Critica di Poesia,  Letteratura,  Musica e Teatro

Fabrizio De André – Poeta di fede anarchica

Di Anna Maddaloni

De André

Fabrizio De André è difficile da definire. E’ stato poeta, cantautore, marito e padre, caratterizzato da uno stile di vita anarchico, nonché, come racconta nelle sue canzoni, alla costante ricerca di libertà. Cresce infatti in spazi sconfinati della campagna, dove si innamora di tutto. Trascorre il tempo con i contadini nei campi, guarda Nina, sua compagna di giochi, volare sulle corde dell’altalena. Già da piccolo mostra la sua natura, di libertà cadenzata a curiosità. 

Io scrivo di persone che hanno tentato, anche in maniera abbastanza balorda, al di fuori delle leggi scritte, di riuscire a trovare la loro libertà. (…) Per questo, ho scritto “Il Pescatore”, per questo, ho scritto tante altre canzoni, come “Bocca di rosa”. Cioè, per me, l’ importante è far capire alla gente che le leggi scritte possono essere scritte in ogni caso, in ogni modo e in ogni tempo, ma sempre da un gruppo, da un gruppo che è al potere.

E’ conosciuto con tanti nomi; ad esempio, Faber, appellativo dato dall’amico Paolo Villaggio in riferimento alla sua passione per i pastelli e le matite della Faber-Castell, oltre che per l’assonanza con il suo nome, e talora come il cantautore degli emarginati o il poeta degli sconfitti. Tali epiteti consentono di comprendere il tenore dell’artista, il quale ha dedicato gran parte della sua produzione alle minoranze, linguistiche e sociali, attribuendo loro il diritto alla libertà.

Il testamento di Tito

Questo brano è, insieme ad “Amico fragile”, la mia migliore canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha. E’ un altro di quei pezzi scritti con il cuore, senza paure di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene.

Nel testo sono ripercorsi i dieci comandamenti, scandagliati dal singolare punto di vista di Tito che rende noto come questi non possano essere interpretati in modo assoluto. Tito, il cui nome deriva da quello dato da taluni vangeli apocrifi al ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù, tenta di scrivere un testamento e si chiede il senso della legge di Dio.

Tale canzone è ostile alle ipocrisie dei cosiddetti uomini di fede, che in apparenza rispettano la legge di Dio, ma nel concreto non esitano a uccidere un uomo. In essa si può inoltre trovare una critica verso le intolleranze religiose, la pena di morte, le inutili sottomissioni, i riti falsi e vani, i padri crudeli e violenti.

Tito, malgrado sia identificato come peccatore, è l’unico che “prova dolore nel vedere un uomo che muore”.

L’analisi dei comandamenti trova soluzione nell’ultima strofa, quando per Tito arriva la morte e gli viene tolto “il dolore dagli occhi”, venendo purificato dai suoi peccati. Il ladrone, infatti, consapevole dei suoi errori, riconosce al Cristo la grandezza dell’uomo capace di avere pietà e non cedere al rancore. Tito impara dunque da Gesù che l’unica legge universale è quella dell’amore incondizionato, tra cui la forza di non cadere nel rancore e la maturità di essere capaci di perdonare. Peraltro, l’unico comandamento che il ladrone ha sempre rispettato, è quello di non causare mai dolore agli altri, comandamento che vuole solo coraggio, volontà e forza del perdono.

Emerge dunque un caposaldo di tutta la filosofia De Andreiana: noi possiamo e dobbiamo amare il prossimo, dimenticando ogni possibile giudizio morale ed entrando in empatia con lui.

Il pensiero

In gran parte della sua produzione, il cantautore professa un bisogno incalzante di cancellare i confini che separano borghesia e povertà, l’élite dal popolo, screditando i sentimenti umani costruiti da una società perbenista, e innalzando uno stile di vita fondato sull’anarchia, che diventa espressione di genuinità e bellezza. Il suo pubblico si lascia influenzare da lui con la volontà di prendere una direzione ostinata e contraria, alla ricerca di una verità senza bianco o nero, bene o male, chiaro o scuro.

Il suo pensiero si estrinseca anche nel rifiuto che ha sempre manifestato di gareggiare al Festival di Sanremo. Il cantautore, infatti, rinnegava, non comprendeva e non voleva la competizione. Egli pensava che la competizione a livello umano fosse assurda, pazzesca e orribile, addirittura ritenendo fosse qualcosa proprio solo degli animali, argomentando anche sulla base del fatto che i sentimenti che esprimeva con i suoi testi non potessero diventare oggetto di una gara.

A Sanremo ci andrò quando mi faranno cantare Il Cantico dei drogati, cioè mai.

