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“È grazie a me, soltanto a me, che la serva esiste”. Questioni di sesso, genere e classe in “Le serve” di Jean Genet

di Andrea Piumino

Le serve (Les Bonnes) del 1947 è la prima opera teatrale di Jean Genet, autore francese omosessuale che ha fatto gravitare la sua intera opera attorno alla sua omosessualità. Il dramma prende spunto da un fatto realmente accaduto in Francia, a Le Mans, nel 1933: una signora e la figlia erano state uccise dalle loro due cameriere, le sorelle Christine e Léa Papin, Christine la loro cuoca, Léa la domestica. Il caso ha destato molto scandalo, sia per il modo violento in cui le due padrone erano state uccise, sia per il fatto che l’omicidio fosse stato apparentemente immotivato. Le due sorelle/cameriere erano molto legate alla loro padrona al punto che nell’intimità la chiamavano mamma e da lei ricevevano una paga molto alta. A parte un episodio di maltrattamento avvenuto cinque anni prima, le due donne non hanno mai avuto motivo di disprezzare i loro padroni, e anche se ne avessero avuto uno, avevano messo da parte abbastanza soldi per potersi licenziare e vivere da sole.

Questo brutale omicidio scatenò all’epoca un grande dibattito. Per una testata giornalistica di sinistra, nel settembre del 1933, le umiliazioni dovute alle condizioni di servitù costituivano un movente sufficiente: “Questo processo non avrebbe dovuto riguardare solo le due sorelle, ma tutta la sacrosanta famiglia borghese nel cui seno si sono sviluppate meschinità e malvagità, e il disprezzo per coloro che sopravvivono servendoli”[1]. E infatti in un film del 1995 ispirato a questo caso, La cérémonie, di Claude Chabrol (uscito in Italia con il titolo Il buio nella mente) con Sandrine Bonnaire e Isabelle Huppert, la questione sociale è talmente rilevante al punto da voler falsare uno dei punti cruciali della storia, ovvero la sorellanza di sangue delle due criminali, che ne Il buio nella mente diventa una pura fratellanza di classe.

Sandrine Bonnaire e Isabelle Huppert in un frame dal film La cérémonie, di Claude Chabrol (1995)

La cerimonia evocata nel titolo di Chabrol fa riferimento al modo brutale in cui le due padrone sono state uccise, con una meticolosità tale da far sembrare che per ucciderle, le due cameriere abbiano seguito alla lettera una ricetta su come uccidere un coniglio per poi cucinarlo. 

Anche nel dramma di Genet si fa riferimento ad una cerimonia, ma è una cerimonia completamente diversa da quella di Chabrol. Le due cameriere, qui chiamate “serve”, sono Solange e Claire, a servizio di una donna che per tutto il dramma verrà chiamata Madame, la Signora. Ogni volta che Madame esce di casa, Solange e Claire, nella camera da letto della padrona, mettono in scena questa “cerimonia” (così viene chiamata dalle due serve), dove si scambiano la parte fra loro recitando a turno il ruolo della padrona e della serva; chi interpreta la serva, però,  non mette mai in scena se stessa, ma l’altra sorella. Colei che veste i panni di Madame indossa i suoi gioielli più preziosi, i suoi vestiti migliori, ne imita i gesti, i comportamenti e persino le modulazioni della voce. Claire e Solange “amano Madame, che nel linguaggio di Genet significa che vorrebbero essere Madame e appartenere all’ordine sociale di cui invece sono gli scarti”[2].

Questo rituale quotidiano fa sì che dietro al mascheramento dell’imitazione (dove, ricordiamo, nessuno è mai se stesso), vengano tematizzati ed espressi quei desideri reconditi, dove le serve esprimono sia la loro ammirazione e il loro odio, ma forse anche il loro bisogno di amore e di umiliazione. La cerimonia celebra e alimenta l’ambivalenza affettiva nei confronti di Madame: amata, ammirata, e insieme invidiata e odiata. Solo attraverso questo rituale le serve possono esprimere liberamente la loro femminilità “cattiva” e soddisfare il loro desiderio erotico, come dice Genet nella nota introduttiva.[3] Sottomesse a sentimenti di adorazione e di odio per la loro padrona, attraverso il gioco delle parti, sfogano tutto il loro rancore fino a simulare il momento in cui la uccidono.

