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“I Calcagnanti” di Niccolò Moscatelli – Premio POP 2024

Un articolo di Francesca Manzoni

Il romanzo d’esordio di Niccolò Moscatelli, I Calcagnanti (La nave di Teseo, 2022) è sicuramente un’opera che, all’interno di un panorama letterario sempre più ricco di nuove proposte e di penne esordienti, è riuscito ad emergere, non solo vincendo, nel 2022, il Premio Calvino, ma riscontrando anche un ottimo successo tra il pubblico e la critica. 

Tra i favoriti al Premio Opera Prima 2024, il romanzo trasporta il lettore all’interno di un mondo che oscilla continuamente tra il vagamente storico e il fantastico, in una dimensione senza tempo, fatta sia di sovrani, duchesse e baroni, che dominano terre immense, cosparse da verdi pianure e montagne scoscese, sia di banditi mitologici, anarchici trasfigurati nel mito, che affrontano senza paura i potenti, con la volontà di sovvertirli. All’interno di questo ecosistema, in una locanda-bordello chiamata Casa della buona volontà vive Timoteo, un ragazzino, forse appena adolescente, che trascorre la sua vita ascoltando e leggendo le storie dei calcagnanti, moderni Robin Hood che mirano alla costruzione di un mondo nuovo, una società “senza baroni, senza re, senza signori”. 

A raccontare queste storie fantastiche, ricche di intrighi e superstizioni, popolate da streghe, sortilegi e animali fantastici, sono gli adulti che lo circondano, primo fra tutti fra’Gaetano, il cuoco del bordello, seguito poi dalla vecchia Pia, la Ninetta, Landolfo, e dai numerosi forestieri e amici che, giorno dopo giorno, si recano alla misteriosa locanda. Il mondo idilliaco, fatto di miti e sogni di gloria è destinato però a diventare realtà, proprio a causa di un omicidio: un gendarme del barone Raimondo (antagonista per eccellenza all’interno del romanzo) viene misteriosamente ritrovato privo di vita, dal protagonista, sulle rive del fiume Egro, nei pressi della locanda. Un evento, posto al centro del romanzo, ma anticipato fin dalle prime pagine, destinato ad affievolire sempre di più il confine tra finzione e realtà, trasportando Timoteo all’interno di quelle avventure sempre ascoltate e a lungo sognate.  

Una fiaba moderna: il mondo visto con gli occhi di Timoteo   

Niccolò Moscatelli, con I Calcagnanti scrive un romanzo che, senza utilizzare particolari artifici retorici o complessi espedienti narrativi, vuole, in primo luogo, giocare con lo sguardo del suo stesso protagonista. Il narratore infatti, all’interno dell’opera, pur configurandosi come extradiegetico, una terza persona estranea ai fatti, costruita con il compito di presentare dall’esterno il personaggio di Timoteo e il contesto socio-culturale in cui vive, non mostra mai segni di onniscienza e non fornisce mai una panoramica “assoluta” e razionale delle diverse personalità in gioco. Chi racconta si pone così in una condizione di vicinanza e sovrapposizione con il fanciullo, condividendo e raccontando, prima di svelarle, le sue paure e le sue ansie: quando, nel corso del capitolo dedicato alla festa dei morti, il giovane vede, nel buio della notte, immagini oscure e demoniache, il narratore le descrive in tutta la loro brutalità, come fossero realmente presenti sulla scena; per capire e razionalizzare questi fantasmi, sarà necessario che il protagonista, per primo, sveli gli inganni prodotti dalla sua mente, accantonando gli elementi fantastici e riportando il reale all’ordine prestabilito. 

