I Ragazzi della Nickel – quando l’ingiustizia diventa sistema: un racconto potente ma già visto, abbastanza per l’Oscar?
Di Anna Maddaloni

“I ragazzi della Nickel” (Nickel Boys) è un’esperienza che s’insinua sottopelle, rivelandosi una scoperta interessante ma che lascia spazio a delle perplessità. Candidato ai Premi Oscar 2025 come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Non Originale, diretto da RaMell Ross e tratto dall’omonimo romanzo vincitore del Premio Pulitzer di Colson Whitehead, il film porta sullo schermo una storia ambientata nella Florida segregazionista degli anni ’60, ma che risuona con inquietante attualità nel presente. Il cuore pulsante della pellicola è l’ingiustizia razziale, un tema affrontato attraverso gli occhi di Elwood Curtis, un giovane afroamericano brillante e pieno di speranze che, a causa di un’accusa ingiusta, finisce rinchiuso nella Nickel Academy. Questo riformatorio, che si presenta come un’istituzione educativa, è in realtà una prigione travestita da opportunità, un luogo in cui violenza, umiliazione e sopraffazione sono la regola. Da questo momento, il film si trasforma in un viaggio infernale dentro un sistema che non ha alcun interesse a rieducare, ma solo a perpetuare la sua stessa brutalità.
Una delle intuizioni più efficaci di Ross è l’uso della soggettiva e del contatto visivo diretto tra i personaggi e la telecamera. Questo espediente costringe lo spettatore a immergersi completamente nella sofferenza di Elwood e degli altri ragazzi, eliminando ogni distanza tra chi guarda e chi subisce. Lo sguardo diventa una lama, una richiesta silenziosa di riconoscimento e di aiuto che, però, rimane inevasa. A tratti, tuttavia, questa scelta sembra troppo insistita, quasi un manierismo più estetico che funzionale. Se in alcuni momenti amplifica l’empatia, in altri rischia di distrarre, di rendere la messa in scena più costruita che naturale. Anche il ritmo del film è discontinuo: alterna momenti di tensione fortissima a sequenze più lente e riflessive che, pur avendo il pregio di dare respiro alla narrazione, a volte finiscono per spezzare il coinvolgimento emotivo.
Ciò che rende I ragazzi della Nickel un film potente è la sua capacità di raccontare il razzismo senza filtri, senza abbellimenti o semplificazioni. Qui non esiste una lotta tra buoni e cattivi nel senso tradizionale del termine, perché il vero antagonista non è un singolo individuo, ma un sistema intero. Il concetto di debito di nascita è centrale: Elwood e gli altri ragazzi neri della Nickel non stanno pagando per qualcosa che hanno fatto, ma per il semplice fatto di essere nati in un mondo che li considera colpevoli a prescindere. Il film mostra con lucidità disarmante come la discriminazione non sia solo nelle violenze fisiche, ma anche e soprattutto nella costruzione di una realtà che non concede loro alcuna possibilità di riscatto. Non importa quanto un ragazzo sia intelligente, educato, determinato: se è nero, il mondo troverà comunque un modo per schiacciarlo. Questa normalizzazione dell’ingiustizia è ciò che rende il film ancora più disturbante.
Tuttavia, per quanto il film sia efficace e necessario, c’è un aspetto che non può essere ignorato: la sensazione di già visto. Il cinema ha raccontato molte storie simili, e se da un lato è fondamentale continuare a parlarne, dall’altro I ragazzi della Nickel non riesce sempre a offrire una prospettiva nuova. Alcuni momenti risultano prevedibili, come se seguissero una formula già consolidata, e alcuni personaggi secondari appaiono più come funzioni narrative che come individui con una vera profondità psicologica. Il film colpisce, ma a volte sembra trattenersi, come se non volesse osare fino in fondo nel mettere in discussione anche le dinamiche più sottili e insidiose del razzismo.
Un altro elemento di grande forza è il contrasto tra progresso tecnologico e immobilità sociale. Negli anni in cui l’America guarda alla Luna e sogna il futuro, sulla Terra le ingiustizie rimangono le stesse, ancorate a pregiudizi vecchi di secoli. È un contrasto amaro e disarmante: possiamo mandare un uomo nello spazio, ma non siamo in grado di cambiare la mentalità di una società che continua a giustificare la violenza e la discriminazione. Questa riflessione emerge in modo sottile ma potente, lasciando una sensazione di sconforto che accompagna lo spettatore ben oltre la fine del film. Perché il punto è proprio questo: la società evolve, ma certe idee rimangono immutabili, radicate così profondamente da diventare parte della sua stessa struttura.
Il tema e l’impatto emotivo di I ragazzi della Nickel sono innegabili, e spesso gli Oscar premiano film che affrontano con forza e profondità questioni sociali rilevanti. La performance degli attori è intensa e la regia di RaMell Ross riesce a coinvolgere lo spettatore in modo crudo e viscerale. È un film che merita di essere visto, discusso e ricordato. Tuttavia, il cinema è fatto anche di innovazione e di capacità di raccontare storie in modi nuovi, e qui I ragazzi della Nickel mostra qualche limite. La narrazione, per quanto efficace, non si discosta molto da altri film che hanno trattato temi simili, e in un panorama cinematografico sempre più competitivo, potrebbe non risultare abbastanza distintivo per conquistare l’Academy.
Se l’Academy dovesse premiare il film, sarebbe soprattutto per il suo valore politico e sociale, per la sua capacità di tenere accesa l’attenzione su un problema che, nonostante i decenni trascorsi, resta ancora dolorosamente attuale. Ma se dovesse perdere, sarebbe forse perché non riesce ad aggiungere qualcosa di davvero nuovo al discorso sul razzismo sistemico. In un’annata con film più innovativi sul piano stilistico e narrativo, I ragazzi della Nickel potrebbe rimanere un’opera importante, ma non necessariamente la più meritevole di un Oscar.
Nonostante le sue imperfezioni, I ragazzi della Nickel è un film che lascia il segno. Non perché racconti qualcosa di inedito, ma perché ci ricorda che certe storie devono essere raccontate ancora e ancora, fino a quando non smetteranno di essere attuali. È un film che non fa sconti, che non offre facili soluzioni o catarsi consolatorie. Ci lascia con una domanda scomoda e dolorosa: se oggi viviamo in un mondo che si definisce più giusto e più libero, perché storie come questa continuano a risuonare con così tanta forza? E la risposta, purtroppo, è evidente.
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