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Eshkol Nevo e Nanni Moretti, «Tre Piani» – L’arte di comprendere se stessi

Il 23 settembre 2021 è uscito in tutte le sale cinematografiche “Tre Piani”, l’ultimo attesissimo progetto di Nanni Moretti. Presentato in concorso alla 74ª edizione del Festival di Cannes, l’anteprima (con la seguente standing ovation di 11 minuti), ha incrementato ulteriormente l’aspettativa e la curiosità del pubblico. 

Locandina del film Tre Piani, Nanni Moretti 2021

La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, tradotto ed edito nel 2017 dalla casa editrice Neri Pozza. 

Copertina di E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015

Non è la prima volta che Nanni Moretti si cimenta nell’adattamento cinematografico di un successo letterario: nel 2008 aveva curato la sceneggiatura di “Caos Calmo” (2008) trasposizione dell’omonimo romanzo di Sandro Veronesi. Nel 2021 la sfida è quella di portare sul grande schermo un romanzo ebraico, che inevitabilmente riflette una cultura differente da quella del regista: se l’opera narrativa è fortemente inserita nel contesto sociale e culturale della periferia di Tel Aviv, l’adattamento è ambientato nell’Italia contemporanea, che poco assomiglia alla configurazione sociale fortemente voluta dallo scrittore. 

A prescindere dal giudizio (positivo o negativo) che inevitabilmente la visione del film procura nel pubblico, il romanzo di Eshkol Nevo è tagliente e luminoso come un diamante: tre personaggi, tre storie, tre piani di una palazzina sono metafora di un significato e una morale universalmente riconoscibili.  

La struttura del romanzo

“Tre Piani” è un romanzo estremamente originale, non solo per la minuziosità con cui ogni snodo che compone l’intreccio narrativo si presenta come perfettamente coerente alla totalità della trama, ma anche perché, leggendo, si ha la sensazione di non aver mai visto nulla di simile. Eshkol Nevo riesce a mettere in scena tre micro-drammi familiari, “confessati” in prima persona dagli stessi protagonisti: insieme all’autore saliamo le scale di una palazzina e origliamo, in silenzio, tre storie, al termine delle quali scopriamo il senso del viaggio.

Dal punto di vista strutturale, il romanzo si sviluppa linearmente: fabula e intreccio tendono a coincidere, con l’eccezione di flashback e digressioni che si configurano come necessarie nel fornire un apporto realistico all’atto stesso del raccontare. Il lettore diventa quindi un uditore “unilaterale” della storia: non ci è concesso conoscere l’interlocutore, sappiamo il suo nome, il legame con il protagonista, ma ci è precluso il suo “punto di vista”. Proprio per questo motivo è corretto parlare di confessioni dell’anima, nel senso cristiano del termine: un ossessiva ricerca di indulgenza e di remissione del peccato commesso, una sofferenza spirituale accompagnata biunivocamente dal bisogno di raccontare e dalla paura di essere giudicati dall’onnisciente ascoltatore. 

Tre piani, la struttura tripartita di un’unica anima.

Il romanzo è scandito da 3 capitoli indipendenti in cui tre protagonisti (Arnon, Hani e Dovra) residenti nella stessa palazzina nella periferia di Tel Aviv, confessano come determinati eventi traumatici abbiano sconvolto non solo la monotonia della quotidianità tipica del ritratto familiare medio-borghese, ma anche la stabilità dell’anima, portando alla luce tutte quelle sfaccettature della loro interiorità che non credevano di possedere. La metafora del condominio presuppone dunque una duplice linea interpretativa: una di carattere antropologico e sociale, l’altra di carattere filosofico e psicologico. 

Primo piano

Il romanzo si apre al suo lettore con la voce di Arnon che confessa a un amico, in un’unilaterale forma dialogica, una vicenda che è stata capace di sconvolgere, nella maniera più assoluta, la sua stabilità. L’uomo è infatti divorato dal pensiero che Hermann, anziano vicino di casa del protagonista, abbia abusato della figlia Ofri. Il timore diventa presto un’irrefrenabile ossessione, destinata a condurre Arnon verso la perdita della ragione: la violenza animale prende il sopravvento sulla razionalità, rompendo quel fondamentale equilibrio tra istinto e intelletto che definisce l’uomo come tale. 