Come si vede già dalla cerimonia delle serve, Genet apporta numerosi cambiamenti al fatto di cronaca, in particolare ha voluto sottolineare la futilità della ribellione lasciando intoccati i padroni: prima di tutto nel dramma Madame, la Signora, è da sola, senza figlia; ma soprattutto qui ad essere uccisa durante la cerimonia non è Madame, bensì Claire, mentre indossa i panni di Madame. Claire e Solange avevano preparato una tisana avvelenata da somministrare alla padrona e avevano fallito nel loro intento di fargliela bere. Nella cerimonia Claire, imitando la voce di Madame, ordina a Solange (chiamandola Claire) di portarle la tisana. Ed è qui che entra in gioco la parte malata del desiderio delle sorelle, Claire sa che la tisana è avvelenata, ma sta indossando i panni di Madame, che non può saperlo. All’apparenza, il desiderio di uccidere Madame è più forte del desiderio di individualità di entrambe. Secondo Kate Millett, Claire beve il veleno affinché “la cameriera più pusillanime e più maschile, Solange, possa simulare un assassinio”.

Edizione della Collezione di teatro Einaudi de Le serve di Genet

Genet in una nota introduttiva al dramma, Come recitare «Le Serve», spiega come sono caratterizzate le due serve, com’è il loro aspetto e come devono essere interpretate:

Le due serve non sono mignotte: sono invecchiate, sono smagrite nella dolcezza della Signora. Non occorre che siano carine, che la loro bellezza sia offerta agli spettatori fin dal levarsi del sipario, ma è necessario che nel corso della serata esse appaiano sempre più belle fino all’ultimo istante. Il volto, da principio, è quindi segnato da rughe, tenui come i loro gesti o un loro cappello. Non hanno né culo né tette provocanti: potrebbero insegnare divozione in un istituto cristiano. Il loro occhio è puro, molto puro, perché ogni sera si masturbano, e alla rinfusa scaricano, l’una addosso all’altra, il loro odio per la Signora. […] Le attrici non devono salire in scena con il lor naturale erotismo, imitar le donne che si vedono sullo schermo. L’erotismo personale, in teatro, degrada la rappresentazione. Le attrici son perciò pregate, come dicono i greci, di non scodellar la fica in tavola. [4]

A questo proposito, per rendere più chiaro l’intento dell’autore, Sartre, nella sua monumentale biografia agiografica su Genet dice:

Il suo obiettivo era mostrare la femminilità senza femmina, mostrare una irrealizzazione, una falsificazione della femminilità, …e così radicalizzare l’apparenza. […] Le caratteristiche femminili dovevano essere solo “apparenza”, solo il risultato di una commedia, … come sogno impossibile di uomini in un mondo privo di donne. [5]

Sempre Kate Millett nel suo saggio La politica del sesso, nel mettere in luce gli aspetti inconsciamente sessisti di vari autori, tra i quali anche Genet, riprende quanto afferma Sartre evidenziando come, nel modo in cui Genet presenta i personaggi, sembra che i ruoli debbano essere interpretati da uomini giovani: “Genet non stava essenzialmente indulgendo ad un allegro scherzo, ma intendeva soltanto presentare la femminilità senza donne, un’astrazione, uno stato d’animo”[6].

Però Genet non ci parla delle serve solo dal punto di vista fisico, ma parla anche della loro condizione di classe:

Una cosa va scritta: non si tratta d’una perorazione sulle sorti della servitù. Suppongo che esista un sindacato delle persone di servizio – la cosa non ci interessa.[7] 

E a proposito di Madame, Genet nello stesso testo introduttivo dice:

“La Signora” non va spinta nell’eccesso della caricatura. Non sa fino a che punto sia sciocca, fino a che punto stia recitando una parte, ma quale attrice lo sa più di lei, anche quando si netta il culo?[8]

Anche la padrona, dunque, si presta a questo gioco di impersonazioni e recita il ruolo dell’ipocrisia borghese. Madame è cortese di quella cortesia della classe media agiata che può permettersi le buone maniere. Nelle poche battute che La Signora pronuncia abbiamo:

Quante premure, mia cara Solange, per una padrona che non le merita.[9]

Oppure poco oltre:

Siete un po’ le mie figliole. Con voi la mia vita sarà meno triste. Partiremo per la campagna. Avrete i fiori del giardino. Ma a voi i giochi non piacciono. Siete giovani e non ridete mai. In campagna sarete tranquille. Vi coccolerò. E più in là, vi lascerò tutto quello che possiedo. Del resto, che vi manca? [10]

Avrò nuove e più belle tolette. E voi mi aiuterete indossando i miei vecchi abiti. Regalandoveli, forse attirerò un po’ di clemenza sul Signore. Non si sa mai.[11]

Ma la sua ipocrisia è celata da una battuta come la seguente, pronunciata appena dopo aver preso la decisione di regalar loro i suoi vecchi vestiti:

Fortunate voi che vi regalano degli abiti. Io, se ne voglio, me li devo comprare. Ma ne ordinerò di più ricchi.[12]

Se i modi di Madame rivelano una falsa cortesia borghese, quando le cameriere recitano la parte della padrona l’una con l’altra, invece, non sono per nulla cortesi e vengono messe in luce quelle differenze sociali falsamente nascoste nelle battute di Madame. Claire, che interpreta Madame all’inizio del dramma, dopo che Solange si inginocchia ai suoi piedi per aggiustarle le pieghe dell’abito, dice:

Evitate di strusciarvi a me. Fatevi indietro. Sapete di bestino. Da quale fetida soffitta, dove di notte ricevete i domestici, riportate ste puzze?[13]

E soprattutto:

È grazie a me, soltanto a me che la serva esiste. Grazie ai miei strilli e ai miei gesti. […] Tu non puoi capire quanto sia penoso essere la Signora, Claire, da far pretesto alle vostre moine! Così poco mi basterebbe e non esisteresti più. Ma io sono buona, ma io sono bella e ti sfido.[14]

Solo per mezzo di questa cerimonia Solange (che interpreta il ruolo di Claire) dice a Claire (che interpreta la Signora) parole di odio:

Vi odio! Vi disprezzo! Non mi intimidite più. […] vi odio! Odio il vostro seno colmo di balsamici effluvi. Il vostro seno… eburneo! Le vostre cosce… aurate! I vostri piedi… ambrati! (sputa sull’abito rosso) Vi odio! […] La signora si credeva protetta dalle sue barricate di fiori, salva in virtù di un destino eccezionale, del proprio sacrificio. Ma era un fare i conti senza la rivolta delle serve. Eccola che avanza, Signora.[15]

Locandina del film The maids, diretto da Christopher Miles nel 1975 basato sul dramma di Genet

Les bonnes è uno studio della gelosia e del risentimento femminile nella condizione servile. Solange, in una battuta, sostiene che “il sudiciume non ama il sudiciume”, spiegando perché è impossibile per le cameriere ribellarsi o agire di concreto. “Quando le schiave si amano a vicenda, non si tratta di amore”; disprezzano se stesse, si disprezzano reciprocamente, e tra loro non può esservi alcuna solidarietà, dato che come tutte le donne ben addestrate, non si identificano l’una con l’altra ma con maschi, o con i ricchi, come Madame. Ecco perché Genet sottolinea come le cameriere siano proletarie oltre che femminili, e come abbiano come nemica immediata la loro padrona borghese.

Le serve, esiliate in una complicità emotiva col ceto dominante, inventano insulti (“I servi sudano”, “Non appartengono alla razza umana”) rivelando gli effetti velenosi che la loro dichiarata inferiorità (riconosciuta dalla società ma anche da loro stesse) ha avuto su di loro. Credono nella versione della loro vita data dai superiori al punto che riescono a sottrarsi alla servitù solo autolacerandosi, e la loro rivolta è soltanto la follia del criminale che ricade inevitabilmente sul suo capo[16]. Ma secondo Sarte, è proprio dall’immaginazione di Madame che nascono tali scarti: basse, ipocrite, cattive, ingrate perché i loro padroni così le immaginano. Le serve “fanno parte del popolo pallido e multicolore che vegeta nella coscienza della gente dabbene”[17]. Abbiamo visto che Claire nella parte di Madame dice:

È grazie a me, soltanto a me, che la serva esiste. Grazie ai miei strilli e ai miei gesti.[18]

Quando le mette in scena, Genet “non fa dapprima che riflettere i loro fantasmi alle donne oneste del pubblico… che non si accorgono di essere state loro stesse a crearle, come i sudisti hanno creato i negri[19]. La sola reazione di quelle creature senza rilievo è che esse, a loro volta, sognano… ed immaginano di diventare il Padrone che le immagina”[20].

