“Domicilio sconosciuto” di Luciano Funetta – Premio Booktube Italia, edizione 2024
Un articolo di Chiara Girotto
Creatura ibrida, metà racconto lungo, metà saggio, Domicilio Sconosciuto di Luciano Funetta si presenta come una mappa atipica della letteratura latinodamericana. Come suggerisce il sottotitolo, la mappa serve più per perdersi che per imboccare una direzione precisa: Funetta accompagna i lettori nei meandri di una realtà letteraria «vasta e informe», dove solo chi accetta l’indefinitezza può sostare. Rinunciando a qualsiasi accademismo e ambizione classificatoria, l’autore avvia una peregrinazione citazionistica, dove spesso sono i «relitti fonico-visivi», lacerti della letteratura in questione, a parlare in sua vece, interpolandosi nell’atto altrimenti solitario della scrittura. L’impressione, infatti, è che tramite il suo alter ego Guerra Funetta narri supportato da un coro bisbigliante di scrittori e scrittrici che gli suggeriscono come continuare. Sono i frequentatori dell’Istituto, allegoria della letteratura sudamericana, luogo di cui, non a caso, Guerra possiede la chiave. Ombre sfuggenti visibili solo di sghimbescio, acconsentono a ricevere visite, e spesso consegnano i loro enigmi nelle mani del protagonista, incaricato dallo stesso Direttore di scrivere un libro su di loro.
L’impresa però si rivela ardua: quello dell’Istituto è un «paese senza nome», che sfugge ai tentativi di inchiodarlo a una definizione fissa. I suoi confini non segnalano alcuna distinzione tra il reale e l’immaginario, tra il vero e l’inganno, e le sue terre sono popolate da visioni oscure e allucinazioni. L’Istituto è un luogo angosciante, persino lugubre, che lascia in chi lo visita una sensazione intensa di straniamento: critico-negromante, Funetta chiama a sé gli autori che lo abitano, e li inserisce in Domicilio Sconosciuto a volte solamente alludendo o servendosi di frammenti di storie. Ad alcuni dà la caccia, inseguendo una pista personalissima sulle tracce del delirio, del perturbante, dell’illusione: la «letteratura dell’incubo» è al centro di questa breve, ma intensa evocazione degli spiriti letterari, dove ampio spazio è concesso agli «esploratori dell’abisso […], proiettili pazzi in cerca di un cadavere» piuttosto che ai cantori delle epopee collettive, animati dal desiderio ossessivo di elargire parabole a la Márquez. Sono i primi gli angeli, o forse i demoni custodi che vegliano sull’attività letteraria del loro cronista: Borges, Bolaño, Cortazar, Onetti, Ocampo e molti altri lo ispirano con la loro visione della letteratura come landa onirica della possibilità, come spazio di espressione dell’inafferrabile, come indagine sistematica sul mistero.
Una letteratura, questa, ben lontana dal poter essere definita d’evasione: l’Istituto che il Funetta-Guerra visita è popolato da figure che considerano la realtà stessa come un vischioso sogno lucido, dove l’uomo, preda delle sue manifestazioni chimeriche, si smarrisce. Se mai, argomenta l’autore, la letteratura sudamericana segna il perimetro di una prigione, che racchiude «il loop e l’orrore, lo scherzo e l’incubo» dai quali è impossibile salvarsi una volta che li si percepisce. Per coloro che, come il Direttore dell’Istituto Borges, possiedono l’occhio interiore e vedono oltre l’ordinario, l’unica strada percorribile è scrivere «come chi alza un coltello nel buio», penetrando nelle pieghe profonde dell’esistenza.
Sull’immagine del coltello Funetta insiste tanto quanto evidenzia l’aspetto onirico di tale panorama letterario e culturale, proprio per evidenziare il rigore e l’acume della ricerca operata dai suoi protagonisti: Domicilio Sconosciuto si distanzia dalla visione esotizzata e stereotipica occidentale che troppo spesso riduce le opere dei Sudamericani a cimeli magici e pittoreschi, senza soffermarsi sullo studio dei metodi applicati per restituire l’effetto di un incanto macabro. L’imprecisione e la vaghezza non appartengono a questo mondo pur segnato dallo spaesamento, che tuttavia è voluto, agognato come condizione necessaria per la percezione autentica.
Luciano Funetta si muove agilmente tra questi accostamenti in apparenza paradossali, adottando una visione obliqua, che rifugge dalla pedanteria e dalle etichette: il suo saggio sui generis trae linfa vitale dai lacerti di racconti e poesie che si propone di commentare, adottandone anche lo stile breve ma al contempo sfingeo. Qualsiasi pretesa di esaustività è abbandonata in favore di un particolarismo affezionato agli echi di certe voci, di certe immagini che tormentano l’inconscio e alimentano il fervore letterario, plasmando il ritmo del suo narrare. Con un sapiente gioco di specchi, Domicilio Sconosciuto riproduce quel labirinto di carta che è la letteratura sudamericana, invitando chi legge a percorrerlo in uno stato di angoscioso dormiveglia, senza aspettarsi di trovare l’uscita. Esattamente come le storie che si propone di portare alla luce, l’opera di Funetta resta in balìa dell’inconcludenza, sospeso nel vuoto di un interrogativo la cui risposta è l’enigma stesso.