Ho avuto dei pensieri dopo che è uscita dalla macchina. Non li vuoi sapere. Pensieri brutti. Pensieri di quelli che appena partono li vorresti fermare ma non ci riesci. Non ci riesci. Un loop dal quale non ti liberi più. Non ce la fai. Pian piano ti riempiono tutta la testa. Alla fine non c’è più spazio per nient’altro

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.66

Per quanto riguarda la linea di carattere filosofico e psicologico questo primo piano è allegoria del primo dei tre componenti della teoria freudiana della personalità: L’ES (o ID). Tale componente si identifica con gli istinti primari, intesi come quelle pulsioni di carattere primordiale (nel caso del protagonista la sfera dell’erotico e dell’aggressività mossa dall’odio). Arnon, nel corso della vicenda narrata, tenta di uccidere l’anziano vicino (ormai morente in ospedale) e tradisce la moglie con la nipote adolescente di Hermann: tali tendenze emergono gradualmente fino ad esplodere in una totale perdita del controllo, talmente inconscia da sfuggire anche alla comprensione del protagonista stesso. 

Secondo piano

Evidentemente, ciascuno di noi può sopportare una certa quantità di solitudine. Mi ero dimenticata che io, in particolare, a causa della mia storia familiare, devo stare in guardia. Sono sprofondata troppo in me stessa, è arrivato il tempo di cominciare a tirarmi fuori

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.155

Senza neanche accorgersene, quasi di sfuggita, l’inconsapevole lettore sale al secondo piano, trovandosi immerso in una nuova vita, quella di Hani. La protagonista questa volta non parla “direttamente” con una persona della sua vita ma scrive una lettera a Neta, un’amica di vecchia data. La storia è quella di una donna prigioniera in una solitudine autoinflitta: il ritratto è quello di una casalinga, madre di due figli, con un marito, Assaf, sempre in viaggio per lavoro. Ossessionata dai fantasmi della pazzia, che in passato si erano impadroniti della mente materna, Hani perde il contatto con la realtà: ciò che è accaduto sfuma nell’immaginario. Come sul ciglio di un burrone la donna si aggrappa alle certezze della sua vita, cercando disperatamente di non precipitare.

Mi è successo più volte quest’ultimo anno. Sempre quando Assaf era in viaggio. Sempre a notte fonda. Dopo che i bambini erano andati a dormire. All’inizio sento una voce stridula che mi chiama: Ha-ni. Ha-ni. Allora esco in balcone e vedo il barbagianni. Sai com’è fatto? L’uccello con il muso bianco a forma di cuore. Mi guarda e parla. Con voce di donna. Di me dice cose brutte. Sul mio modo di essere madre

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.146

Il senso di insicurezza pervade la protagonista (che nei momenti di solitudine ha strane visioni, dominate da barbagianni parlanti): la sua ansia si inasprisce quando alla sua porta bussa il cognato Evatar, latitante in fuga dalla polizia e dai suoi creditori. L’uomo, ospitato per pochi giorni dalla donna, appare come l’antidoto perfetto alla solitudine: la sua disponibilità, l’affetto mostrato verso di lei e i bambini, l’attitudine all’ascolto mettono in crisi le poche certezze rimaste ad Hani, spingendola verso il desiderio di adulterio (mai però concretizzatosi).

I demoni però riappaiono: 

Anche con te mi ci è voluta un intera lettera per vuotare il sacco. E adesso che lo sto vuotando non so bene come spiegarti la sensazione senza sembrare, bé, fuori di testa. È un po’… un po’ come sognare da svegli. Ma non ha niente di piacevole. Non è affatto piacevole non sapere se quello che è appena avvenuto è successo davvero o no. E la parte più spaventosa è che, dopo la partenza di Eviatar, sull’albero è comparso un secondo barbagianni

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.147

In questo caso l’allegoria psicanalitica si sposta sull’IO e in particolare sul “principio di realtà” attribuito ne Al di là del principio di piacere (1920) all’IO stesso. Per Freud l’IO è una delle tre parti dell’apparato psichico: nel suo essere conscia e inconscia essa all’inizio della vita si basa sull’espressione della consapevolezza, da parte dell’infante, di esistere come una persona indipendente dall’altro. Con il raggiungimento dell’età adulta l’IO diventa capace di compiere un “esame della realtà”, ossia di esaminare il mondo esterno comprendendone i molteplici significati. 

