Letteratura

“Il detective sonnambulo” – Sonno e follia di chi indaga la realtà nel nuovo romanzo di Vanni Santoni

di Nicola Vavassori

Il detective sonnambulo, pubblicato questa settimana per Mondadori, è un concentrato dell’opera di Vanni Santoni, tanto che potrebbe diventare il suo romanzo più identitario accanto all’esordio folgorante de Gli interessi in comune. La lotta di classe e la coscienza sociale, componenti irrinunciabili dell’immaginario santoniano, si fondono al complottismo, alle droghe e alle contraddizioni della ricchezza sfrenata. Il risultato è il ritratto di un’epoca iperreale dove gli unici personaggi possibili, quando tentano di inserirsi nel flusso della storia, rimangono intrappolati in una condizione ossimorica: quella di “detective sonnambuli”, che vorrebbero indagare la realtà, ma non si accorgono di stare dormendo. Fin dal titolo, infatti, Santoni recupera dai personaggi di Bolaño l’estetica del cercatore disperato, marginale e irregolare, e da Broch l’ottundimento esistenziale e la cecità storica a proposito del presente[1]. Certo bisognerà anche chiedersi quanto un’opera del genere sia all’altezza delle proprie ambizioni.

Detective Sonnambulo

La trama de Il detective sonnambulo

Martino è uno dei tanti “spatriati” che popolano la letteratura italiana contemporanea e le città europee. Approdato a Parigi con il vago progetto di diventare sceneggiatore, si rende presto conto che, come dice il detto, cambiare cielo non significa cambiare animo: le millantate opportunità della capitale francese non gli regalano alcun riscatto.  A risvegliarlo è l’incontro con Johanna, una ragazza dai capelli rosso fuoco che lo trascina in un’ossessione d’amore piena di non detti. Quando la ragazza sparisce misteriosamente, Martino inizia a seguire le sue tracce letteralmente fino in capo al mondo, dalla Svizzera al Cile. Nel corso del suo viaggio unisce le forze con Tanya, la leader di un gruppo anarchico interessata a rintracciare un uomo comparso su un manifesto insieme a Johanna, tale Manfredi.

Solo quando Martino e Tanya riescono a ricongiungersi a Johanna e Manfredi, ha inizio il vero proprio nucleo del romanzo. La totalità della scena viene rubata dalla figura di Manfredi Della Torre, ex Mirko Bigi, che con il narcisismo e l’opulenza del Grande Gatsby si impone sulla trama fino a egemonizzarla. Manfredi è l’emblema di un fenomeno tanto attuale quanto poco rappresentato in letteratura: è un giovane qualsiasi, diventato improvvisamente multimilionario grazie alle cryptovalute. Circondato da persone che sembrano frequentarlo soltanto per opportunismo, Manfredi ritrova nell’ingenuità di Martino un complice maschile con cui condividere la propria libertà e i propri progetti. Con la ricchezza illimitata di cui si trova a disporre, infatti, Manfredi si dedica prima di tutto a coltivare passioni superflue che lo fanno sembrare un bambino troppo cresciuto: videogiochi, carte collezionabili, costosissime action figures, e motoscafi da milioni di euro battezzati con il nome delle navi di One Piece. Eppure, il fatto che Manfredi sia un arricchito “di seconda mano”, che ha conosciuto il mondo dal basso, lo porta investire milioni di euro anche in progetti culturali, nella speranza (non sempre convinta) di incidere il proprio nome nella storia. Così inizia a finanziare realtà socialmente impegnate, come il gruppo anarchico di Tanya, o una dimora per artisti, lo Schloss, che diventa il suo quartier generale a Berlino. Presto però i progetti di Manfredi sveleranno anche dei lati ambigui, corrotti e partoriti di una mente sull’orlo del delirio. Martino, Tanya e Johanna saranno dunque costretti a intervenire, ma finiranno solo per realizzare la portata della propria impotenza di fronte alla follia del più contemporaneo degli homini novi.

Un problema di struttura

Riassumere la trama de Il detective sonnambulo basta per evidenziare una prima criticità del romanzo. Se le prime 100 pagine sono dedicate a una storia d’amore parigina e alla ricerca di una ragazza scomparsa, nelle successive 250 si assiste ad un’inversione di rotta che lascia perplessi. Il ritratto di Manfredi Della Torre e della sua decadenza ha un sapore completamente diverso rispetto alla prima parte: con una strategia tipicamente postmoderna cambia il genere dell’opera, che da giallo improvvisato diventa quasi un romanzo sociale. Ma ancora di più cambia il ritmo della trama: l’indagine concitata di Martino sulle tracce di Johanna lascia spazio a una narrazione lenta e priva di conflitti significativi, che si risolleva solo sul finale.