Bocca di rosa

La piena manifestazione della necessità di superare i giudizi di controllo sociale voluta da De André arriva con la canzone “Bocca di rosa”, filastrocca che narra di una donna e il suo arrivo presso il paese di Sant’Ilario. Già nell’introduzione della canzone si comprende che Bocca di rosa è priva di ogni tipo di attitudine moderata, la quale invece domina il paese in cui si trova. Infatti, il testo della filastrocca recita: “c’è chi l’amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione”.

Questa libertà che la caratterizza, comporta curiosità da parte degli uomini, e invidia da parte delle mogli, che vedono i propri consorti lasciarsi coinvolgere e affascinare da una donna che, a differenza loro, è capace di amare per un istinto di sovrana passione. Ciò che ne consegue è l’intervento della bisbetica del paese, la quale raduna le signore affermando l’urgenza di cacciare Bocca di rosa e punire il furto d’amore. Qui troviamo gli emblematici versi: “Si sa che la gente da buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio, così una vecchia mai stata moglie, senza mai figli, senza più voglie, si prese la briga e di certo il gusto di dare a tutte il consiglio giusto”, simbolici in quanto rappresentativi della critica al moralismo che permane in ogni canzone di De André, e qui in particolare verso chi si grandeggia offrendo una guida da seguire ma senza averne le qualità.

Con un glorioso azzardo si potrebbero paragonare le parole del poeta a quanto dice nel testo di “Via del Campo”: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, le quali vogliono far intendere che spesso le cose più belle e inaspettate della vita non nascono da qualcosa chè è già perfetto, bensì da cose e situazioni turpi. Infatti, la vecchia viene ascoltata poiché risponde all’ideale di saggia benpensante, dal momento che si rifà al pensiero conservatore caratteristico di una società che condanna la viziosità e la passione, mentre Bocca di rosa, identificata come prostituta, è bandita. La verità, tuttavia, è che la donna nel paese ha portato la primavera, intesa come freschezza e rinascita, in quanto è stata in grado di dare un amore libero dagli schemi a persone che hanno sempre vissuto in una grigia realtà.

Il finale riporta alla religiosità personale di De André, effettuando un paragone tra l’amore sacro che riempie le pagine della Bibbia, e l’amore profano, portato da Bocca di rosa. Tale ragguaglio è una provocazione voluta, dal momento che l’amore profano si è dimostrato essere in realtà un amore libero, desiderato e forte.

Vedi, tu dici pu***na, ma in effetti Bocca di rosa non è assolutamente una pu***na. Perché se fosse stato un cadetto dell’Accademia di Livorno, per esempio, sarebbe andato tutto benissimo: sarebbe stata semplicemente una persona che si concedeva volentieri… quindi tutto bene! Trattandosi di una donna, invece… è diventata una pu***na, ma non è assolutamente vero, non è una pu***na per niente. E’ una persona che ha addirittura cambiato la mentalità di un paese.

La ragazza che mi ispirò Bocca di rosa entrò in casa mia un pomeriggio in cui ebbi la fortuna di avere i parenti altrove. Bocca di rosa è immortale, perché non si mette contro il sul destino. A lei interessa la conquista. Non è una pu***na, è una che ama e si fa amare. E sa che l’amore migliore è quello che non ha futuro.

Giornalista: “Qual è la canzone che più ti somiglia?”
De André: “Sicuramente Bocca di rosa.”

Le minoranze linguistiche

Oltre a raccontare e valorizzare minoranze e narrare di storie di ultimi e dimenticati, nobilitandoli, De André mette in luce idiomi considerati minori, effettuando un paragone tra il piano espressivo-linguistico e il piano contenutistico, in riferimento a un’umanità svantaggiata. Un esempio è l’esplorazione del napoletano portata in essere con l’opera “Don Raffaè”, tuttavia il culmine è raggiunto con la pubblicazione di Crêuza de mä (1984), primo album interamente cantato in dialetto genovese. La scelta del genovese non è stata dettata esclusivamente da ragioni di familiarità con il dialetto, ma anche dalla sua ricchezza linguistica. Il genovese, infatti, è stato a lungo un importante veicolo linguistico per gli scambi commerciali nel Mediterraneo, arricchendosi così di termini spagnoli, francesi, arabi e tanti altri. Per questo è rappresentazione di una lingua eterogenea e interculturale, idonea a ciò che il disco vuole trasmettere.

Giornalista: “La tua canzone più bella?”
De André: “La mia canzone più bella, se permetti, devo ancora scriverla.”


arateacultura.com

https://www.ultimavoce.it/fabrizio-de-andre-spunti-per-unanalisi-sociolinguistica/

https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_De_Andr%C3%A9

https://www.instagram.com/fabrizio.deandre/?hl=it

Anna Maddaloni

Redattrice in Letteratura