Il compito dell’IO è quello di fronteggiare sia l’ES, rappresentativo degli impulsi e delle passioni, sia il SUPER-IO, rappresentativo di tutta una sfera di limiti di carattere sociale e morale, correlati alla nostra coscienza e imposti dalla realtà. Il suo ruolo è essenzialmente quello di un mediatore tra due estremi: regola nel suo essere le pulsioni e le esigenze sociali, cercando di conciliare due istanze in conflitto.

Hani rappresenta l’IO poiché la sua storia è quella di un dissidio interiore: in prima istanza esso si identifica con un costante esame della realtà, esplicato dalla continua ricerca di conferme riguardanti tutto ciò che la circonda; in secondo luogo è la lotta tra la morale (il rispetto dei doveri coniugali) e la passione (l’attrazione per il cognato Evatar).  Tale equilibrio resta ed è destinato a rimanere precario, portando il lettore verso la sospensione del giudizio: non è infatti possibile dare una definizione univoca di Hani, ma resta solo da chiedersi se la donna sia “folle” o semplicemente “umana”.  

Terzo piano

“Ti percepisco in ogni angolo. Sento i tuoi passi dietro di me. Una gamba leggermente più lunga dell’altra. La notte, mi allungo verso il tuo lato del letto. Ti cerco. Mi parli nella testa mentre guardo la televisione. Esprimi la tua opinione, generalmente negativa sul livello del programma. Per mesi, dopo che te ne sei andato, ho continuato a comprare cetrioli sott’aceto. Sì, ti trovo anche in cucina. Il tuo odore, l’odore del tuo corpo, improvvisamente si fa strada, senza preavviso, tra gli effluvi delle pentole. A volte per errore apparecchio ancora la tavola per due. Quando esco, ti saluto in cuor mio. E rientrando, in cuor mio ti saluto. Ancora più tremendi sono i momenti in cui non ti sento più. Momenti che ultimamente si sono moltiplicati. D’un tratto non riesco a ricordare la forma delle tue orecchie. Riesco a risolvere uno dei tuoi cruciverba criptici senza di te. A sturare il lavandino senza di te. Allora sento il vuoto dove prima c’eri tu. Sento che questa casa è vuota dove prima c’eravamo noi. E se ci rimarrò mi cattureranno le tele di ragno della tua morte; mi si tessono intorno e finirò per morire come un insetto.” 

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, pp.183-184

Al termine del viaggio, il lettore giunge al terzo e ultimo piano, dove è guidato nell’ascolto dalla voce di Dovra, un giudice in pensione che si racconta alla segreteria telefonica del defunto marito Michael. La vicenda è caratterizzata da potenti flashback che riportano a un trauma passato, capace di tramutarsi in un doloroso “demone” nel presente. Il suo unico figlio, Arad, dichiarato colpevole di omicidio stradale, decide di allontanarsi drasticamente dai genitori, addossando loro la colpa di tutti quei traumi che avevano condotto al tragico epilogo.

Il rapporto del ragazzo con la figura paterna viene descritto come conflittuale, caratterizzato da una profonda e radicata incomunicabilità: la violenza di Arad nei confronti del genitore si identifica come un inscindibile punto di non ritorno. Sarà proprio questa distanza a portare Dora verso il suo più grande rimpianto, quello di aver scelto Michael, suo marito, abbandonando così ogni possibilità di ricongiungimento con il figlio.

Guardando in televisione le proteste contro i prezzi delle case, Dovra decide di unirsi alle manifestazioni: in questo frangente incontra Avner, un uomo misterioso che si rivelerà essere il padre della moglie di Arad, da poco diventato padre. Il ricongiungimento doloroso tra madre e figlio è quell’espediente necessario a Dora per riprendere il controllo della propria vita, per ritrovare in essa uno scopo e un senso, oltre che, inevitabilmente, un riscatto. 

Se c’è una cosa che le ultime settimane mi hanno insegnato, è che le persone sensate non esistono. E nemmeno le azioni sensate. Esiste solo l’azione che una persona specifica, in un momento specifico, deve compiere.

