Filosofia

EROS: SOFFRIRE O IMPAZZIRE? – Tra il Simposio di Platone e Vinicio Capossela

di Anna Rivoltella

Il confronto tra il dialogo filosofico più famoso dell’Occidente e la canzone di Vinicio Capossela Il fantasma delle tre ha l’obiettivo di evidenziare due diverse e opposte soventi concezioni dell’amore. Da un lato, le parole razionali di Platone del Simposio, con la prefazione di Galimberti, volte a capire i meccanismi universali di Eros; dall’altro la canzone di Vinicio che svela un fraintendimento molto diffuso, il quale travisa e riduce la portata e il significato dell’amore. Nella seguente esposizione, si cerca di rendere giustizia all’essenza di Eros.

Eros nel Simposio: espediente per accedere alla nostra follia

Il Simposio di Platone, scritto nel sesto secolo A.C., è il dialogo fondamentale che pone le basi a qualsiasi discorso sul tema amoroso. Nella scena iniziale, infatti, parla Socrate dichiarando ai suoi interlocutori “Vi assicuro, di nulla ho sapere se non delle cose d’amore.” (Simposio, Platone) Il lettore viene a sapere della provenienza di Eros, attraverso il famoso mito che narra della sua nascita

In occasione della nascita di Afrodite gli dèi fecero un banchetto, come è costume nelle feste, venne a mendicare Penia. Quando Poros, ebbro di nettare, entrò nel giardino di Zeus e, appesantito, si pose a dormire, Penia si stese al suo fianco e divenne gravida di Eros.

Simposio, Platone

Penìa significa mancanza, povertà, infatti l’amore è un movimento verso un punto di perdita del sé, è estraneo a ogni logica, desidera ciò che gli manca. Figlio di Poros, inoltre, che significa espediente per accedere, mezzo per passare, il Dio dell’amore ci mette in contatto con la follia che ci abita. Dietro a questa apparente semplice storia, si celano gli ideali e i miti di una popolazione, impossibili da chiarire in poco tempo, ma essenziali per arrivare alla conclusione: Eros è un intermediario tra l’uomo e il dio che lo abita e conduce l’ umana ragione verso “Il mondo della follia che l’uomo ha preso a disabitare quando s’è congedato dagli dèi” ma, in realtà Galimberti segue nella Prefazione:

Il congedo degli dèi fu solo apparente, cacciati dal mondo esterno essi riapparvero nel mondo interiore dove l’uomo li riconosce come eventi pulsionali”.

Prefazione di Galimberti al Simposio

 Infatti questa condizione crea disagio, l’essenza di Eros non sta nel fascino suscitato dalla persona amata, ma sta nel travaglio di chi ama. “Il vero oggetto d’amore è bello, soave, perfetto, degno di ogni beatitudine. Invece chi ama si trova in una condizione ben diversa”(op. cit.). Ecco svelato il fulcro del discorso: l’amore rende dolente chi lo prova, ma è un dolore in fondo piacevole perché eleva, connette al divino, o come si dice oggi, fa sentire vivi.

Il fantasma delle tre: amore come espediente per soffrire

Dal titolo molto particolare, questa canzone è un gioiello nascosto nel repertorio della musica italiana, forse perché i più rari non puntano alla fama, ma come una lama incidono il mondo interiore per esalare le emozioni più recondite.

Vinicio Capossela tratta uno scenario alquanto semplice: a primo ascolto tutto suggerisce che si parli di una donna, in una notte sola e soprattutto sconsolata, che cerca compagnia per distrarsi dalla sua disperazione, dalla sua perdita di speranza, o noia, malinconia. Vinicio canta: “Ci vuole qualche concessione, calze nere e seduzione, perché vivere è fatica, senza manco un’illusione”.

Le premesse sono ben comprensibili ed è fin troppo facile immedesimarsi in queste; chi non ha mai pensato “E se fosse proprio lui, In questo posto qui alle 3, A cambiare la tua vita?”, come se l’oggetto di un amore fosse la scusa giusta per dare una svolta alla propria insoddisfacente quotidianità.