Disattendere il lettore certo non è un crimine, anzi, spesso sono i romanzi che remano controcorrente a imporsi su un panorama omologato; ma Il detective sonnambulo oltre al lettore rischia di disattendere anche se stesso: Martino e soprattutto Johanna, due personaggi forti e ben costruiti, finiscono per passare in secondo piano e dissipare una parte del proprio potenziale. Da protagonista, Martino si defila sempre di più fino a diventare un osservatore impotente, narratore di una storia che non è la sua. Allo stesso modo, Johanna, sparirà a intermittenza lungo le pagine e da motore della narrazione si riduce a un personaggio secondario. C’è da agurarsi allora che entrambi riappaiano in futuri romanzi di Santoni, come è già accaduto per molti personaggi intertestuali nel multiverso delle sue opere[2].

L’universo e i temi del Detective sonnambulo

Imbattersi in passaggi a proposito di Bitcoin, One Piece, centri anarchici e rave party all’interno di un romanzo crea un effetto straniante. Forse perché si tratta di temi che, pur nella loro enorme risonanza socio-culturale, continuano ad essere associati a sottoculture di nicchia, come quelle già esplorate da Santoni nel trittico di romanzi-saggi edito per la collana “Solaris” di Laterza[3]. L’obiettivo del Detective sonnambulo è trasformare questi temi in materia puramente narrativa. L’impresa è ardua e inevitabilmente respingerà una fetta di pubblico – quello più cresciuto – meno familiare con i tanti microcosmi in questione. Allo stesso tempo l’universo di quest’opera ha il pregio di osservare il mondo contemporaneo da molto vicino, a differenza di tanti romanzi odierni con la pretesa del realismo dove i personaggi usano a malapena lo smartphone.

Santoni però non si ferma qui. Da un lato accumula dati e fenomeni contemporanei in modo vertiginoso, intrecciandoli ad una trama con risvolti action. Dall’altro lato, come già in altri romanzi – in primis La verità su tutto – si concede derive psichedeliche, mistico-esoteriche, che alternano piani di realtà e di coscienza con sogni e visioni surreali. Per cui l’universo del romanzo è allo stesso tempo iperrealistico e al limite del plausibile, dove i confini tra il vero e il falso si fanno porosi. Si tratta di una cifra stilistica tipica dell’autore, che nella sua carriera ha spaziato su generi molto eterogenei, fino anche al fantasy. L’effetto è quella di una realtà kitsch, a tratti grottesca, che sfocia nella parodia di se stessa, e forse non esiste rappresentazione più azzeccata per la nostra epoca.

Torna però anche qui un problema già evidenziato altrove[4]: il tentativo di inserire a tutti i costi delle riflessioni complesse, in forma di dialogo, a proposito di temi sociali. Il fatto che i protagonisti, nel bel mezzo di un rave party, si mettano a parlare di coscienza di classe e del valore della cultura ha qualcosa di distopico (p.232). Ed è proprio in questi momenti che il romanzo sembra inciampare nella sua stessa ambizione: come se l’urgenza di dire tutto finisse per sacrificare l’organicità della narrazione.

Ma forse anche questa frizione fa parte del progetto: l’impressione è che Santoni, più che cercare una forma perfetta, voglia misurare la capacità del romanzo di assorbire il presente come un organismo nervoso, squilibrato, contraddittorio. Il risultato è un’opera che trabocca: non sempre riesce a contenere quello che evoca, ma quando ci riesce – anche solo per poche pagine – apre uno spiraglio su qualcosa che somiglia davvero al nostro presente. E forse non è un caso se Il detective sonnambulo è un romanzo in cui tutti, alla fine, non possono fare altro che dormire: in fondo, oggi, chi prova ancora a svegliarsi rischia di impazzire.


[1] Il titolo del romanzo è un chiaro riferimento a I detective selvaggi di Roberto Bolaño e alla serie de I sonnambuli di Hermann Broch.

[2] Sul multiverso di Vanni Santoni bisognerebbe farci uno studio. Se qualcuno volesse pensarci, lascio qui un piccolo recap dei collegamenti individuati fin ora, spulciando la critica e le mie letture: Iacopo Gori è il protagonista de Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008) e di un capitolo di Muro di casse (Laterza 2015). Cristina Michelangelo è un personaggio de I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), la narratrice di Dilaga ovunque (Laterza 2023), e fa capolino anche ne La stanza profonda (Laterza 2017). Cleopatra Mancini è un personaggio di Muro di casse e la protagonista de La verità su tutto (Mondadori 2022). Antonio Michelangelo è un personaggio de I fratelli Michelangelo e de La verità su tutto. Paride è un personaggio de Gli interessi in comune e de La stanza profonda. Spero di arricchire con l’aiuto di qualche lettore.

[3] Muro di casse (Laterza 2015) sui free party; Nella stanza profonda (Laterza 2017) sui giochi di ruolo; Dilaga ovunque (Laterza 2023) sulla street art, recensito qui.

[4] Nicola Vavassori, “Dilaga Ovunque” di Vanni Santoni – Premio Campiello 2024, https://www.arateacultura.com/dilaga-ovunque/


https://www.arateacultura.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Vanni_Santoni

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