Dialogo tra letteratura e femminismo
Per diversi secoli, l’ambito letterario è stato monopolizzato dal pensiero e dall’azione degli uomini, considerati gli unici detentori della cultura e del sapere; di conseguenza, erano ritenute le uniche persone capaci e degne di tramutare i loro pensieri in parole. Alle donne non era permesso istruirsi, scrivere, essere indipendenti ed esprimere i loro pensieri con facilità (o con naturalezza) come lo era per gli uomini (motivo per cui, in letteratura, si andarono sempre di più diffondendo gli pseudonimi tramite i quali molte autrici celavano la loro vera identità). Le donne erano considerate inferiori e sottovalutate; le loro potenzialità ridotte all’amministrazione delle faccende di casa o, al massimo, erano considerate capaci di trattare solo argomenti futili e superficiali.
Virginia Woolf, un fiore che trema sul precipizio
Scriveva così, Virginia Woolf il 2 agosto del 1924 sul suo diario personale: “E se non vivessimo audacemente, prendendo il toro per le corna e tremando sui precipizi, non saremmo mai depressi, senza dubbio; ma già saremmo appassiti, vecchi, rassegnati al destino”. Attraverso un motto di speranza misto alla rassegnazione della condizione sofferente e subordinata delle donne durante la sua epoca e in quelle precedenti, Virginia ci esorta a non demordere, a stringere i denti e ad aggrapparci alle nostre convinzioni, farle crescere e nutrirle; non lasciare che vengano estirpate e distrutte a causa di una società governata da una mentalità prettamente maschilista e limitata.
Virginia Woolf è una delle personalità cardine della lotta femminista letteraria. E’ personaggio dilaniato da una parte, dalla voglia irrefrenabile di affermare con decisione la propria libertà e di esprimere fortemente il dissenso verso i costrutti sociali, letterari e politici del suo tempo. D’altra parte, avverte in modo schiacciante la pressione dell’epoca in cui viveva, le dinamiche restrittive che la caratterizzavano che, inevitabilmente, costituivano per lei un tormento.
La scrittura diventa, per Virginia, un potente strumento sovversivo tramite il quale comunicare prepotentemente e a gran voce i bisogni e i pensieri che strepitavano nel suo animo inquieto e audace. Il suo dissidio interiore è espresso in tutte le sue opere: non a caso, le protagoniste dei suoi romanzi sono sempre donne divise interiormente da istinti naturali e viscerali e, dall’altro lato, da regole imposte socialmente, simili a degli ostacoli insormontabili.
Simone de Beauvoir, madre del femminismo
Considerata la “donna che tutte le femministe vorrebbero essere”, Simone de Beauvoir è la madre del pensiero femminista radicale. Uno spirito coraggioso e sfrontato, una figura controversa e provocatoria. Si propone di smantellare i tabù riguardanti il genere femminile e di rivalutarli, sviscerandone il carattere primordiale e spontaneo e mostrarlo, nella sua cruda nudità.
Filosofa, scrittrice e insegnante, moglie del filosofo Jean-Paul Sartre: figura fondamentale nella sua vita privata e nella sua cultura letteraria – soprattutto per quanto riguarda la sua formazione filosofica improntata sulla corrente dell’esistenzialismo (di cui Sartre è uno dei maggiori esponenti). Sulla base del pensiero relativo all’esistenza individuale e al suo senso intrinseco si basa la riflessione femminista e rivoluzionaria di Simone de Beauvoir. Alcune delle sue opere vengono ascritte ai cosiddetti “libri di Satana” – come il suo saggio più famoso “Il secondo sesso” – ovvero i libri proibiti dalla Chiesa cattolica per il loro contenuto considerato blasfemo, troppo provocatorio e contrario ai dogmi ecclesiastici.
“Il secondo sesso”
“Il secondo sesso” è un saggio critico pubblicato nel 1949. (poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale: sottolineare il periodo è importante per comprendere meglio l’autenticità e il carattere progressista dell’opera) Simone de Beauvoir, in quest’opera, si propone di analizzare, una per una e senza veli, le problematiche e le questioni “spinose” riguardanti il mondo femminile. (quali la maternità, la sessualità, l’aborto, etc)
Tramite lo studio e l’osservazione di questi punti, la De Beauvoir fa un’analisi più ampia, logica e puntuale, sulla società patriarcale in cui vive. Prendendo in considerazione elementi storici, biologici, culturali e letterari delinea una per una le cause relative alle differenze sociali e politiche tra uomo e donna. Simone afferma che alla base della differenza tra genere femminile e quello maschile vi è una causa culturale e NON biologica (al contrario di come si pensava): culturalmente parlando l’uomo è considerato il “polo positivo”, la centralità di ogni atto, il punto fondamentale intorno al quale ruota tutto. La donna, al contrario è “l’altro”: il secondo sesso, la figura non essenziale, neutra e definita in virtù dell’uomo e dal suo riflesso. La donna non è un essere umano libero: è peso, palla al piede dell’uomo, mera subordinazione e sottoprodotto della figura maschile, un essere indifeso che ha bisogno di protezione.
La rivendicazione sovversiva di Simone de Beauvoir pone le sue basi nel concetto di “femminilità”: cosa significa essere femminili? Perché ci viene chiesto di essere “più donne”? La risposta a questo dilemma è che il “problema delle donne” è, in realtà, un problema dell’uomo, una credenza culturale malsana e alla quale è necessario ribellarsi con tutte le forze. Simone de Beauvoir afferma anche “non si nasce donna, lo si diventa”: ci si trasforma in donne quando un essere umano subisce le pressioni del marasma culturale e sociale che la considera tale. Ed è proprio qua che dovrebbe entrare in gioco l’identificazione tra donne, il bisogno di rivendicarsi uno spazio tutto per sé e di lottare per una dimensione soggettiva che ha come unica regola la libertà individuale, scissa dall’immagine maschile.