I segreti di Stradivari – La scienza della musica perfetta
Dalla sua nascita nei primi anni del XVI secolo, alla Cremona di Amati, Stradivari e Guarneri, passando per le grandi scuole europee, fino ai tempi odierni, l’arte della liuteria è stata tramandata sapientemente di generazione in generazione di liutai, con la premura, però, di omettere alcuni segreti del mestiere che le grandi firme hanno preferito tacere, in modo tale da assicurare nei secoli una prestigiosa unicità ai propri strumenti.
Tuttavia, l’impronta che i maestri cremonesi del XVIII secolo ha ancora oggi sul lavoro dei liutai contemporanei si manifesta in ogni nuovo strumento costruito, dato che tutti i violini, viole e violoncelli moderni prendono forma dai modelli del passato.
Di fronte all’evoluzione del sapere, conseguenza implicita del passare dei secoli, che normalmente procede proponendo nuove idee e tecniche per apportare migliorie ai metodi del passato, viene spontaneo domandarsi cosa abbia alimentato così fortemente il mito degli strumenti di Stradivari & Co, tant’è che qualsiasi violinista, messo in condizioni di scegliere tra uno strumento antico di buona fattura e uno nuovo, avrebbe ben pochi dubbi su quale imbracciare.
La liuteria del passato e quella moderna
Il prestigio dato dai grandi nomi, il lontano anno di costruzione, la passione per il vintage e i prezzi stellari non sono gli unici fattori che hanno consacrato i maestri cremonesi del ‘700 come i migliori e più famosi liutai della storia. Il successo è, invece, principalmente dovuto alle insindacabili qualità sonore dei loro strumenti, che in fondo è l’ingrediente più importante quando si parla di musica.
In ragione di ciò, è interessante chiedersi come sia possibile che con i mezzi settecenteschi a disposizione dei liutai dell’epoca, chiaramente meno sofisticati di quelli odierni, gli strumenti prodotti da Stradivari & Co. siano fatti talmente bene che attualmente risulta difficile replicarne le virtù.
Constatato questo attaccamento imprescindibile ai maestri settecenteschi, l’arte della liuteria sembrerebbe funzionare in opposizione a quello che è il naturale processo di innovazione scientifica, il quale propone come fine ultimo il continuo aggiornamento e la modernizzazione delle competenze tramandate dal passato. Infatti, nonostante il progresso della tecnica e lo scorrere dei secoli, nell’arte del liutaio odierno rimane una sorta di morboso tentativo di rintracciare le abilità del passato, non curandosi dell’avanzata delle nuove tecnologie.
Con grande sorpresa, però, sono proprio quest’ultime che permettono agli studiosi di decifrare i segreti che i grandi maestri hanno tramandato solo attraverso esempi materiali, ovvero i loro strumenti, senza consegnare informazioni dettagliate a chi nel futuro avrebbe voluto imitarli. Lo studio scientifico di violini, viole e violoncelli diviene quindi imprescindibile per avvicinarsi il più possibile alla Cremona del 1700, cercando di estrapolare i segreti dei grandi liutai dai dati analitici che solo un approccio scientifico agli strumenti può fornire.
Il legno della cassa armonica
Se c’è qualcosa che, invece, non muta autonomamente con il passare del tempo, è il corso della natura. Un albero di abete del 1700 è pressoché identico a uno odierno della stessa età nato nello stesso bosco e cresciuto in condizioni atmosferiche simili, come confermano gli studi di tomografia computerizzata (CT Scan) effettuati per confrontare la densità del legno dei violini in campioni di diversi secoli. Questo per sottolineare che le differenze fra gli strumenti antichi e quelli moderni non hanno alcuna correlazione con la materia prima, il legno, l’elemento che in uno strumento ad arco ha la funzione di trasformare l’energia meccanica, prodotta dalla vibrazione delle corde, in energia acustica. Stessi materiali e stessi modelli, le caratteristiche che rendono eccellenti i violini di Stradivari e Guarneri sono quindi da ricercare altrove e lo studio scientifico si fa carico di trovare la giusta direzione di indagine, cercando di ricostruire il più fedelmente possibile il processo di costruzione e lavorazione degli strumenti nelle botteghe cremonesi.
Andando con ordine, è bene analizzare per prima cosa la cassa armonica, la componente acustica più importante del violino. Costruita principalmente in abete rosso e acero (salvo particolari eccezioni), deve resistere a più di 80 newton di forza che le corde tese esercitano attraverso il ponticello. La prima differenza che salta all’occhio tra i violini moderni e quelli antichi è lo spessore delle tavole. Per Stradivari è mediamente tra 2 e 2,8 mm, per Guarneri invece tra 2,2 e 2,9 mm, a differenza degli strumenti contemporanei in cui varia dai 3 ai 3,5 mm.
