalla presenza del supereroe, che tormenta Riggan assumendo le caratteristiche di una voce subdola e incessante. Birdman lo convince del suo scarso talento e tenta di persuaderlo ad abbandonare il teatro per tornare a interpretare il suo vecchio ruolo, quello di star di film commerciali. L’attore si trova dunque di fronte ad una scelta: restare ancorato al personaggio che tutti amano sapendo di esserne prigioniero oppure cambiare tuffandosi nel più pericoloso dei rischi, ossia quello di non essere più notati?
Il percorso di Riggan è, in certo senso, speculare a quello di Popinga. Il primo vive perseguitato da un passato di notorietà che tenta disperatamente di resuscitare, l’altro raggiunge la fama dopo una vita trascorsa nell’anonimato. Ciò che hanno in comune è il desiderio patologico di ammirazione che Giorgio Gaber sintetizza brillantemente in questi versi del brano “la parola io”:
“La parola io / è uno strano grido / che nasconde invano/ la paura di non essere nessuno/ è un bisogno esagerato/ e un po’ morboso/ è l’immagine struggente del Narciso/ io sono sempre presente, disposto a qualsiasi bassezza / per sentirmi importante devo fare presto / esaltato da questa mania/ di affermarmi a ogni costo/ mi inflaziono, mi svendo, io voglio essere il centro del mondo.”
Giorgio Gaber, La parola io
Nulla spaventa di più questi due personaggi dell’essere dimenticati: le loro vite, così diverse all’apparenza, somigliano a un’angosciosa lotta per l’approvazione altrui, una lotta contro il loro stesso ego da cui usciranno sconfitti. Anche Riggan infatti tenta il suicidio: secondo una delle possibili interpretazioni del finale ha un’allucinazione in cui si immagina tutto il successo dello spettacolo, l’amore del pubblico e tutto ciò che non è mai riuscito a ottenere per poi morire. Solo nella morte riesce a riappacificarsi con se stesso, diversamente da Popinga, che, dopo la cattura, trascorre il resto dei suoi giorni in un ospedale psichiatrico.
Tre storie e un finale
Le vicende di Kees Popinga, Mattia Pascal e Riggan Thompson, correlate tra loro per analogia o antitesi, rivelano la necessità imprescindibile di ogni individuo di costruirsi un’identità sociale: ciascuno di loro si definisce attraverso lo sguardo del prossimo, senza il quale la realtà perde di significato. Al contempo, i tre personaggi mostrano anche le pericolose derive di questo processo di affermazione di sé e tutti e tre ne pagano il prezzo con la morte.
Mattia si accorge troppo tardi di voler rivendicare il ruolo che aveva abbandonato e finisce a contemplare una lapide che riporta inciso il suo nome: egli oramai è il fu Mattia Pascal, Mattia Pascal è morto, non esiste più. Popinga compie il gesto estremo a causa della presunzione malata che gli fa credere di essere un individuo superiore a qualsiasi legge o costrizione: quando si accorge del contrario non vede alternativa al togliersi la vita. Infine Riggan Thompson viene ucciso da un meccanismo autodistruttivo che lo spinge a cercare l’approvazione altrui senza riuscire a ottenere la propria.
Queste narrazioni ci ricordano che l’uomo non può prescindere dalla considerazione altrui, positiva o negativa che sia. Al contempo offrono una riflessione sull’effettiva difficoltà del definirsi attraverso l’altro. Ognuno, come un funambolo, ricerca un faticoso equilibrio tra libertà e norma, tra salute e follia, tentando di riconoscersi con soddisfazione nello specchio posto nella mani di chi ci sta attorno.
Bibliografia:
Georges Simenon, L’uomo che guardava passare i treni, Milano, Adelphi edizioni, (1986)
Luigi Pirandello, Il Fu Mattia Pascal, Milano, Universale Economica I Classici Feltrinelli, (2013)
https://it.wikipedia.org/wiki/Birdman_(film)
https://www.arateacultura.com