Ferrovie del Messico, di Gian Marco Griffi
Di Ferrovie del Messico (Laurana, 2022) si è già parlato molto, sicuramente più di quanto autore e casa editrice avessero preventivato al momento dell’uscita del volume. Da un’iniziale tiratura di poco superiore alle cento copie, collocata all’interno della collana di narrativa sperimentale fremen dell’editore milanese Laurana, al momento le vendite eccedono le ventimila in una dozzina di ristampe: tutto ciò in poco meno di un anno. L’etichetta di “caso editoriale” per questo volume di più di 800 pagine, che scorrono con piacevole intelligenza e ironia, è già stata abusata; d’altronde quando ogni libro considerato underdog o esordio già dato per spacciato si ritaglia una fetta di pubblico non indifferente, meglio se fuori dal circuito delle major dell’editoria, si è subito pronti a gridare al miracolo.
Ciò che di quasi miracoloso c’è, nella ricezione di Ferrovie del Messico, è la grande vittoria del passaparola tra lettori attraverso la disintermediazione permessa dall’ e-commerce, che ha contribuito, di concerto con l’entusiasmo delle librerie a consegnare questo librone nelle mani dei suoi moltissimi lettori. Il tomo di Laurana ha preso il volo, arrivando davanti agli occhi di Alessandro Barbero, storico e romanziere, il quale lo ha proposto per il Premio Strega ( vinto da Barbero nel ‘94, per l’esordio narrativo ambientato durante le guerre napoleoniche, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, Mondadori). In attesa del giudizio dello Strega, il romanzo di Griffi si è guadagnato il prestigioso titolo di libro dell’anno 2022 per la trasmissione radiofonica Farenheit.
Ferrovie del Messico merita di essere candidato al Premio Strega per la novità, e l’ambizione, del concetto e della trama, come per la qualità della scrittura: il romanzo è scritto in una lingua versatile e mutevole, spesso apparentemente orale ma in realtà letteratissima, che attinge a tutte le risorse dell’italiano, delle parlate regionali, dei linguaggi specialistici, e financo a gerghi furfanteschi e fantastici.
Estratto dalla presentazione di Alessandro Barbero per la candidatura al Premio Strega
Nella dozzina del premio più prestigioso e controverso d’Italia c’è spazio, dunque, anche per il romanzo storico in cui Griffi narra le avventure picaresche di Cesco Magetti, soldato repubblichino nel Piemonte degli ultimi due anni di guerra, incaricato dai superiori di consegnare una mappa dettagliata delle ferrovie messicane, ritenuta fondamentale dalla catena di comando che sembrerebbe risalire a Hitler in persona per la vittoria dell’Asse.
Il viaggio rocambolesco di Cesco, attanagliato dal mal di denti – il suo dentista di fiducia si è disgraziatamente unito alla resistenza ed è stato catturato- e da un’inettitudine apparentemente incurabile, non si spinge mai oltre i dintorni di Asti ma la esplora in lungo e in largo, tracciando una precisa topografia sentimentale che include anche questo borgo nel novero dei luoghi della letteratura.
Il protagonista è alla costante ricerca di un libro, una storia “poetica e pittoresca” delle ferrovie messicane, che sembra essere l’unica fonte da cui poter ricavare le informazioni necessarie senza doversi recare in Messico. Cesco, che sa a stento dove si trovi il Messico, e non parla una parola di spagnolo, prova a reperire invano il volume in biblioteca, trovando invece l’amore per la bibliotecaria Tilde. Da qui, la ricerca a ritroso per rintracciare i possessori del libro si traduce nella missione della vita per Cesco, una vera e propria quête cavalleresca che gli farà conoscere luoghi angoli nascosti e oscuri della sua città e intrecciare la propria vita a numerose altre.