Insomma, spesso la scelta di stare con una persona, che sia una qualunque, (viene identificata come un fantasma in quanto anonima), per sfuggire alla solitudine, alla mancanza di obiettivi, è in questa melodia fin troppo consapevole, tanto è vero che scorre chiara nella musica la lucidità :

Uno sconosciuto è il paradiso o l’inferno o il purgatorio, ma comunque dura un’ora, forse un giorno oppure un anno, dopo passa e lascia soli.

Il fantasma del tre, Vinicio Capossela

Meglio essere consapevoli del rimedio illusorio che usa il personaggio dipinto da Vinicio, piuttosto che usare inconsapevolmente l’amore come una distrazione da se stessi, mettendo tanta polvere sotto quel tappeto che un giorno prima o poi sarà da alzare.

Si può chiamare amore, uno sconosciuto usato come espediente per illudersi che la vita sia più affascinante della fatica che propina? Forse la coscienza in noi ha sempre saputo la risposta a questa temibile domanda…

E proprio la presa di consapevolezza è la parte più originale, rivoluzionaria, che ci potrebbe essere in una canzone (quasi) d’amore. Il verso che denota una cinica lucidità nella scelta di distrarsi è segnata dalla frase “Facciamo finta che è l’amore, che entra forte ed esce piano, Col fantasma delle 3”. Con straziante razionalità, La protagonista conosce bene la natura fantasiosa e falsificata del suo sentimento: non sta vivendo l’Eros, ma fa finta che ci sia, per sopportare la vita che senza di esso, sarebbe troppo cruda.

“E domani un altro sogno
Avrà piena la mia notte
Avrà svuotato i miei vestiti
Riempito il lavandino di un
Pianto triste e disperato
E dovrò cercarmi un altro
Fantasma delle 3”

Il fantasma delle tre, Vinicio Capossela

L’illusione, come tutto, poi scompare. E si rimane soli, a piangere. Ma a questo punto entra in gioco la libertà dell’uomo che può decidere se ricadere in un circolo vizioso di finti amori, o affrontare ciò da cui sta scappando: se stesso, la sua vita, il vero motivo del suo pianto triste e disperato.

Queste poetiche e melodiche parole, offrono la possibilità di domandarsi: ho mai usato l’amore come un espediente per espellere la mia sofferenza? Nominato Eros come capro espiatorio per non assumere la responsabilità di ricucire le mie ferite? Quante volte ho incolpato un fantasma, uno sconosciuto, un amante, per un pianto che dipendeva solo in ultima istanza da me?

Il fantasma delle tre mette in luce un abuso che spesso si fa dell’amore: renderlo la causa di qualsiasi malessere in quanto è un buon motivo per star male, ma anche un buon alibi per sentirsi assolti dall’affrontare e dal capire i veri problemi. Insomma, spesso eros diventa un espediente per soffrire, senza indagarne la vera causa. Come se fosse una fuga dalla realtà, dalla fatica di rendere la vita affascinante da soli, Eros troppe volte viene accusato ingiustamente. E Vinicio Capossela lo scrive nero su bianco.

L’essenza dell’amore è un travaglio di chi ama

Certo, l’amore causa turbolenza, causa le vertigini di una caduta senza paracadute, ma è un salto nel vuoto che eleva l’anima, perché apre la via d’accesso alla follia umana nascosta, al divino. Infatti nella prefazione al Simposio, Galimberti dice che l’essenza di Eros non sta nel fascino subito della persona amata, ma “nel conflitto dell’amante, nel suo travaglio, nelle sue doglie”. Bisogna stare attenti a come si usa l’espediente Eros: per accedere alla follia divina che c’è in noi, o per espiare una sofferenza senza affrontarla davvero, incolpando l’amore?

Non resta che cullarsi nell’erotica e seducente melodia di Vinicio, scegliendo se annegarci nelle braccia di un fantasma delle tre facendo finta che sia amore, o vivere godendo davvero di Eros.


Bibliografia

Platone, Simposio, Introduzione di Umberto Galimberti, Traduzione di Fabio Zanatta, Feltrinelli

arateacultura.com

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia