Dolcinbene – Poesie
All’altro capo della conchiglia
I caruggi non avevano nome.
Non erano vicoli
ma mare in anticipo.
A tre o quattro bighelloni
ne frugavamo gli angoli ciechi
– Aperti i retini della fantasia –
“Che tesoro è se tutti possono vederlo?”
In due ti sentivi un’orda
quando si solcavano quegli aliti di focaccia
su sandali rotti che il mercato fece
e disfecero le ali – quelle che tutti i bambini hanno –
Di cocci coriandoli mozziconi centesimi gelati
spade di cannucce tramonti ginocchia sbucciate
lattine lacrime sabbia
traboccavano le stive di quegli anni
di piombo piumato: – “Che tesoro è se non è dimenticato?” –
ricco era chi giocava al baratto con il tempo
una vita al giorno
perché solo ai poveri la notte porta consiglio
e non legna per il falò dell’alba.
Non era un gioco.
(Lo è ora?)
Non era un gioco creare mondi
a misura di suola
e provocare terremoti soffiandosi il naso
e di canzoni stonate ricamare
gli orli del destino.
Forse era un gioco,
ma qualche dio sorrideva
all’altro capo della conchiglia.
*
Mi sorprendo a svernare
nella canicola di un pensiero:
penetra razzia scuoia banchetta
disossa i lemmi,
regna su orge di cadaveri neuronali;
nel lupanare del raziocinio
fornica con i figli e i fratelli,
mai con le sorelle
non conosce il femminile, teme
la fertilità che non soccombe agli ordini, teme
caotica la nudità tra le cosce
dell’innocenza.
Abdica dalle uova deposte,
me le lascia fecondare
nel silenzio blasfemo
in cui caracolla il mio senso claudicante.
Dopo che ha stuprato ogni dio
che abbia mai avuto,
sublima come l’amante inconfessato
seduto ai bordi del letto ad aborrire
il mio imene defluito senza foce
tra i di lui “cicatrizzerà”.
*
Te l’ho sussurrato
alla frontiera di un cuscino
dove le mani diventano temerarie
e clandestini i baci.
Mi ha levigato il tuo sguardo
reinventato di me nuove geometrie;
Non equilibri
– conforto agli stolti:
a nessuna misura si affida
il funambolo o l’innamorato.
Nudo mi specchio nelle tue ferite
che vorrei sbucciare fino alla polpa
dei tuoi universi,
lì dove le stelle fioriscono
sul ciglio delle strade
e le galassie ballano bambine
a ritmo di battiti.
Alla frontiera di un cuscino
non ricordo chi sono,
ma il mio nome l’hai riscritto in due parole;
non ricordo se è mia la pietra
scagliata per prima
ma è senza peccato la tua religione.
A un passo da quella frontiera
non ricordo il mio tempo,
perché sei tu ad aver inventato il mio secolo.
L’autore (anonimo)
Un giorno uno sconosciuto mi ha offerto un grammofono goffo e cigolante in cambio della mia radio hi-tech, ed è così che è nato Dolcinbene. Su di lui, vi basti sapere che è nome di giullare, un pensiero giramondo in groppa ad un cuore randagio. Poco conta che lo sconosciuto fossi io, io fossi io, la radio i miei versi e il grammofono quelli che spero di scrivere. Ciò che conta è che Dolcinbene sia io, e che io sia lui.