Per le ragioni sopracitate, la scrittura di Moscatelli ricorda molto, e forse prende diretta ispirazione, da una tradizione fiabesca che trova le sue radici nelle raccolte dei fratelli Grimm e in tutta quella gamma di racconti popolari, tramandati nel tempo, di generazione in generazione. A raccontare la storia non è dunque un semplice narratore onnisciente, un deus ex machina che vede, dall’alto, la totalità del mondo, ma un vero e proprio cantastorie, che, atto dopo atto, attraverso un linguaggio familiare, ricco di proverbi e detti popolari, coinvolge il lettore, trasportandolo in un mondo senza tempo e narrando così le gesta del piccolo Timoteo, diventato calcagnante e pronto a vivere mille avventure. Ogni capitolo, a riconferma di quanto detto in precedenza, è preceduto da un brevissimo riassunto, una piccola anticipazione di quanto si sta per leggere: l’obiettivo è quello di creare, nel lettore, l’illusione di un sipario che si apre e si chiude al termine di ogni capitolo, come fosse al cospetto di uno spettacolo di burattini, o una fiaba declamata in una piazza o in una corte d’altri tempi.  

Capitolo primo

nel quale si fa conoscenza con gli abitanti di una certa casa, un frate e una devota litigano in cucina, e un’orfana racconta la sua triste storia”

Anche dal punto di vista dello sviluppo narrativo, analizzando la storia come pura sequenza di eventi, è possibile trovare un riscontro con le morfologie tipiche della fiaba tradizionale: il protagonista, a causa dell’intervento di forze malvagie (il barone Raimondo, unico antagonista) è, in principio, costretto ad allontanarsi dalla casa natale; spinto alla fuga si trova costretto ad affrontare una serie di prove di coraggio, sempre affiancato da un fedele aiutante (Landolfo) che lo sostiene e lo supporta, indicandogli la via. Al termine della vicenda, il protagonista trova la forza e il coraggio per affrontare il nemico, emergendo, in qualche misura, come vittorioso e libero. Non mancano, ad arricchire l’intreccio fiabesco, una giovane fanciulla di cui Timoteo si innamora (Miranda, la figlia del barone Raimondo) e l’amico di una vita da salvare (fra’Gaetano condannato a morte per l’omicidio di un gendarme). A chiudere il romanzo è infine il più canonico dei topos: “E vivremo felici e contenti, concluse Ottofrido, finché non ci sotterreranno.” quasi a voler, esplicitamente, chiudere un cerchio e marcare, ulteriormente, il ruolo che investe il narratore, quello di un abile, moderno, cantastorie . 

Quando la fiaba trasfigura la realtà: un viaggio tra verità e fantasia  

La componente fiabesca, pur configurandosi come il nucleo da cui si dipana l’intera narrazione, non è l’elemento di maggior originalità all’interno del romanzo: sul mondo fantastico alla “c’era una volta” si innestano infatti tematiche più complesse, che raccontano il sogno anarchico di uomini e donne disposte a tutto pur di porre fine ai soprusi dei potenti. I calcagnanti di Moscatelli sono un gruppo avverso al potere, ancora in grado di sognare quel mondo utopico fatto di collaborazione e redistribuzione delle ricchezze. Il cliché del buon principe e del bandito cattivo viene qui sovvertito drasticamente, mostrando come la dittatura monarchica di baroni e duchi, sia l’antagonista per eccellenza e chi combatte per sovvertirla, anche contravvenendo alla legge, sia l’eroe. 

È questo il paradigma con cui Timoteo viene cresciuto ed è questa l’unica realtà che il giovane fanciullo ha conosciuto e imparato a difendere a spada tratta. La fiaba, in questo caso, non è solo la struttura narrativa che sorregge il romanzo, ma è anche la materia di cui il protagonista si nutre, giorno dopo giorno, all’interno della Casa della buona volontà. La letteratura è il nettare con cui si alimentano gli ideali, uno scrigno di sogni e di aspirazioni che, grazie alla fantasia, sono libere di realizzarsi e permettono di coltivare l’illusione di un mondo perfetto, dove a vincere è sempre una giustizia assoluta, perpetuata dai buoni (i banditi) ai danni dei cattivi (i potenti).