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, pp.252-253

Dora rappresenta infine la terza istanza psichica in gioco nel romanzo: il SUPER-IO. Esso si identifica come un incorruttibile giudice della nostra coscienza, capace di comprendere quella che, per ogni uomo, è la linea di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il suo compito è quello di opporsi agli istinti primordiali, rappresentati dall’ES, favorendo delle risposte razionali a tutte le intemperie tipiche del quotidiano. Dora rappresenta in prima istanza questa razionalità smisurata e incontrollabile, la cui massima rappresentazione è situata nella scelta, da lei consapevolmente presa, di reprimere i suoi istinti materni, quella premura e quel legame che ogni donna biologicamente ha con i figli, a favore di Michael, suo marito. Il suo essere metafora del SUPER-IO si trasforma in una condanna all’infelicità e al rimorso capace di tenerla staticamente incatenata al passato, anche quando l’uomo per cui ha sacrificato tutto, è morto. 

Un gruppo di medici, fra cui si trova Adar, si china sul mio letto in ospedale e discute dell’operazione che stanno per eseguire su di me. Dalla loro conversazione intuisco che stanno per asportare un organo, ma non riesco a capire quale. Provo a chiedere, ma la mia bocca non emette alcun suono e loro continuano a ignorarmi e parlare di me come se non li udissi. Prendo un pezzo di carta e scrivo: in base alla legge sui diritti del malato, avete il dovere di fornirmi tutte le informazioni che esigo. Allungo il foglietto al medico più alto, quello legge, scoppia a ridere e lo mostra ad Adar, il quale a sua volta sorride. “Ecco, lo vedi” gli dice il medico, “è proprio per questa ragione che abbiamo deciso di asportarle il Super-Io

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.192

Il terzo piano è di vitale importanza poiché sono le parole di Dora a guidare lo spettatore verso la comprensione della metafora: fin dall’inizio del capitolo, la donna si avvicina alla lettura psicanalitica di Freud, ed è proprio attraverso la dimensione onirica del sogno che il SUPER-IO diventa un male fisico che i medici devono esportarle. Lentamente, quasi in punta di piedi, la protagonista apre il “vaso di Pandora” e svela il senso filosofico-psicologico degli ancora inspiegati “Tre piani” :

L’Enciclopedia delle idee mi ha aiutato a ricordare che al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni e istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà.  E al piano più alto, il terzo, abita sua altezza il Super-Io. Che ci richiama all’ordine con severità e ci impone di tenere conto dell’effetto delle nostre azioni sulla società

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.192

L’atto della confessione: il senso dell’identità nasce dal confronto con l’altro

Capisci Sigmund Freud era un uomo molto intelligente, ma ieri sera, dopo aver terminato l’ultimo volume dell’opera omnia e averlo posato sul comodino, ho pensato che un errore l’ha fatto. I tre piani dell’anima non esistono dentro di noi. Niente affatto! Esistono nello spazio tra noi e l’altro, nella distanza tra la nostra bocca e l’orecchio che ascolta la nostra storia. E se non c’è nessuno ad ascoltare, allora non c’è nemmeno lo storia. Se non c’è uno così, a cui svelare segreti, con cui sciorinare ricordi e consolarsi, allora si parla con la segreteria telefonica. Michael. L’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’altrio, in cerca del pulsante della luce.

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015, p.253

La seconda linea interpretativa da prendere in esame è quella fornita dalla stessa Dora al termine del romanzo, riportando il senso al concetto di “confessione dell’animo umano”. E. Nevo introduce qui un elemento importante che pur sostenendo la trama nella sua totalità emerge come evidente solo al termine del romanzo. I tre personaggi, le tre storie, non hanno nulla in comune, con un unica eccezione: tutti parlano, si confessano con un “altro”, che può essere reale o fittizio, ma è comunque un interlocutore che si rivela come fondamentale per il protagonista. 