Ma perché uccidere Claire e non Madame? Martin Esslin, nell’influente Il teatro dell’assurdo, afferma che la ribellione è inevitabilmente vincolata ad una replica di fantasia del potere a cui cerca di opporsi, e così si consumerà. Sarà futile ogni azione politica verso un cambiamento intenzionale.[21] Quello che non convince di questa interpretazione, come mette in evidenza Alan Sinfield[22], è l’implicazione che un cambiamento sociale significativo può accadere se i singoli oppressi si alzassero e uccidessero la prima persona influente che trovano. Ma molti pochi rivoluzionari hanno creduto in questo. A questo punto prendiamo in considerazione le parole di un importante teorico queer, Leo Bersani:

Il dilemma delle serve è che non possono fare nulla alla Signora senza confermare la propria identità di serve. Persino il gesto di ucciderla, pur non essendo un elemento costitutivo dello scenario nel quale si muovono, trasgredirebbe la loro soggettività di serve secondo le modalità previste da tale scenario. Trasgredire fa parte della loro identità. Inoltre uccidere la padrona di certo non basterebbe a liberarle dal ribrezzo che provano l’una per l’altra o dall’imitazione del loro rapporto con la signora. [23]

A questo punto diventa rilevante il fatto che nel momento in cui si compie la cerimonia nessuno è mai se stesso. Quando Claire alla fine del dramma interpreta il ruolo della padrona, ordina a Solange (che sta interpretando il ruolo di Claire) di portarle la tisana che è avvelenata. Claire ricorda a Solange per due volte che ora lei, Claire, vivrà in Solange.

Solange, tu mi conserverai in te.[24]

E poco oltre:

Rimarrai sola per assumerti le nostre due esistenze. Dovrai essere molto forte. Nessuno al bagno penale saprà che io t’accompagno in segreto. E soprattutto quando verrai condannata, sappi che mi porti in te. Preziosamente. Saremo belle, libere e gaie. Solange, non abbiamo più un minuto da perdere.[25]

Dunque Solange verrà condannata per aver ucciso la sorella, mentre la sorella invece sarà ancora viva assieme a lei. Sarà invece Claire ad aver ucciso la padrona. L’unica maniera davvero efficace per eliminare la signora è attraverso la cerimonia.

Leo Bersani prosegue dicendo:

Il problema è sempre stato come uccidere la padrona senza obbedire semplicemente al destino di serve sottomesse e ribelli. Scoprono che la risposta è eliminarla in quanto nesso relazionale, e che ciò è possibile solamente se la morte di Claire viene fraintesa dagli altri. Ma sarà proprio la società che le ha imprigionate nel ruolo di serve, a liberarle, perché non coglie il ruolo della Signora nel delitto.

Si può pensare che dal punto di vista sociale non sia cambiato nulla dal momento che nessuno saprà che Solange porta dentro di sé Claire, o che questa, nel momento dell’omicidio, si rivolgesse a Solange chiamandola Claire mentre le chiedeva di servirle il tè avvelenato, oppure che Claire stesse impersonando la signora al momento di berlo. Assistiamo ad una morte reale, ma chi è che muore? Madame sopravvive, dal momento che è Claire che prende il suo posto, ma anche Claire sopravvive dal momento che è lei che Solange interpreta. “Ma nulla può cambiare in questo mondo, o meglio, tra l’oppressione adesso e la libertà più avanti potrebbe essere necessaria una rottura radicale con il sociale”[26].