Avere una tavola più spessa riduce i rischi di rottura, ma allo stesso tempo scurisce il suono dello strumento a discapito della risonanza: è stato verificato infatti come strumenti più sottili migliorino le intensità sonore nella gamma 2-4 kHz rispetto alla gamma 4-6 kHz, aggiungendo brillantezza al timbro. Nonostante le tavole sottili, però, gli strumenti di Stradivari e Guarneri sono dotati di una grande resistenza e durabilità, tant’è che ancora oggi vengono ampiamente suonati, per la maggior parte dei casi senza alcun problema.
Sottigliezza e resistenza, due caratteristiche che fisicamente sembrerebbero mutuamente esclusive, come hanno fatto i liutai del passato a renderle conciliabili?
Manipolazione artificiale
La risposta è nella manipolazione artificiale del legno, possibile solo grazie all’abilità manuale e all’esperienza del liutaio. Recenti studi, infatti, hanno verificato la presenza di composizioni organiche e elementi chimici insoliti nel legno degli strumenti di Stradivari, Guarneri e Amati, introdotti attraverso procedimenti artificiali.
Dagli studi con raggi X e dalle risonanze magnetiche fatte agli strumenti è emerso un picco insolito di carbonili negli strumenti di Guarneri, sinonimo di una manipolazione delle caratteristiche di ossidazione spontanea del legno. Inoltre, confrontando i valori di assorbimento dei raggi X, il legno di Stradivari e Guarneri, prima di essere utilizzato, è stato lasciato al sole, come Stradivari stesso conferma in una lettera, oppure persino bollito o cotto al vapore.
Attraverso studi con lo spettrometro di massa al plasma accoppiato (ICP-MS), è stata rilevata la presenza di più di due dozzine di elementi chimici che il legno incontaminato dall’azione umana non ha. Sale, calcio, potassio, allume, sono solo alcuni dei possibili componenti delle soluzioni in cui i liutai cremonesi immergevano o cospargevano il legno prima di lavorarlo. Il sale evita che il legno si restringa a causa del clima troppo secco, l’allume è responsabile dell’irrigidimento del materiale e della solidità, il trattamento alcalino della calce riduce l’assorbimento dell’umidità e migliora la stabilità. Inoltre, nella successiva fase di essiccazione, sulla superficie sono stati probabilmente applicati conservanti fungicidi come borace e solfati di rame, ferro o zinco.
Da queste analisi si deduce quindi che la manipolazione del legno è complice di alcuni effetti sulle proprietà meccaniche dello strumento. Ad esempio, lo smorzamento vibrazionale può essere influenzato da cambiamenti nell’assorbimento e nello spostamento dell’umidità, che sono a loro volta dipendenti dalla rottura dell’emicellulosa del legno causata dagli additivi minerali. Quindi, non solo le differenze nella forma e nella geometria di un violino ne modificano le prestazioni, ma grazie alla scienza è stato verificato che i cambiamenti nelle proprietà meccaniche del legno sono, molto probabilmente, l’anello di congiunzione tra i segreti andati perduti dei maestri cremonesi e la perfezione acustica dei loro violini.
Stradivari oggi
La ricetta dei violini di Amati, Guarneri e Stradivari rimane ancora un mistero, ma ciò che, invece, la scienza è riuscita a spiegare è la loro immutata qualità nel corso dei secoli. La lavorazione del legno da parte dei liutai cremonesi è quello che ha reso immortale il suono dei loro strumenti: tavole sottili per far brillare il suono, ma estremamente resistenti grazie ai trattamenti applicati al legno.
Con questi dati alla mano, è giusto suggerire ai liutai odierni di trarre insegnamento da quello che suggerisce l’analisi scientifica, in modo tale da rendere i loro strumenti più simili a quelli di Stradivari & co, e quindi più performanti?
Per rispondere bisogna considerare, in primo luogo, che il tempo fa la sua parte, ovvero che l’invecchiamento del legno è un processo naturale non replicabile manualmente; d’altro canto, lo studio scientifico degli strumenti ha la possibilità di mettere in contatto i costruttori moderni con i più nascosti segreti delle botteghe settecentesche, rendendo così il liutaio odierno più consapevole di come operavano i maestri a cui i suoi strumenti sono ispirati. Perché quindi non approfittare di questi insegnamenti forniti dalle nuove tecnologie, che in fin dei conti hanno lo scopo di svelare i segreti della liuteria del passato?