Ben presto però, con il ritrovamento del corpo esanime di un gendarme e con l’arresto di fra’Gaetano, Timoteo si trova a dover vestire i panni dell’eroe, a diventare lui stesso il protagonista di una fiaba, con l’obiettivo di portare in salvo un vecchio amico e maestro di vita. La realtà in cui il giovane fanciullo si trova a vivere si fonde con il fantastico, rendendo l’illusione di miti passati il motore per l’azione, l’arma con cui sconfiggere i sentimenti umani della paura e della solitudine. Anche in questo caso, proprio quando il lettore si aspetta un risvolto moralistico, capace di portare il ragazzo verso la disillusone del reale, ecco che Moscatelli sorprende ancora, evitando ogni forma di banalità moraleggiante e mantenendo salda, negli occhi di Timoteo e di chi gli sta attorno, l’illusione della fiaba. Neanche la visione di una guerra sanguinaria, neanche al cospetto dell’insensatezza della morte il protagonista perde il contatto con il mito: il suo sogno, le sue fiabe, i suoi ideali, sono più forti di ogni contingenza terrena.

Timoteo, e forse anche le persone che lo circondano, non sono altro che moderni Don Chisciotte, incapaci di cogliere la differenza tra realtà e finzione e, soprattutto, figli di un ideale di giustizia tanto nobile quanto impraticabile, anche in una realtà fantastica e finzionale come quella in cui sono immersi. Allo stesso tempo però, analizzando bene il romanzo, è possibile constatare come il narratore, e l’autore insieme a lui, non miri a ridicolizzare queste figure, mettendo invece in luce il fascino che illumina i calcagnanti, figure capaci di lottare, fino alla morte per un ideale, per un valore, per una giustizia comune, senza mai essere disposti a cedere. La letteratura, all’interno di questa complessa equazione è da un lato ingannatrice, ma dall’altro offre, alle persone che la interiorizzano e la vivono, quella forza cieca che permette di perseguire i propri folli ideali, senza smettere mai di sognare e di lottare per un mondo più libero, e dunque migliore. 

Gli ingredienti del successo: il romanzo controcorrente di Niccolò Moscatelli

Prendendo gli elementi sopraccitati, e inserendoli all’interno del panorama letterario contemporaneo, risulta spontaneo vedere in essi gli ingredienti fondamentali per un romanzo di successo. Dopo anni in cui l’autofiction e l’autobiografia hanno dominato il mercato, lasciando poco spazio ad altri generi e stili, ecco che Moscatelli scrive un romanzo controcorrente, capace di creare una storia fiabesca, lontana dall’immaginario comune, utilizzandola come mezzo per portare alla luce alcune riflessioni senza tempo, a partire da quella dolce illusone portata dalla letteratura arrivando ad ammirare il coraggio dei Calcagnanti, figure mitologiche (ma non troppo) che ancora riescono a credere, ciecamente, nei propri ideali. 

Se, nell’oggi, l’atto stesso di utilizzare la fiaba e il mondo fantastico è sinonimo di superficialità, ecco che Moscatelli regala al lettore un romanzo in grado di sovvertire il pregiudizio, una storia di un romanticismo eroico senza tempo, capace di emergere prima di tutto per la sua originalità. La necessità di rincorrere un ideale, per quanto utopico, prende vita grazie ad un fanciullo, il piccolo Timoteo, che, non accettando di farsi corrompere dal reale, continua a sognare un eroico destino, spinto all’azione da quella letteratura che in un primo momento è solo immaginazione, ma diventa poi, la forza con cui sopravvivere alla brutalità del reale. 

La letteratura chiede al suo lettore di credere in ciò che sta leggendo, e, proprio come Timoteo, anche a noi, attraverso le avventure dei Calcagnanti, è data l’opportunità di tornare a sognare, e, anche se solo per sei capitoli, a credere in tutti quegli ideali di gloria, bellezza e libertà, che non la nostra società non riesce più a raccontare. 


https://lanavediteseo.eu/portfolio/i-calcagnanti

Francesca Manzoni

Redattrice di Cinema e Letteratura