Genet nell’introduzione ci ha detto che questo dramma non va inteso realisticamente[27], ma pur nella sua irrealtà, distingue la cerimonia delle serve dalla loro vita reale, è l’irreale nell’irreale a portare il maggiore peso sociale e politico. la rivolta delle serve (e forse anche la rivolta di tutti gli oppressi) andrà a buon fine soltanto se non ci si rapporterà più con la loro soggettività in quanto soggettività oppressa. Madame può anche partecipare al processo di Solange, ma è comunque morta in quanto elemento altro dalle serve, elemento che, come abbiamo visto, le faceva esistere in quanto serve. Soltanto attraverso questa auto-identificazione si può raggiunge l’autenticità, sebbene questa possa apparire antisociale e antirealistica. E, tuttavia, è proprio grazie a questo antirealismo che si raggiunge la realtà.[28]

Leo Bersani, teorico queer, fa queste considerazioni nel suo saggio Homos, un saggio dove dedicato a questioni di identità sessuale e attivismo della differenza e nella cui appendice si occupa di quei testi della letteratura francese scritti da autori omosessuali e di come il messaggio queer possa venire veicolato in diversi modi in particolare in Proust, Gide e Genet. All’apparenza le conclusioni a cui giunge per Les Bonnes non parrebbero c’entrare nulla con l’essere gay di Genet, ma Bersani sottolinea invece come sia proprio grazie all’omosessualità di Genet che l’autore immagina “un crollo positivo delle differenze sociali in una homo-ness[29] radicale, dove il singolo potrebbe ricominciare da capo, differenziandosi da se stesso e dunque ristabilendo la socialità”[30]. Dunque sarà la Struttura che dovrà essere cambiata, la violenza individuale, in quanto tale, è sempre inutile. Per Bersani, la strada per un vero progresso si potrà trovare solo nell’analisi politica della realtà e nell’azione collettiva.

Andrea Piumino

Aratea Cultura


[1] Cit. in Lynda Hart, “They don’t even look like maids anymore: Wendy Kesselman’s my sister in this house, in Id. (ed.), Making a spectacle, Anne Arbor, University of Michigan press, 1989, p. 132.

[2] Jean-Paul Sartre, Santo Genet, commediante e martire, Il Saggiatore, Milano, 1972, pag. 591

[3] Cfr. infra

[4] Jean Genet, Tutto il teatro, Il saggiatore, Milano, 1983, pp. 39-40

[5] Jean-Paul Sartre, op. cit. pag. 591

[6] Kate Millett, La politica del sesso, Rizzoli, 1971, p. 429

[7] Jean Genet, op. cit. pp. 40-41

[8] Ibid. p. 40

[9] Ibid. p. 56

[10] Ibid. p. 59

[11] Ibid.

[12] Ibid. p. 60

[13] Ibid. p. 44

[14] Ibid. p. 45

[15] Ibid.

[16] Millett, op. cit.

[17] Jean-Paul Sartre, op. cit. pag. 591

[18] Genet, op. cit. p. 45

[19] Qui Sartre sta facendo riferimento al dramma I negri di Genet, dove l’autore pretende che le persone afrodiscendenti presentate nel dramma siano impersonate da persone bianche che recitano con una maschera nera. Cfr. Jean Genet, op. cit. p. 211

[20] Sartre, op. cit. p. 591

[21] Martin Esslin, Il teatro dell’assurdo, Abete, 1975, pp. 201-206

[22] Alan Sinfield, Out on stage. Una storia del teatro LGBT nel ventesimo secolo, Rosenberg&Sellier, 2020, pp. 225-226

[23] Leo Bersani, Homos. Diversi per forza, Pratiche Editrice, 1998, pp. 167-168

[24] Genet, op. cit. p. 69

[25] Ibid.

[26] Bersani, op. cit. p. 170

[27] Genet, op. cit. p. 40

[28] Giuseppe Di Giacomo, Il paradosso dell’apparenza nel teatro di Jean Genet, in Comprendere,  Vol. 14/2,  2012 p. 55

[29] Per Homo-ness Bersani intende “la specificità dell’essere omosessuale, e di ciò  che comporta in termini di rapporto con il mondo, ossia amare l’identico a sé”.

[30] Bersani, op. cit. p. 171

Andrea Piumino

Redattore di letteratura