Emiliano Peguiron – Poesie
Le poesie di Emiliano Peguiron sono cariche di significato reso tramite un lessico semplice, che evita “pretese, lunghezza e grosse parole”, e una musicalità ricercata che sostiene con un ritmo cadenzato la lettura. Tra l’altro il poeta si trova molto a suo agio nell’uso della ripetizione, senza scadere mai nel ridondante ma variandola di continuo. La tematica personale ricorre nei versi tuttavia senza chiudersi in sé stessa: cerca il dialogo intimo, si genera partendo da un avvenimento privato o quotidiano per allagarsi in un plurale che, sebbene si tratti di un soliloquio come in “Ricordi di una scommessa”, oppure in “Visciole” in cui l’autore ancora una volta non è solo ma invoca l’aiuto di un terzo che possa fargli raggiungere un’agognata quiete, permette di lasciare uno spazio d’immedesimazione a disposizione del lettore.
In questi due componimenti emerge il tema della morte affrontato attraverso prospettive differenti.
Il riferimento è esplicito nella prima poesia, dove il ricordo narrato dal poeta si fa sempre più sbiadito in prossimità del macabro evento. Si chiama scommessa infatti quell’atto di presunzione su un futuro che non si può conoscere e qui l’autore, nonostante sia riuscito a svegliarsi “dall’equazione del materasso e della coperta” inaugurando “l’ora della scoperta” (che sembra rimandare ad un’infantile ingenuità e curiosità verso il mondo) si scontra con l’impossibilità di controllare l’avvenire e l’avvento della morte. A niente servono le credenze accumulate: “credevamo di essere a prova di bomba” o “il pronostico era a nostro favore”, poiché si rivelano vane ed insufficienti, tant’è vero che l’uomo si allontana dalla sala scommesse “bestemmiando”. In “Visciole” è possibile rintracciare il riferimento nel lessico appartenente alla sfera semantica propria di questo tema cioè quella funebre. Termini come “Imbalsami”, ma anche espressioni come “i frutti dell’ombra” o “l’ultima fetta”, rinviano ad un contesto che non prevede né ritorno né avanzamento. Eppure è il poeta stesso che cerca questa quiete, desidera quel “riposare” che gli permetta di provare “la tranquillità che nessuno possiede”. Un altro tema ricorrente è lo smarrimento che si rivela nella ricerca di una pratica di vita che possa adattarsi alla realtà, che Pegurion affronta in “Di troppo” e nella poesia appena trattata. Se per quest’ultima sono le credenze accumulate che si infrangono, nella seconda è il tentativo di riduzione e di sintetizzazione delle parole che finisce per stringere la necessità di comunicazione del poeta. L’eccesso vanifica la fatica fatta la quale non è mai buona se nata da quel “di troppo” che, invece di liberare i pensieri che “vogliono prendere forma e mi tengono sveglio” li imprigiona.
In conclusione posso affermare di aver molto apprezzato le poesie di Emiliano Peguiron. Per questo motivo mi sono permesso di esporre più interpretazioni nella speranza di essermi avvicinato al messaggio originale.
Ricordi di una scommessa
Lo ricordo benissimo sai
il giorno in cui mi sono perso
per far ordine
e tac tic toc
i cassetti si aprivano furiosi:
entrava e usciva ogni cosa.
Lo ricordo bene sai
il giorno in cui ci siamo svegliati
sottratti dall’equazione
del materasso e della coperta.
entrava in vigore l’ora della scoperta
e quella legale si era crocifissa.
Non ricordo troppo bene
il giorno in cui siamo morti
credevamo di essere a prova di bomba.
Poi un botto, esplosione di viscere
ma non c’erano aruspici.
Abbiamo perso
ma il pronostico era a nostro favore.
Ricordo bene di aver visto un uomo
uscire dalla sala scommesse
bestemmiando.
*
Di troppo
Ci sono parole di troppo
le cancello le elimino
strozzo ogni lettera
strappo gli accenti
ridicolizzo la punteggiatura
impicco i sinonimi
ai contrari non faccio caso
torturo vocali e consonanti
È l’ora di coricarsi dopo tanta fatica
ma non riesco
i pensieri vogliono prendere forma
e mi tengono sveglio:
mi mancano le parole di troppo.
*
Visciole
Imbalsami di crema solare,
prenditi cura di ogni strato
di pelle, dei panni ancora
da asciugare e tienimi
al fresco nella borsa frigo.
Abitami se puoi senza fare troppo
rumore, scena, bagliore
che nel riposare vorrei la tranquillità
che nessuno possiede. Donami
delle posate per gustare i frutti dell’ombra.
Scrivimi infine come fossi una lettera,
un testo importante ma senza
pretese, lunghezza e grosse parole.
Non mi invitare a cena:
non saprei cosa dire.
Immagina e descrivimi il luogo in cui
mi porterai a mangiare l’ultima fetta
di torta alle visciole.
L’autore:
Emiliano Peguiron nasce a Roma il 2 dicembre 1996. Dopo aver conseguito il diploma liceale a
indirizzo scientifico si iscrive al corso di laurea triennale in “Storia antropologia e religioni”
presso l’università La Sapienza, ultimato nell’aprile 2019. Attualmente frequenta il corso di
laurea magistrale di “Editoria e scrittura”. Tra il 23 e il 25 novembre 2018 espone la sua
prima raccolta di poesie “Lascia il segno” presso il Micro a Roma. Negli ultimi mesi è stato
pubblicato nei blog di poesia “Il visionario”, “Archivio immaginazione”, “Poetry Factory”,
“Inverso- Giornale di poesia” e “Yawp: giornale di letterature e filosofie” oltre che sul
quotidiano “La Repubblica” di Bari per l’iniziativa “Bottega di poesia” con il
componimento “Caffè”.