Quel “qualcuno” citato da Dora è l’individuo che permette di esprimere il pensiero con l’uso della voce, o della scrittura. Finché il turbamento, quell’istanza psichica che tormenta l’essere umano, rimane rinchiusa nella sua mente, intrappolata nel labirinto della solitudine, essa è astratta e dunque irreale. La mente umana è una macchina del pensiero, progettata per raccontare continuamente storie e per riflettere sulle proprie azioni all’infinito. Ma queste storie e queste riflessioni diventano reali solo quando vengono concretizzate tramite l’atto del confronto e della confessione: l’espediente narrativo utilizzato dall’autore si tramuta velocemente in una filosofia dell’animo umano che ha come obiettivo primario quello di definire l’uomo come esistente solo ed esclusivamente in relazione a un ascoltatore. È una riflessione sulla parola come tramite per concretizzare l’idea, per renderla reale ed immutabile. 

L’unico scoglio da superare, per la realizzazione del pensiero sta nel giudizio: l’altro, in quanto tale, è dotato di una sua psiche che diverge da quella di colui che racconta, e dunque può non accettare la validità delle argomentazioni dell’Io. Ma la confessione, per sua stessa definizione, prevede una sospensione del giudizio a favore di un ascolto sotto molti aspetti univoco.

Proprio per questo motivo Arnon sceglie un amico di vecchia data, con cui ha un rapporto di estrema confidenza, mentre Hani decide di scrivere lunghe lettere senza neanche aspettare la risposta; Dora, addirittura, parla a una segreteria telefonica, consapevole che nessuno ascolterà quei messaggi. Questo perché il senso di queste confessioni non sta nel dialogo ma nel rendere concreto, e quindi reale, il trauma che trafigge la mente di colui che lo vive. In una certa prospettiva le tre confessioni non sono differenti da quelle proposte dalla psicoterapia, che nasce con il presupposto (come spiega l’etimologia della parola stessa) di curare l’anima del paziente. 

Le tre confessioni riescono dunque ad assumere anche un senso ulteriore, di carattere più sociale che psicologico: l’uomo è caratterizzato da un animo complesso, da turbamenti che nascono in relazione alla realtà in cui sono immessi fin dalla nascita. Ma ogni pensiero, ogni turbamento può concretizzarsi e divenire realtà solo nel momento in cui viene detto (o scritto): perché in quel momento esatto le fratture tipiche dell’essere umano non sono solo pensieri ma diventano talmente reali da non poter essere più celati.

Nel momento in cui Arnon racconta gli atti di violenza commessi, dicendoli ad alta voce e ammettendo di averli commessi, essi esistono a prescindere da lui, sono veri e totalmente reali. Lo stesso principio si applica a Hani, che scrive e testimonia la sua paura di cadere nell’oblio della follia, senza poter più distinguere tra ciò che è reale e ciò che è illusione della mente. E infine Dora, registra messaggi vocali al marito defunto, ma anche a se stessa, perché è a se stessa che ammette il suo errore, l’abbandono del figlio. Quando le confessioni sono “dette” non si può tornare indietro ma solo andare avanti, accettando il passato e proiettandosi così verso il futuro. 

Tra Nanni Moretti e Eshkol Nevo: per un confronto tra il romanzo e il film

E. Nevo e N. Moretti

Il libro è sempre meglio del film” esclamano a gran voce tutti coloro che, alla visione delle trasposizioni cinematografiche di romanzi di successo, rimangono insoddisfatti nel vedere come la loro immaginazione non corrisponda con la realtà. 

Nel caso di Tre Piani, pare però più corretto affermare che “Il libro è qualcosa di molto diverso dal film”: i due prodotti, pur avendo lo stesso titolo, partono da una base comune (i tre piani e le tre storie) prendendo però direzioni diverse, a tratti inconciliabili. Nella trasposizione cinematografica infatti i “tre piani” non sono solo quelli dello spazio e delle storie ma anche temporali (con due salti di 5 anni ciascuno): un espediente narrativo necessario per non dover ricorrere a tutti quei flashback che risultano funzionali nel romanzo, ma porterebbero confusione e disorientamento sullo schermo. Così facendo Nanni Moretti riscrive la storia aggiungendo ulteriori elementi e ampliando ognuna delle trame con tutta una serie di elementi assenti nel romanzo.

Questa decisione risulta però, per chiunque abbia letto il romanzo, come una perdita di tutta una serie di elementi fondamentali che caratterizzano i personaggi: spesso le scelte e le azioni dei personaggi  risultano assurde e immotivate, soprattutto se messe in relazione con la profonda auto-analisi compiuta da ognuno dei protagonisti nel romanzo. La follia di Hani (interpretata da Alba Rohrwacher), che nel libro è un enigma, una tensione verso la comprensione della realtà, nel film diventa una certezza: la donna è pazza, lo comprendiamo fin dal primo istante e rimaniamo convinti, fino alla fine, di questo nostro pensiero. 

Un ulteriore elemento che Nanni Moretti decide di modificare drasticamente è quello relativo alla dinamica dei punti di vista che caratterizzano il romanzo, a favore di una visione unica ed esterna, che perde però un suo significato importante: l’introspezione, fortemente voluta da E. Nevo, viene a mancare, rendendo così i protagonisti meno inclini ad un’autoanalisi psicologica e alla comprensione di se stessi. Molte sequenze, fondamentali nel romanzo, non ricevono la stessa cura e attenzione nel film che mantiene ogni profilo fermo all’apparenza di uno sguardo esterno e inconsapevole. Lo capiamo quando vediamo Dora (interpretata da Margherita Buy) dialogare con la segreteria telefonica: l’unilaterale comunicazione si limita a trasporre gli eventi, senza indagare quell’eccesso di razionalità che porta la donna al tormento. Moretti preferisce trasporre gli eventi accaduti, portando alla luce una narrazione più dinamica ma allo stesso tempo radicata nella superficie. 

Allo stesso tempo però il film vuole raccontare qualcosa di nuovo (ma altrettanto importante): in primo luogo è un film sull’importanza del perdono. Ogni storia è legata, indissolubilmente, dalla difficoltà ma anche dalla necessità di perdonare e di perdonarsi, per poter vivere una vita senza ombre o fantasmi del passato. Arnon (interpretato da Riccardo Scamarcio) deve perdonare Charlotte (la nipote di Hermann nel romanzo) per averlo denunciato ma deve perdonare anche se stesso, per aver infranto i valori coniugali. Dora deve perdonarsi per aver abbandonato suo figlio ma ha bisogno del perdono altrui, per poter padroneggiare nuovamente la sua vita. 

Emerge però una seconda linea interpretativa, meno palese di quella precedentemente messa in luce: analizzando le trame raccontate dal sapiente sguardo di Moretti, si evince un sistema di relazioni e di azioni caratterizzate dalla presenza di un contrappasso, ossia di una corrispondenza rigorosa della pena alla colpa. Nel primo piano il protagonista impazzisce e commette atti di violenza, perché convinto che l’anziano vicino di casa abbia abusato sessualmente di sua figlia: con una perfetta corrispondenza, nel secondo arco temporale vediamo Arnon a processo, accusato di aver abusato della nipote di Herman, con la quale ha avuto un rapporto sessuale cinque anni prima. Nel secondo piano, Hani vive costantemente nel terrore di aver ereditato quella malattia mentale che non ha permesso a sua madre di essere una figura presente: sarà proprio questo timore a condurla verso uno stato di follia tale da abbandonare la sua famiglia. Suo marito, una figura assente, superficiale e incostante si troverà invece a dover sostenere da solo le due figlie. Nel terzo e ultimo piano invece, Dora compie la disumana scelta di recidere ogni rapporto con suo figlio per rimanere accanto al marito: la morte prematura del coniuge porterà però la protagonista a vivere la solitudine e sentire profondamente la mancanza di quel figlio che a sua volta, non vuole più alcun rapporto con la madre. 

Il film dunque propone un senso inedito che nel romanzo appare come impercettibile, se non inesistente: le azioni del nostro passato influenzano, inevitabilmente, il nostro futuro e il nostro essere uomini nell’oggi. Vi è però una potente ed essenziale via di uscita agli errori commessi: il perdono, la capacità che ogni uomo ha di accettare il passato e superarne il contrappasso, assolvendo ed assolvendosi dalle reciproche colpe.


Bibliografia:

E. Nevo, Tre Piani, Neri Pozza, 2015

Sitografia:

https://www.treccani.it/enciclopedia/io_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

https://www.treccani.it/enciclopedia/es_%28Dizionario-di-Medicina%29/

https://www.treccani.it/enciclopedia/super-io_%28Dizionario-di-Medicina%29/

https://www.arateacultura.com

Francesca Manzoni

Redattrice di Cinema e Letteratura