La trama di Ferrovie del Messico è tutta qui e presenta i crismi di una bildung del protagonista, il quale, impegnato nella ricerca dell’agognato obiettivo che si sposta comicamente più in là ogni volta che gli si avvicina, incontra l’amore, personaggi che lo faranno crescere e maturare consapevolezza di sé e del suo ruolo di malcapitato eroe della vicenda. Cesco conoscerà gli strambi guardiani del cimitero, ex costruttori di ferrovie e ora impiegati nella catalogazione e bollitura di cadaveri per il Reich, attraverso sofisticati congegni retrofuturistici; gli avventori dell’osteria clandestina l’Aquila agonizzante; colleghi fascisti da barzelletta e ufficiali nazisti tarantiniani. Tutto ciò sostenuto da una prosa accattivante, sempre in bilico tra ironia e lirismo.
L’intelligenza di Gian Marco Griffi sta proprio nell’aver confezionato un bel romanzo d’ avventura per il grande pubblico, non privo di dignità letteraria e di inserti citazionistici che strizzano l’occhio al postmodernismo e al concetto di opera-mondo pur non appartenendo veramente né all’ una né all’altra categoria. La ricostruzione della Asti del 1944-45 funziona senza risultare pedante, il percorso di maturazione del protagonista verso l’antifascismo non scade nella banalità dell’esito obbligato, anche quando a tratti il tono si fa vagamente moraleggiante. La pluralità di personaggi è ben gestita e il centro della narrazione rimane saldo, non indugiando troppo nella tentazione del romanzo corale. Le vicende di Cesco si susseguono ben concatenate come nel Pinocchio collodiano, alcune sono vere e proprie vignette comiche, altre sono volontariamente cariche di pathos sempre a rischio di frangersi sulla realtà grottesca dell’Italia nazifascista sotto i bombardamenti.
Se parte della critica si è fermata ad elencare affinità e divergenze tra Ferrovie del Messico e vari autori di romanzi-fiume o romanzi-mondo (Wallace, Bolano, Gadda), fuorviata o fomentata dalla postfazione di Marco Drago, che – indirettamente – presenterebbe Griffi come il Thomas Pynchon italiano; un’altra parte si è invece concentrata sulla natura di outsider di Gian Marco Griffi, autoproclamatosi scrittore del lunedì (il suo giorno libero dal lavoro presso un golf club di Asti). Griffi è alla sua terza prova narrativa, dopo il romanzo Più segreti degli angeli sono i suicidi (Bookabook, 2017) e i racconti di Inciampi (Arkadia, 2019), tra i quali erano apparsi in nuce alcuni episodi rielaborati in Ferrovie del Messico.
La rete di sottotrame che si dipana dagli incontri di Cesco si sviluppa in capitoli paralleli alla storia principale, in cui cambia la focalizzazione e si dà voce a pensieri di altri personaggi; con alcuni salti temporali, sperimentazioni stilistiche e racconti nel racconto. Gli episodi oggetto di queste digressioni sono però sempre in un rapporto di contiguità con la vicenda principale e vengono generati dal contatto del protagonista con un oggetto o un personaggio narrativamente rilevante: la menzione del manoscritto sulle ferrovie messicane genera la sottotrama dell’autore del libro e del racconto contenuto nello stesso manoscritto, l’innamoramento di Cesco per Tilde permette al lettore di accedere ai ricordi di lei, eccetera.
La mole non indifferente del libro non si traduce mai in complicazione fine a se stessa ma permette all’autore di esplorare una vasta gamma di situazioni e variazioni tonali godibile e ben calibrata; pur rimanendo fedele alla linea di lirismo ironico (o ironia lirica) alla quale si sottopone l’intera opera.
Per concedere la dignità che merita all’opera di Griffi, che non pretende di raggiungere le vette di complessità interpretativa e narrativa dei sopracitati mostri sacri, si consiglia di approcciarsi al volume senza troppi rovelli intellettuali, facendosi guidare dalla prosa matura e divertita dell’autore, sorvolando momentaneamente il citazionismo (che pure è presente e manifesto, nella continua evocazione di Borges, nella ben riuscita scena della partita di golf che richiama il tennis in David Foster Wallace, il complottismo di Pynchon oppure le poche e belle pagine in cui Griffi sguinzaglia il plurilinguismo) e apprezzando un ottimo libro, che riesce nel suo azzardo di divertire e appagare il palato letterario narrando la storia di un ferroviere e del suo viaggio impossibile nel Messico senza mai lasciare la provincia del proprio borgo natio.